Generazioni, tecnologia, scuola

Ieri, un signore di 10 anni più giovane di me, e quindi con i capelli bianchi, è venuto a casa mia a portarmi un preventivo per un lavoro. Durante i convenevoli tipici di persone educate il mio interlocutore, guardando in giro, si felicita con me perché vede un buon giradischi del vecchio impianto hi fi, che per la verità ormai uso poco. Cerca di vedere se ci fossero anche dischi di vinile in giro ma non li vede perché quei pochi che ho li ho chiusi nell’armadio. Si è aperto così un vaso di pandora di racconti sulle nostre passioni musicali, o meglio sulle nostre passioni tecnologiche all’inseguimento del supporto migliore, dello strumento di riproduzione più perfezionato. Ovviamente scopriamo di avere una comune la passione per la fotografia e allora marche, modelli, obiettivi, camere oscure sono al centro di un amarcord entusiasta.

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Tranquilli, non ci siamo abbracciati, ma è stato emozionante scoprire che i punti in comune fossero così numerosi, quasi a ritrovare un sosia o un fratello gemello. Penso allora che moltissimi miei amici e colleghi condividono le stesse passioni, non solo e non tanto passioni artistiche quanto passioni tecnologiche, la passione per strumenti sempre più sofisticati con caratteristiche sempre più raffinate. Chiedo al mio interlocutore: non pensa che questa sia una caratteristica della nostra generazione, che la generazione dei giovani attuali sia del tutto priva di queste passioni tecnologiche?

Certamente, risponde lui, ormai la tecnologia ha raggiunto dei livelli tali da potersi permettere di vendere prodotti su larga scala ma omologati su livelli di qualità medio bassi. Ma questa sarà una generazione senza foto, o meglio con foto modeste, scattate sul muretto o davanti a un piatto di pastasciutta o con smorfie impresentabili. Vede, noi abbiamo avuto la fortuna di sperimentare direttamente il progresso delle tecnologie che usavamo sia per ascoltare musica sia per scattare foto, abbiamo visto che si poteva andare sulla luna, abbiamo vissuto l’esplosione delle tecnologie informatiche, ora si ha l’impressione di avere raggiunto l’apice, che ormai il progresso non ci possa più essere.

Con queste riflessioni in testa sono andato alla presentazione del nuovo libro di Luigi Berlinguer. Lì ho riincontrato molti protagonisti della storia recente della scuola italiana, molti ormai fuori dalla trincea come me, alcuni ancora in posizioni di responsabilità, quasi tutti della mia generazione, pochissimi i giovani trentenni, direi nessuno.

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Ho solo sfogliato rapidamente il libro ma conosco abbastanza l’autore per dire che la lettura  sarà certamente l’occasione per condividere la passione culturale e politica dell’autore e credo che vecchi e nuovi attori della scuola faranno bene a leggerlo, magari per dissentire.

Le presentazioni del libro sono state tutte molto ricche e stimolanti ma quella che mi ha più colpito per la sua apparente stravaganza è stata quella di Eugenio Scalfari. Ha parlato di suo nonno, ha parlato di Calvino compagno del Ginnasio, ha raccontato dei suoi incontri con papa Francesco. Ha descritto in brevi ma emozionanti tratti le sue passioni nate e maturate nel liceo, il valore che persone speciali possono avere nella vita di altri. In parte ha ripetuto con nuovi accenti quanto scritto nel libro che mi hanno regalato lo scorso Natale. La sua divagazione apparentemente dovuta alla sua veneranda età in realtà ha centrato la questione: per parlare di scuola occorre avere una respiro non legato alla contingenza ma all’immagine del futuro e alle comuni radici, anche lontane, che la scuola deve assolvere ad un compito educativo in cui è centrale una funzione genitoriale, che i giovani hanno bisogno di passioni che possono essere accese da persone che hanno il carisma per farlo. Ecco allora che quando si parla di scuola, di nuova scuola occorre parlare di ri-creazione.



Categorie:Cultura e scuola, Libri letti

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4 replies

  1. la cosa più preoccupante, in tutto ciò che hai scritto,è che alla presentazione del libro non hai notato nessun rappresentante delle nuove leve, i trentenni per intenderci.
    Mi domando coma sarà questa società quando a rappresentarla dovranno essere necessariamente loro, gli attuali trentenni.
    Avverto che il gap che separa persone come te da loro è incolmabile e non riesco a pensare come questa differenza potrà essere colmata. il risultato è una profonda tristezza.
    buona giornata Prof e grazie per avermi accompagnato, attraverso la lettura di questo tuo scritto, nell’inizio di questa giornata.

