In questa pagina ho raccolto tutti i post scritti in queste settimane a commento del documento del governo sulla scuola. Navigando con i rimandi all’interno del blog può capitare di non riuscire a cogliere la sequenza dei commenti. Per questo li ho raccolti di seguito anche se mi rendo conto che difficilmente si può leggere tutto d’un fiato un testo troppo lungo. Buona lettura. Attendo commenti.
Purché non si dica che è una riforma
Oggi ad una sosta in autostrada, di ritorno dalle vacanze, mi sono seduto ad un tavolo del self service e non mi è stato possibile evitare di ascoltare il notiziario che veniva diffuso a tutto volume. Si annunciava al volgo il contenuto della nuova riforma della scuola, l’altra meraviglia che Mattia il gradasso sta preparando per stupirci nel prossimo mese. Il gran problema della scuola sono le supplenze, vanno abolite e non se ne parli più. Concorsi a gogò, viva la meritocrazie e l’efficienza, in trent’anni (sic!) avremo una scuola del tutto nuova. Era il commento non so se serio o faceto del cronista. Il contesto un po’ sbracato e distratto di un autogrill consente di percepire la notizia per quel che è, come la sente un profano non addetto ai lavori che manda i propri figlioli a scuola. Vedi che bravo Renzi, non ci saranno più le supplenze così spenderanno meno e non perderete tempo. Evidentemente i prof non si ammaleranno più!
So troppo poco per poter commentare ma due o tre cose a caldo le devo scrivere. Questa non è una riforma della scuola ma una ristrutturazione organizzativa che ha di mira il costo della docenza e cerca di razionalizzare la spesa spremendo qualche miliarduccio da mettere su qualche altra posta del bilancio. Come le teste d’uovo di viale Trastevere siano state in grado in poche settimane di concepire una riforma epocale è cosa molto misteriosa. Più plausibile che come al solito il ministro abbia collazionato una serie di idee più o meno elaborate e discusse in questi ultimi anni chiuse nei vari cassetti della burocrazia centrale e ne abbia fatto un nuovo decalogo di linee guida, di buoni propositi, un nuovo minestrone indigesto per poter dire che tutto cambia e che si spende meno. Spero sinceramente di essere smentito.
Vedremo nei prossimi giorni. Sia chiaro l’Europa nel famoso documento-lettera che mandò all’aria il governo Berlusconi perché i leghisti non vollero approvare i provvedimenti allora richiesti (2011) nel capitolo ‘scuola’ non chiedeva di diminuire la spesa ma di qualificarla, chiedeva di verificare la qualità dei diplomi rilasciati, chiedeva che l’Italia convergesse nei tempi previsti ai parametri del programma di Lisbona. In particolare, se non ricordo male, l’Europa chiedeva che si riqualificasse il settore della formazione professionale adeguandola agli standard della certificazione europea.
Aspettando la pubblicazione della riforma renziana della scuola
La rete si popola di dibattiti e prese di posizione sulle prime indiscrezioni sulla riforma che oggi è slittata forse alla prossima riunione del CDM causa ingolfamento. Anche Renzi ha i suoi limiti, in fondo non dobbiamo pretendere troppo dal tenero virgulto.
LA SCUOLA PRODUCE CULTURA NON INTERESSI SPECIFICI!
Se le scuole rappresentassero gli interessi della collettività, e li rappresentano (ditemi chi è quel cittadino che non è coinvolto dalla presenza delle scuole), dovrebbero avere un’autonomia territoriale (o comunque si inventassero un altro tipo di autonomia per rientrare nelle definizioni giuridiche), no una semplice autonomia funzionale che la espone ai “vezzi” del padroncino di turno!
Produciamo cultura, non siamo una camera di commercio che rappresenta gli interessi “specifici” di una categoria, rappresentiamo gli interessi di tutti!
Per chiarire caso mai qualcuno mi volesse interrogare in diritto (come è avvenuto in altre parti): Nel post dico: “o comunque si inventassero un altro tipo di autonomia per rientrare nelle definizioni giuridiche” … in modo da poter decidere anche per il territorio. La mia è un’opinione, e la proprietà dell’edificio potrebbe pure non essere rilevante, ma un bilancio autonomo come quello dei comuni (assumere il ruolo che hanno i comuni rispetto all’istruzione) penso possa essere rilevante. So bene che è illusorio, ma almeno proviamoci a non sentirci parte di un territorio e poter far poco per incidere sul suo sviluppo!
