Le cronache di queste ore ci fanno temere una estensione del conflitto che potrebbe addirittura sfociare in una nuova guerra mondiale. Papa Francesco da tempo denuncia che la terza guerra mondiale a pezzetti è già in atto. L’aggravamento della situazione dopo l’attentato terroristico di Hamas trasforma la paura in angoscia e ognuno di noi cerca di capire la complessità di situazioni tragiche che si intrecciano e spesso si amplificano per scelte sbagliate di chi è al potere. Tempestati da informazioni contraddittorie, dobbiamo riflettere e essere attenti a tutti gli elementi che potrebbero riaccendere la nostra speranza sulla capacità dell’umanità di salvare se stessa.

Dentro il conflitto tra palestinesi e israeliani non c’è solo la questione di un territorio conteso ma molte altre contraddizioni e conflitti che anche le nostre società, in particolare quelle europee, stanno vivendo.
Conflitto sociale
C’è un conflitto sociale tra ricchi e poveri, una stratificazione che nel caso mediorientale si traduce in luoghi segregati e cinti da mura e filo spinato. Una segregazione che condanna chi non ha di che sopravvivere mentre a poche miglia il lusso sfrenato e l’esibizione del successo provocano invidia e rancore. Questo è molto simile a molte nostre città in cui non abbiamo i muri ma certamente stratificazioni, quartieri e città imbarazzanti.

Dinamiche demografiche
La popolazione palestinese, come molte popolazioni povere, si riproduce velocemente, a Gaza il 50% della popolazione è molto giovane mentre in Israele appare la flessione della natalità tipica delle società più ricche. Queste differenze si riscontrano ovunque e anche da noi capita di osservare che i nostri nidi sono molto più variopinti di quanto non lo sia la società degli adulti. Questo denota che popolazioni che coabitano nelle stesse città nutrono sentimenti molto diversi circa il proprio futuro, sono ispirati da valori diversi, sono disposti a difendere la propria sopravvivenza con una intensità e una violenza imprevedibili: una società che invecchia ed è ricca, presa dalla paura e dal rancore, diventa reazionaria e violenta quasi quanto i giovani che si ribellano a una situazione che giudicano ingiusta e un conflitto potenziale incombe silenziosamente o con grande fragore.
Il ruolo dell’istruzione e della cultura
Sistemi educativi profondamente diversi diventano il seme di conflitti alimentati da mentalità e da prestigio sociale molto diversi. La convivenza pacifica dei due popoli ora in guerra dovrà prevedere una convergenze di sistemi di formazione della gioventù. Mi hanno colpito le riprese televisive di una scuola coranica a sud del Libano in cui ragazzi molto giovani gridano insistentemente frasi del Corano o parole d’ordine della loro fazione, una realtà tribale lontanissima dal sistema formativo occidentale. Ma purtroppo l’esistenza di una sistema formativo pubblico laico non assicura una forte coesione all’interno della società come appare evidente a casa nostra: chi sa e conosce, chi sa parlare, chi sa fare ha buone possibilità di vivere bene mentre chi per tante ragioni è stato escluso o si è autoescluso dai percorsi formativi previsti è escluso anche dalla società e marginalizzato, da ciò il pericolo del conflitto sociale.
Conflitto religioso e nichilismo
Il conflitto ha una dimensione legata al credo religioso. L’identità dei popoli in conflitto coincide con l’appartenenza allo stesso credo religioso. La diversa intensità con cui ciascuno vive queste realtà si traduce spesso in estremismi e radicalismi legati a pratiche identitarie esteriori. La modernità ha diffuso anche posizioni nichiliste, che rifiutando qualsiasi mediazione basata su una riflessione sul portato religioso, è capace di giustificare qualsiasi crudeltà ed efferatezza legata al raggiungimento del potere, ma sono compiute in nome di Dio. Questa deriva che parte da una vita improntata a un sistema di valori e di pratiche religiose e approda a un approccio nichilista che prescinde dall’etica e dalla verità per giustificare le proprie scelte sulla base delle convenienze, ispira molti movimenti politici che rendono impossibile le mediazioni tipiche delle democrazie.
Democrazie e autoritarismo
L’attuale conflitto e quelli più o meno conosciuti in giro per il mondo ci rendono famigliare l’approccio autoritario, quello militaresco di chi combatte un guerra come la modalità migliore in un situazione di eccezionalità che appare sempre più come la norma. La vicenda politica di Nethanyau assurge a simbolo di questa deriva delle democrazie: lo stato di necessità giustifica lo smantellamento dello stato di diritto che gradualmente si riduce al semplice e ricorrente rito delle elezioni spesso pilotate dai media compiacenti. I parlamenti e le magistrature diventano un intralcio per i capi che decidono per il meglio. Noi italiani ci siamo passati con Berlusconi e viviamo tuttora questo passaggio e l’Europa intera ne sta per soffrire.
Populismo
Nichilismo, autoritarismo sono aspetti di una concezione della politica che rimette al centro la rappresentanza generica di una massa popolare indistinta spesso trascurata. In questo conflitto non si fa altro che parlare di popolo ebraico, di popolo palestinese in modo generico e totalizzante come se fossero due identità al proprio interno omogenee e tra loro profondamente diverse non miscibili come l’acqua con l’olio. Inutile sottolineare quanto sia incombente il populismo qui da noi come origine possibile di nuovi conflitti.
Ieri sera nella rubrica di Gruber è andato in onda un bel dibattito tra Santoro e Hariri, il giovane autore di Sapiens. Da animali a dèi. Breve storia dell’umanità, un testo un po’ voluminoso ma che vale la pena di leggere, assolutamente. Queste mie riflessioni, forse sconnesse, nascono anche dall’ascolto della trasmissione della Gruber. La mia convinzione che noi assomigliamo molto alla società israeliana, o meglio, che la società israeliana rappresenta con le sue contraddizioni e le sue difficolta le società occidentali in cui c’è ancora la democrazia, questa mia convinzione era presentata anche nel post Tre piani. Se lo rileggete, o se leggete il libro di Nevo, troverete che i tre piani del condominio in cui si svolge la vicenda del romanzo sono una metafora non solo della psicologia degli individui ma anche, ora, del modo in cui Israele può affrontare la guerra.
Mano a mano che si va avanti (nella lettura del libro) si scopre che i piani dell’edificio in cui vivono le tre famiglie sono metafore sono una topografica dell’anima secondo la visione freudiana. Al primo piano risiedono tutte le nostre pulsioni e gli istinti, l’Es. Al piano di mezzo abita l’Io, che cerca di conciliare i nostri desideri e la realtà. E al piano piú alto, il terzo, abita sua altezza il Super-Io1. Che ci richiama all’ordine con severità e ci impone di tenere conto dell’effetto delle nostre azioni sulla società.
- Le raccomandazioni di Biden sembrano assumere il ruolo del super io …. ↩︎
Stop al genocidio
La vendetta
Guerre di religione.
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