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    • Caro Franco, dopo la presentazione del libro volevo venire alla tua gelateria ma le cose sono andate alle lunghe. Mi piace che tu abbia colto il senso profondo del post, la questione generazionale che ho ripresentato rispetto alle fisime tecnologiche della mia, il malessere della scuola, l’emarginazione dai luoghi delle decisioni e del lavoro. Per non essere sempre cupi e pessimisti possiamo pensare che i ritardi dell’inserimento nella maturità siano anche dovuti all’allungamento della vita, come se tutto fosse stato allungato dal tempo del pensionamento in giù. Vedremo, vedrete. Certo, avevo trent’anni quando ho fatto il membro interno alla vostra maturità …

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      • buongiorno caro Prof, vorrei partire proprio dalla tua ultima considerazione e ricordare quel periodo, parliamo della fine degli anni ’70… tu avevi 30 anni e noi avevmo da poco raggiunto la maggiore età… beh in quel periodo non ricordo esistesse uno scollamento così evidente fra le “nuove leve” e “la vecchia guardia”.
        i giovani studiavano, si sacrificavano, cercavano di “darsi da fare” anche per restituire le giuste soddisfazioni ai genitori che si sacrificano per loro, si davano da fare per accreditarsi, per seguire un “sogno” o semplicemente per crearsi una propria identità e guadagnarsi una propria indipendenza economica e un riconoscimento sociale.
        Il linguaggio utilizzato allora era sicuramente molto più “nazionale”, termini come welfare, spread, new economy, e-business, e-commerce, e tanti altri nessuno di noi ne conosceva l’esistenza ne addirittura erano stati ancora coniati.
        quello che potremmo chiamare “ciclo sociale” ruotava su principi e valori ben definiti, ognuno sapeva a cosa poteva aspirare e quali sarebbero potute essere le “strade” da percorrere a secondo di quanto si era disposti a mettere in campo, in termini di risorse, impegno, sacrificio. C’era spazio per tutti, per i più ambizioso, e per coloro che pur meno ambiziosi desideravano comunque “arrivare”.
        Temo che negli ultimi 20 anni tutto questo si sia progressivamente e inesorabilmente infranto. Penso che il “cambiamento” sia iniziato con “mani pulite”. Era il 1992/1993, periodo che ricordo ancora molto bene, da allora le cose hanno cominciato a cambiare, siamo tutti entrati in un vortice repentino che ha modificato tutto! Regole, obiettivi, percorsi, e di conseguenza queste modificazioni si sono trascinate dietro ambizioni, aspettative, progetti di vita.
        Nel 1992 lo stiupendio di un lavoratore di concetto medio era intorno il milione e mezzo e un appartamento di piccole dimensioni(45/50 mq), in un quartiere medio popolare costava 90/100 milionio, che corrispondevano a circa 60/70 mensilità. Oggi se condieriamo gli stessi parametri, con 60/70 mensilità di uno stipendio medio forse riesci a comprarci un piccolo garage in un quaritere ultra popolare!
        Forse è banale fare un esempio come questo, ma credo sia sitomatico e rappresenti l’intero scenario.
        Il trentenne di oggi è quasi sicuramente un precario o un disoccupato, di fronte allo stato, e che lavora in nero in chissà quale realtà. Non ha più alcun progetto di vita, che è la linfa per muovere tutto il resto, ovvero sacrifici, impegni, motivazioni, e quindi il famoso, ma ormai smarrito, “progetto di vita”.
        Per cui queste “giovani leve” le vediamo nelle discoteche, girare con la macchina di tendenza, l’Ipad, le cuffiette alle orecchie, vestiti e pettinati con lo “stampino”, nei risotranti, nei cinema, e i tutti quei luoghi “raggiungibili” con poca spesa.
        Noi cosa faremmo? Probabilmente le stesse cose, perchè in mancanza di un progetto di vita tutto viene meno e si tende, credo, a soddisfare quelle che potremmo definire esigenze ludiche, evanescenti, futili, perchè solo a quello oggi si può aspirare.
        personalmente posso dire che fino al 1992 sono riuscito, a costo di enormi sacrifici, ad edificare e realizzare un progetto di vita, da allora anche nel mio caso lentamente e inesorabilmente gli obiettivi sono andati via via diradando, diventanto irrealizzabili.
        Se solo penso che in quel periodo potevo permettermi di tenere una roulotte fissa in un campeggio a sperlonga, e poter mantenere la famiglia per tutto il periodo estivo in vacanza, senza rinuciare a tutto quello che potremmo definire “quotidiano”, e si riusciva anche a “mettere qualcosa da parte”.
        oggi avrei difficoltà anche solo ad acquistare una roulotte, figuriamoci il resto!
        Ho usato solo alcuni esempio, per cercare di esprimere la mia visione e le mie preoccupazioni.
        i giovani oggi stanno vivendo grandissime difficoltà, sono disorientati, smarriti, non conoscono nulla del mondo del lavoro, non conoscono nulla riguardo le conquiste sindacali e i diritti guadagnati, non hanno progettualità, non hanno alcuna visione del loro futuro e per “sopravvivere” si tuffano con tutte le loro forze nel presente perchè solo quello riesco a vedere e nel quale possono tentare di misurarsi.
        Vedremo come evolverà il tutto restando sempre e comunque fiduciosi e ottimisti, fosse non altro per loro.

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