Raimondonon sono d’accordo sull’idea di fondo secondo cui il problema della scuola sia riducibile ad una non adeguata autonomia. Sarà lo specchietto delle allodole della riforma Renzi. Ricordo che forse per una svista l’autonomia delle scuole è entrata in costituzione con il titolo V ma non mi risulta che qualcuno si sia rivolto alla corte costituzione per difenderla rispetto ad altri poteri dello stato. Autonomia funzionale non significa indipendenza o sovranità né va confusa con la personalità giuridica, che le singole scuole hanno. Penso che il quadro giuridico e normativo sia più avanzato di quanto la prassi rassegnata di noi tutti realizza. D’altra parte è del tutto illusorio pensare che la scuola, le scuole siano in quanto autonomie in grado di rispondere alle gravi questioni di fondo che il presente pone all’educazione. Per capirci, le autonomie dei comuni non sono in grado di gestire la politica urbanistica ed ecologica del territorio se non ci sono criteri e norme generali che danno un indirizzo coerente.
Massimo: Raimondo, quello che dici è vero, il problema non è riconducibile a un’adeguata autonomia! Ma quella che hanno le scuole non ci pone al centro del territorio in cui operiamo. La mia opinione è che se avessimo un’adeguata autonomia potremo assumere attribuzioni proprie dei comuni e sganciarci da essi. Per me il problema centrale è che la scuola dovrebbe diventare (inventassero una personalità giuridica e un’autonomia che possono rispondere a questa esigenza) un motore della crescita culturale, dovrebbe cioè, produrre cultura. Le scuole dovrebbero avere maggiore responsabilità e sensibilizzazione verso quest’obiettivo, in caso contrario le “gravi questioni di fondo che il presente pone all’educazione”, le faremo affrontare ai “capetti di turno al governo” che con non sanno neanche come è fatta la scuola!
Raimondo: Caro Massimo, sono quasi d’accordo. Sei più giovane di me, io sono in pensione e quindi consentimi di essere più disincantato. La carta dell’autonomia è stata giocata, naturalmente la salsa leghista e il liberismo spinto antistatale l’hanno interpretata in un modo che non ha consentito che da questo spazio di libertà nascesse quello che speri tu ora. Sono convinto peraltro che le cose siano andate meno peggio di quanto si crede, la scuola ha conservato una capacità di resilienza poco riconosciuta dai mass media ma che ha attutito gli effetti dei colpi pesanti che ha subito. La scuola, le scuole non possono da sole produrre cultura se non in un senso ristretto e localistico, troppo condizionabile da leadership personali (positive o negative poco conta) da interessi economici o politici. Quando parlo di cultura intendo una identità complessa che resiste alle mode, ai capetti, agli slogan ma che crea aggregazione ed appartenenze positive. Se quando parli di scuola intendi un aggregato che comprende anche le università, gli intellettuali che scrivono e producono elaborazioni, le case editrici, le associazioni di categoria, le riviste, i mass media specializzati allora sono d’accordo con te, questo è il mondo che deve elaborare strategie, idee, obiettivi, visioni del futuro. In questo aggregato ci metto anche i politici che onestamente e con competenza vogliono affrontare il problema. La mia è una visione un po’ nostalgica legata alla mia giovinezza quando era normale per un docente essere abbonato ad almeno una rivista sulla scuola, tempo in cui ci cibavamo degli articoli di Riforma della Scuola, di Scuola e Città in cui docenti universitari di chiara fama internazionale (Aldo Visalberghi non era il solo) si sporcavano le mani con noi docenti della scuola passando ore, pomeriggi o giornate a ragionare sulla scuola e programmare il cambiamento. Per questo mi offende che un nuovo ducetto ora voglia cavalcare il cambiamento di verso nella scuola di cui conosce forse solo i problemi della moglie e di cui non ha rispetto e riverenza: lo dimostra il modo in cui questa ennesima non riforma è in gestazione, nel chiuso delle direzioni ministeriali, nel chiuso dei conciliaboli di corrente partitica, nella ricerca di interventi ad effetto che producano voti alla prossima tornata elettorale. La scuola deve essere resiliente, deve resistere e reagire.
