Confini inviolabili

La guerra ucraina, quella che dal 2014 affligge un intero popolo e che da tre mesi rischia di affliggere l’intero occidente, ha molte letture possibili, una guerra economica di predazione, la fine di un impero, uno scontro tra ideologie, uno scontro di sistemi di vita … non è certamente solo uno scatto d’ira di un paranoico autocrate a Mosca.

In questi giorni è iniziata una fase della guerra finalizzata alle definizione dei nuovi confini tra le due repubbliche secessioniste e il resto dell’Ucraina. Fallita la fase che intendeva soggiogare l’intera nazione anche attraverso un colpo di stato a Kiev dei militari ucraini contro Zelensky, considerato dai russi un fantoccio inconsistente, le forze russe devono ora schierarsi sulla linea del fronte della prima guerra ucraina 2014-2022 segnata dall’accordo di Minsk.

Una guerra di posizione non è una buona prospettiva per nessuno, morte e distruzione continueranno su un fronte che lentamente avanza o arretra a seconda che arrivino nuovi missili e nuove munizioni all’una e all’altra parte, gli uomini in divisa o sono giovani reclute inesperte e ubriache o vecchi combattenti pronti a tutto ma ormai stanchi e sfiniti senza i rimpiazzi; pochi morti tra i militari ma tanta distruzione sistematica di città e infrastrutture. Una guerra di posizione è una buona prospettiva solo per i produttori di armi e di tecnologie avanzate.

Ma che senso ha difendere i confini con il sangue negli anni 2000? Nessuno, se non si esaminano attentamente vantaggi e svantaggi di alte mura erette a difesa del proprio territorio e della propria città. Tutto l’Occidente è assillato da questa paura dell’invasione, della violazione dei propri confini da parte di chi vuole entrare. Gli Stati Uniti sono assillati dalle migrazioni dal sud ed erigono muraglie, l’Europa fa altrettanto ma su questo ogni stato membro decide autonomamente contro i profughi affamati che scappano da guerre, Israele da tempo vive assediata … e l’elenco sarebbe molto lungo.

La guerra ucraina è il seguito della guerra iugoslava e l’effetto della fine dell’impero dell’Unione sovietica: la disgregazione dell’impero zarista che era unito intorno a una casa regnante e poi dell’Unione sovietica intorno ad una ideologia interpretata con durezza da despoti e dai servizi segreti. L’integrità territoriale di una nazione diventa un feticcio indiscutibile per cui sacrificare vite umane e ricchezze. La libera circolazione delle persone e delle merci è stata la vera mina che ha fatto saltare l’unione sovietica e il muro di Berlino, l’abolizione dei confini e delle dogane è stato il volano che ha accelerato la formazione dell’Unione europea, il libero commercio ha fatto crescere a livello planetario la ricchezza collettiva. Le nuove tecnologie hanno abbattuto i filtri dei confini fisici e politici rendendo istantaneo e facile il contatto fra popoli diversi e facilitando la comprensione tra culture diverse. Ma i confini geografici fisici, politici, e sociali sono rimasti, in particolare è aumentato il divario tra una ristretta minoranza di nazioni ricche, e la disperazione di popolazioni private del necessario per vivere. A processi di aggregazione e di eliminazione dei confini sono seguiti spesso processi contrari che sono sfociati in guerre intestine quasi sempre tra popoli conviventi nelle stessa struttura statale, è il caso del nord africa, del medio oriente, della Iugoslavia, della stessa Europa, se i nostri padri non avessero concepito meccanismi prudenti di aggregazione politica, penso alla Brexit.

Una delle idee che mi hanno più colpito della lettura di Sapiens Da animali a dèi Yuval Noah Harari è quanto dice sulla formazione degli imperi. Quasi tutti gli imperi che sono sopravvissuti più a lungo per secoli erano caratterizzati dalla inesistenza di confini precisi ai loro bordi e dalla forte inclusività di realtà culturali e politiche molto diverse. Guerre di conquista di nuovi territori e di difesa del proprio territorio sono state sempre all’ordine del giorno ma ogni volta che un sistema politico e sociale ha voluto preservare la sua esistenza erigendo muri, valli e steccati ai confini ha decretato la propria fine con una disgregazione del proprio connettivo interno.

Questa mattina leggo che in una scuola elementare statunitense sono stati sterminati 21 bambini, ecco, questo è il segno che quella società, se non cambia i suoi rapporti con il mondo circostante, finirà con l’implodere nella barbarie della violenza interna e nella guerra insensata.

Ma torniamo alla Ucraina. Se nessuno avesse voluto marcare un confine tra due popolazioni che parlano lingue diverse, l’ucraino e il russo, se l’identità nazionale non fosse stata così perseguita da élite, consorterie e mafie, se le due chiese avessero smesso di sentirsi diverse, la guerra civile non sarebbe scoppiata e nessuna forza esterna avrebbe approfittato della loro debolezza per spartirsi le spoglie, le ricchezze del sottosuolo e dei campi. Tutto ciò è ovvio e non ci consola. Ma forse vale la pena di riflettere bene sui rischi della difesa ad oltranza dei confini: se in otto anni di strenua difesa dei confini siamo arrivati a questo disastro dovremmo aver capito che è il caso di cambiare, che per l’Ucraina la soluzione migliore è quella proposta dal piano di pace italiano, il riconoscimento del diritto dei russofoni di vivere in pace con un’autonomia simile a quella che in Italia ha garantito la fine del terrorismo altoatesino. In prospettiva, la pace si potrà ottenere con l’abolizione dei confini e con la libera circolazione di persone e merci all’interno dell’Ucraina comprendente le due repubbliche autoproclamate diventate autonome e all’esterno con la Russia e tutti altri paesi circostanti che erano fino a 30 anni fa appartenenti allo stesso sistema politico ed istituzionale.



Categorie:Politica, Ucraina

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