MassimoCaro Raimondo, hai perfettamente interpretato il mio pensiero! Quello che ci rimane è la capacità di far fronte alle avversità e in questo ci distinguiamo da ogni altra istituzione dei comparti statali. Purtroppo siamo soli ma dobbiamo resistere per realizzare quel minimo che ci è permesso!
Oggi improvvisamente FB era arroventata, una pioggia di commenti, post, prese di posizione sulla proposta Renzi, sulla ‘Scuola buona’. Un dibattito immediatamente surriscaldato anche nello stile comunicativo. Sono in pensione e non vivo più nella scuola ma immagino che quel clima sia diffuso anche nelle sale professori.
Ho scaricato il documento governativo e ho letto le prime 38 pagine, quelle che riguardano l’assunzione in ruolo dei precari a partire dal 2015.
Anche in questo caso Renzi in realtà rimanda le scelte nel tempo con la scusa della consultazione, ma anticipa subito il blocco della contrattazione sindacale e degli scatti.
Gli oneri finanziari dell’immissione in massa dei precari sono limitati a pochi mesi del 2015 e quindi i riflessi sul bilancio preventivo 2015, da discutere nei prossimi mesi, sono sopportabili mentre i costi maggiori sono per gli anni successivi, chi vivrà vedrà.
Il testo andrebbe analizzato da un semiologo, da un esperto di comunicazione: si tratta di un documento politico, o meglio di uno strumento propagandistico molto simile a quelli che sono diffusi durante le campagne elettorali. Slogan ad effetto, illustrazioni e grafici, grafica con evidenziazioni, sottolineature, schemi e tabelle. Se si volesse ricostruire un racconto sembra quasi che le cose siano andate così: chiede il capo, cosa possiamo fare per stupire il popolo? cosa possiamo fare per non scontentare i sindacati? qual è il problema che ci porta via consenso? qual è il problema più importante per il paese? facile, è la mancanza di lavoro, è la piaga del precariato, sono le supplenze mal gestite, sono le classi lasciate scoperte, sono i ragazzini che tornano a casa dicendo che hanno fatto solo due ore di lezione o che domani entrano alla terza ora per assenza del docente. La proposta sull’organico risponde a questo grumo di problemi, costituisce una operazione innovativa e di una certa consistenza. Si deve fare.
Ora, signori tecnici, portate buone ragioni per spiegare che non sono soldi buttati che questo è un cambiamento di verso dopo la Gelmini sparagnina che ha inzeppato i ragazzi in classi di 30 alunni e ridotto il servizio scolastico. Dice il capo.
Il testo non è un articolato di legge e tantomeno una legge delega, è un insieme di molte idee alcune buone, altre realistiche, molte velleitarie a cui però non si può dire di no.
Ci sono però molti punti deboli nella proposta: non è chiarissimo cosa dovranno fare questi docenti messi in ruolo così, dove potranno andare, a fare cosa, solo supplenze, ad ampliare l’offerta formativa, come? le liste di attesa sono omogeneamente distribuite sul territorio? come sono ripartite rispetto alle materie? come funzionerà la mobilità, potrebbe accadere che nella provincia x ci siano troppi docenti stancamente in attesa in sala professori e nella provincia y i docenti continueranno a mancare? Il grave difetto del renzismo è la presunzione: pensare che chi ha amministrato in questi anni fosse deficiente e che questo gnommero scolastico si sia creato per imperizia. Le graduatorie, le liste di attesa hanno distillato e concentrato i problemi ed ora quella massa di 150.000 persone non può essere ‘digerita’ d’un colpo dal sistema integrandola efficacemente e senza danni.
Racconto un piccolo fatto accadutomi quando ero preside. All’inizio dell’estate si presenta una docente sovrannumeraria di un’altra scuola (per inciso, andrebbe detto a Renzi che esistono già forme di riassorbimento di personale eccedentario per amministrare le supplenze e gestire altre attività utili alla scuola) spiegandomi che se mi affrettavo a presentare in un certo ufficio un progetto specifico di gestione della biblioteca avrei potuto fruire della sua disponibilità a passare nella mia scuola. Insospettito ho fatto le mie ricerche e scoprii che la docente aveva creato molti problemi nella scuola in cui era stata assegnata e che poco l’avevano vista in biblioteca, dove avrebbe dovuto stare. Naturalmente non feci il progetto né inoltrai la richiesta e tenni fuori dalla mia scuola una risorsa che forse avrebbe creato solo problemi.
Cosa voglio dire con ciò: un ingresso indifferenziato senza una chiara e formale pianificazione delle risorse e delle funzioni ma con roboanti slogan di puro pedagogese quanto meno sarà inutile se non dannoso.
Il secondo punto gravemente debole della proposta sta nella presunzione che in questo modo si possa risolvere per sempre il problema delle liste di attesa dei precari, che le assunzioni si possano fare solo con i concorsi ordinari. Fa sorridere il fatto che il documento esponga la tabella, il cronoprogramma del primo concorso ordinario dell’era renzista. La scuola può assorbire a regime 20-30 mila neolaureati all’anno, ma quanti ne sforna l’università? gli esclusi della prima tornata potranno tentare una seconda volta, e così via nelle tornate successive ingrossando nel tempo una popolazione significativa per forze politiche che cercano consenso, le nuove procedure saranno immuni dal contenzioso? ciò che è accaduto in passato e che poi ha portato saggiamente all’adozione del doppio canale è che la massa degli esclusi dai concorsi veniva così tacitata e messa a disposizione per tamponare gli effetti di concorsi che si protraevano per anni e che lasciavano i posti in ruolo scoperti.
Mi rendo conto, sono un gufo conservatore, tendente al reazionario.
Ma tu, se fossi nei piedi di Renzi cosa faresti? Intanto non partirei da questo problema organizzativo e non lo chiamerei comunque riforma epocale.
Abbatterei le gabbie delle abilitazioni consentendo ai docenti, a richiesta e con opportune verifiche a livello dell’istituto scolastico, di insegnare due materie, quella principale su cui è di ruolo ed un’altra elettiva. Faccio il caso delle lingue: potrei avere 4 ore di spagnolo che formeranno cattedra orario unendosi ad altri spezzoni per un disgraziato che si metterà a rimbalzare da una scuola all’altra o la potrei assegnare ad un docente di inglese che sappia lo spagnolo che potrebbe completare la cattedra o aggiungerle al suo orario fino a 22 o 24 ore. Questo ridurrebbe quegli spezzettamenti cui sono chiamati i precari, si avrebbe un organico più omogeneo e gestibile.
Attuerei quanto previsto dalla corte europea assumendo coloro che hanno prestato continuativamente tre anni interi, utilizzandoli come accade attualmente finché non si formano cattedre stabili, veri tappabuchi ma almeno hanno la stabilizzazione a tempo indeterminato e la progressione di carriera.
Consentirei alle scuole di disporre di un monte ore aggiuntivo proporzionale al totale delle ore di docenza per completare a 18 ore qualche cattedra incompleta o costituire cattedre su cui effettuare nomine secondo discipline identificate dal collegio in base al POF. Non so se questo sia l’organico funzionale, confesso la mia ignoranza in merito. L’ammontare del monte orario in più sarebbe deciso in relazione all’onere finanziario sostenibile.
Renderei più trasparente il sistema delle graduatorie con un uso intelligente dell’informatica, tutto on line, con accanto ad ogni posizione in graduatoria il tempo di attesa previsto con i ritmi di assorbimento medio degli ultimi tre anni. Consentirei una gestione flessibile degli accessi consentendo agli aspiranti di fare le proprie scelte in modo mirato e consapevole spostandosi di provincia per ridurre i tempi di attesa. L’attuale sistema ingabbia gli aspiranti i quali fanno scelte a caso affidandosi a dei sentito dire non sempre affidabili.
Metterei a concorso i posti che si prevede si liberino nel periodo di espletamento del concorso stesso, due anni, solo vincitori senza idoneità e senza successivo scorrimento. Prevederei che il punteggio del concorso perso faccia media con il concorso successivo, ciò consentirebbe di escludere coloro che ci provano senza prepararsi e incentiverebbe ad autoescludersi dalla correzione delle prove scritte se il candidato sa di non aver fatto una buona prova. Vi sarebbe una significativa riduzione di prove scritte da correggere con vantaggi ovvi sui tempi e sui costi.
Caro Bolletta sei proprio di destra, direi quasi che sei un reazionario.
PS il precariato storico è un problema ma quello dei neolaureati e dei giovanissimi cui si sbarra la strada per decine di anni non lo è da meno.
Proseguo nella lettura del documento governativo sulla buona scuola. Da pag. 38 a pag. 41. Esagerato! Manco fosse il Vangelo.
I nuovi concorsi saranno l’unico canale per entrare nella scuola, con il contagocce dopo l’entrata in massa degli attuali precari storici, e al concorso possono accedere solo gli abilitati. Quindi pochi posti nei prossimi 10 anni e dopo un percorso ad ostacoli nemmeno un docente fosse un chirurgo.
Gli estensori del documento secondo il migliore stile renziano fanno anche gli spiritosi e i piacioni:
Temo che chi si trova dentro questo garbuglio non apprezzi molto i giochi di parole.
Ma subito dopo, il documento ci spiega come sono andate le cose con l’abilitazione all’insegnamento. In una paginetta sono riassunti correttamente i dati salienti ma si tralascia una considerazione di base: a forza di pretendere di far meglio si è costruito un autentico mostro che ingrassa le università, che deprime e stressa coloro che desiderano insegnare. Chi è curioso di sapere come la penso io può clikare l’argomento specifico TFA.
Nessuna analisi seria delle conseguenze delle scelte politiche che nel tempo ogni nuova maggioranza ha adottato per dire che finalmente il problema era risolto. Così anche Renzi cambia verso confermando il garbuglio, lo gnommero, cioè non cambia nulla, anzi peggiora la situazione. Gli estensori del documento ci tengono a far sapere che loro sanno che la cosa non può funzionare ma che ora il conducente ha deciso così. Il TFA primo ciclo ha scremato e abilitato 10.500 docenti a partire da 115.500 candidati e il secondo ciclo ne sta formando altri 22.500 scremati da 160.000 candidature. A questi si aggiungono altri 69.000 passini cioè frequentanti Percorsi Abilitanti Speciali riservati a coloro che aveva già insegnato per almeno tre anni. Cioè ci sono circa 100.000 abilitati che, se non ho capito male, non fanno parte del contingente dei precari storici e che sono pronti a concorrere nel 2015 al primo concorso dell’era renzista. Dietro a loro ci sono almeno 140.000 laureati che non hanno superato il test preselettivo della TFA e che si trovano in un limbo di disperazione. Chi mi legge e trova che sto facendo degli errori di calcolo è pregato di lasciare un commento, sarò lieto di constatare che ho sbagliato.
I redattori del documento sanno che l’affermazione trionfale iniziale ‘mai più precariato!’ è uno specchietto per le allodole che il sistema si appresta a generare nuovo precariato e nuove lunghe liste di aspiranti a una supplenza nelle singole scuole dove comunque qualche supplenzina sarà racimolata.
Ma tu cosa faresti? Caro Bolletta non si può sempre gufare da vecchio saccente.
Come la penso l’ho già scritto, basta seguire i rimandi di questo blog che ormai raccoglie la bellezza di più di 500 articoli e di più di 1000 pagine tipografiche. Aggiungo solo che ancora una volta sotto l’apparente rivoluzione renziana c’è pochissima innovazione sostanziale, tutto rimane come prima, o meglio, peggiora la condizione generale dei docenti e aumenta la difficoltà ad entrare nelle scuola.
Sarebbe bastato ammettere ai concorsi tutti i laureati senza il requisito dell’abilitazione, lasciando all’abilitazione solo un punteggio preferenziale. Chi vince il concorso senza avere già l’abilitazione avrà cinque anni per completare l’iter formativo previsto con la fase abilitante pena la decadenza dell’incarico. Io cominciai ad insegnare a 24 anni, per tutta la vita ho letto ed imparato, spero di non aver fatto troppi danni. Perché mai un neolaureato in matematica può essere assunto da una azienda privata che provvederà a formarlo mentre se volesse insegnare deve continuare a sottoporsi a prove, test ed esami per mettersi in coda in attesa di una chiamata a 35 anni e più? e pagare profumatamente tale formazione.
Insomma non vedo cambiamenti di verso, solo segnali di fumo per convincere l’elettore.
Ricordo che questi sono commenti a caldo di un gufo brontolone con qualche pregiudizio ma con una quarantina d’anni di servizio attivo nella scuola che non si rassegna ad essere rottamato.
Il capitolo 2 riguarda la questione della carriera degli insegnanti. In breve, l’ipotesi del governo è di abolire gli scatti di anzianità sostituendoli con scatti triennali da assegnare solo al 66% migliore. In pratica ogni 3 anni dovrebbe essere stilata una specie di graduatoria di merito per identificare chi avrà lo stipendio aumentato e chi no. Ogni tre anni temo che il clima interno alle scuole diventerà incandescente, tutti lì a discutere perché Tizio si trova tra gli eletti e Caio no. Nessun contenzioso nel paese degli azzeccagarbugli? Già questa semplice osservazione relativa alla fattibilità e gestibilità pratica di questo sistema dovrebbe chiudere la faccenda dicendo che chi ha scritto questo testo non ha mai diretto una scuola né tantomeno ne ha vissuto gli umori.¹
In effetti il documento elenca gli ambiti che qualificheranno un buon docente arrivando all’idea di un portfolio, un archivio, forse elettronico … forse INDIRE?, ove accumulare informazioni sull’attività qualificante di ogni singolo docente. Bella idea, salvo che una cosa è raccogliere dati e certificati ed altra è valutare e costruire graduatorie di merito che si traducono in soldini. C’è ad esempio il problema di comparazione di docenti di discipline diverse, come pesano i titoli di un docente di educazione motoria con uno di lettere classiche o con uno di cucina o con uno di fisica?
Ma perché innescare questo meccanismo competitivo a livello salariale? Perché il governo pensa che sia il principale motore per scuotere la categoria e per costringerla a migliorare la propria qualità, la propria preparazione, a lavorare di più e meglio. Insomma si pensa che per gli insegnanti i soldi siano una buona motivazione. Chi ha scritto il documento non conosce gli insegnanti. Non solo, non conosce la storia recente della scuola italiana.
Da tempo sono stati inseriti meccanismi di incentivazione economica, di differenziazione della carriera, di valorizzazione delle differenze. L’esperienza sul campo ha dimostrato che non sono questi gli incentivi giusti, che gli insegnanti parlano un altro linguaggio.
Quando ero preside di un alberghiero ci capitava spesso di organizzare conto terzi dei banchetti, dei ricevimenti che consentivano alla scuola non solo di realizzare veri contesti di lavoro formativo per i ragazzi, vere esercitazioni didattiche a costo zero, ma anche di lucrare quei piccoli rimborsi spese che consentivano di acquistare stoviglie e supporti per la didattica e di arricchire seppur modestamente i compensi ai docenti e agli ATA che collaboravano. C’era un docente di cucina molto bravo che si dimostrava poco disponibile a collaborare, gli chiesi allora come mai. Guardi se non c’è nessuno e lei mi chiede di farlo io sono disponibile ma in generale la cosa non mi interessa, se il problema fossero i soldi allora continuavo a fare il cuoco, ho scelto di insegnare per fare una vita diversa. Qualche renziano direbbe che si trattava di una persona indolente, io penso che si tratta di una persona con una sistema di valori diverso, infatti è un ottimo insegnante con un rapporto pedagogico unico con i propri ragazzi, il quale però nella nuova ottica efficientista di questo documento sarebbe relegato forse nel 34% inferiore.
Un aspetto fondamentale di questa nuova organizzazione della carriera del docente è la formazione continua, lo sviluppo professionale. Qui sono riassunti e giustapposti un po’ tutti i discorsi che sull’argomento sono stati fatti in questi ultimi anni. Sembra ad una attenta ma malevola lettura del testo che sotto ci sia ancora la manina di tutti coloro che in questo trentennio hanno creato il garbuglio in cui ci troviamo, ma ora sono vestiti di nuovo con la marsina renziana. Nulla di nuovo, nessuna analisi delle esperienze passate, nessuna puntualizzazione sulla fattibilità e sulla sostenibilità della proposta. D’altra parte uno dei difetti di questo documento è che ne discutiamo per arrivare probabilmente a una legge delega che dovrà produrre dei decreti che dovranno tradursi in regolamenti e circolari, è a questo livello che si dovrà discutere dei dettagli che qui ora vengono evocati come innovazioni epocali. Vecchie e conosciutissime idee.
Ma allora tu caro Bolletta che faresti?
Niente, proprio niente se non ho chiarito meglio che scuola voglio. Per che cosa si dovrebbero aggiornare? solo per gli aumenti di stipendio? Solo da una radicale e chiara revisione, da una vera riforma nasce l’esigenza di un intervento formativo di massa sugli attuale addetti.
Per avere invece semplicemente della gente colta, aggiornata, sensibile, curiosa basterebbe pagarla un po’ meglio², ad esempio basterebbe che i docenti potessero scalare della dichiarazione dei redditi il costo dei libri come si fa con le medicine, basterebbe offrire proposte di qualità, niente pillole del sapere, ma occasioni che i docenti sono dispostissimi a pagare da soli. In questi giorni decine di giovani docenti di tutt’Italia sono in Umbria a studiare, discutere e programmare intorno alla didattica delle matematica ispirata da Emma Castelnuovo. Tutto a proprie spese con la benevola comprensione del dirigente che li ha esentati da qualche riunione di programmazione della propria scuola.
Aumenterei il fondo di istituto, ricordo benissimo la scocciatura della contrattazione d’istituto, tuttavia era l’unico contesto formale e verificabile in cui la progettualità della scuola veniva messa alla prova ed in cui i singoli o i gruppi che intendevano fare di più e meglio si esponevano di fronte al collegio cercandone quella approvazione che si traduceva poi in risorse attraverso la contrattazione sindacale.
Abolirei il test oggettivo preselettivo nel concorso a dirigente scolastico e a dirigente tecnico. Nel concorso che feci io nel 2007 la preselezione veniva fatta sulla base di una graduatoria di merito e di servizio che, guarda caso, seguiva lo schema ora previsto per il portfolio dei docenti. Poteva essere perfezionata ma non ho capito perché è stata abbandonata. Le carriere da dirigente e da ispettore devono essere una prospettiva possibile per un docente più ambizioso e motivato e le prove di selezione devono incentivare proprio la qualità e l’impegno prestato lungo il corso della carriera. Insomma non si può parlare di carriere dei docenti senza dire una parola sul sistema di reclutamento della dirigenza scolastica.
Lascerei da parte il concetto di competizione ma adotterei quello di emulazione: la scuola deve diventare un contesto in cui si cresce tutti insieme, ci si aiuta, si scopre insieme, si condivide la sconfitta e il premio, si vive bene in pienezza. Una comunità di pari in cui il dirigente non giudica ma valorizza e crea per ognuno il giusto contesto per dare il meglio di se stessi. Un comunità in cui il renzismo sarebbe una malapianta da estirpare. Ma questo non si può decidere per legge.
1) Aggiungo che forse il documento renziano non ha chiaro che molte delle cose previste sono oggetto esclusivo di contrattazione sindacale, protetto da una riserva costituzionale. Errore ingenuo se non ricordo male della riforma Moratti che fu bloccata perché non era attuabile se non dopo un contratto sindacale. Stesso vizio nella 150 di Brunetta in cui il tentativo di escludere i sindacati dalla gestione del rapporto di lavoro e dalla valutazione ha imbalsamato l’operazione che somigliava a quella di Renzi rendendola inefficace.
Mi fermo a pag. 58 del documento governativo. Una vera chicca che dà la misura dell’ingenuità degli autori.
I furboni presentano come una grande idea il fatto che la famosa graduatoria di merito con cui vengono identificati coloro che hanno lo scatto triennale è di istituto o di rete di scuole per cui la probabilità di rientrare nel 66% dipende dalla qualità della singola scuola a cui si appartiene. Difficile rientrare tra gli eletti se tutti sono molto bravi, meglio trasferirsi dove il livello è più bassino e quindi il proprio punteggio si potrebbe collocare più in alto. Beati monoculi in terra caecorum. Così i nostri riformatori pensano che, siccome tutti brameranno i 60 euro di aumento, tutti si metteranno a studiare i punteggi delle graduatorie nelle varie scuole per scegliere quelle più adatte al proprio profilo: la qualità come fosse una Nutella spalmabile si distribuirebbe uniformemente nelle varie scuole. Magari qualcuno chiederà di andare fuori città in qualche paesetto dimenticato da Dio per i 60 euro! Chi ha scritto questa pagina è semplicemente un c… .
Si ha qui la misura di cosa voglia dire in questo documento qualità, merito, impegno, valore.
A questi esperti non punge vaghezza che quando si va al lavoro si prendono treni di pendolari, si usa la macchina, si prende un autobus affollato, ciò che conta realmente è il costo in termini di tempo e benzina, visto che non ci sono indennizzi di alcun tipo. A questi signori non viene in mente che per tutti coloro che si trovano sulla soglia del 66% conviene restare in una scuola prestigiosa e rispettata con tutti colleghi premi nobel per poter dire che per il momento si aspetta che gli eccellenti vadano in pensione … peggio sarebbe non rientrare in una scuola classificata modesta. In realtà, se questo meccanismo finalizzato all’adattamento alla graduatoria si realizzasse, si avrebbe una cristallizzazione contraria. Il top starebbe fermo, mentre il 34% più basso si concentrerebbe nelle scuole peggiori …
Ovviamente tralascio il fatto che nel testo viene dato come ovvio, e che ovvio non è, il fatto che i punteggi siano affidabili, oggettivi, confrontabili … ma sono solo a pag. 58, vedremo che cosa troveremo nel seguito. Se tutti si mettono a muoversi si dovrebbe avere certezza che i punteggi siano trasferibili ed equivalenti.
Torno sulla questione del 66% cercando di chiarire meglio alcune mie affermazioni precedenti. Innanzitutto non sono contrario il linea di principio alla valorizzazione del merito e della competenza, la questione è di capire se ciò che prevede il documento governativo sulla scuola buona sia fattibile e se agisca nel senso sperato.
Come costruire la graduatoria. Difficile immaginare che se si vogliono considerare tutti gli aspetti previsti, crediti didattici, formativi e professionali, si possa disporre di una procedura oggettiva, non sarà possibile enumerare fatti semplici ma occorrerà pesare opportunamente aspetti aventi valore diverso: se si vorrà essere oggettivi si dovrà semplificare l’elenco a spese di una scala più pregnante se si vorrà essere pregnanti considerando adeguatamente tutti gli aspetti di una professionalità complessa si avranno punteggi meno affidabili e più contestabili. È la stessa questione sollevata sulla affidabilità dei punteggi dei test rispetto ai voti dei temi d’italiano.
Quindi, qualsiasi sia la procedura adottata, piú o meno precisa, un errore di misura sarà comunque presente, come la fisica ci spiega. L’effetto pratico di un errore di misura è che nell’intorno del valore soglia, quel valore che separa il 34% dal 66% ci saranno alcuni che si trovano nel gruppo sbagliato, alcuni prendono l’incentivo e non dovrebbero, altri che lo meritano non lo prenderebbero. La quantità di docenti trattati ingiustamente dal meccanismo determina il potenziale frustrante dell’operazione. Se da un lato si premia e si incentiva dall’altro si deprime e si frustra. E la categoria è già abbastanza delusa e indignata. Allo stato attuale delle conoscenze e stando al testo governativo la cosa non promette bene. Un procedimento del genere si potrebbe discutere ed adottare solo se fosse stata operazionalizzato e validato in modo scientifico. Per capire il problema si pensi che da almeno dieci anni si dovrebbe effettuare la valutazione dei dirigenti scolastici costruendo graduatorie del personale in servizio e non ci si riesce.
Ma Renzi ha detto che non vuole ascoltare più i tecnici, c’è il primato della politica, ora va di moda la competizione come Marchionne insegna, come Bruxelles e FMI esigono e il governo prontamente offre un mirabile e impressionate esempio di efficienza adottando per quasi un milione di dipendenti pubblici l’avanzamento per merito. Non sarà fattibile? problema di chi verrà dopo i 1000 giorni … o fra due mesi. E se funzionasse, il tenero virgulto regnerà per un ventennio come tutti i predestinati della storia.
Per una buona scuola: autonomia, valutazione, trasparenza
Lettura da pag. 62 a pag. 68 del sacro testo. Più mi inoltro in questo documento e più mi manca l’aria, mi altero e mi deprimo.
Il capitolo 3 è dedicato all’autonomia, o meglio alla vera autonomia. Come è nello stile di tutto il documento si esordisce dicendo che l’autonomia c’è già ma che non è stata realizzata pienamente per mancanza di risorse. 100% di accordo su questa premessa … ma attenzione! non c’è autonomia se non c’è responsabilità e non si è responsabili di ciò che si fa se non c’è la valutazione e la trasparenza. Non una parola sulle risorse che continueranno a mancare, temo.
Il testo sembra preso a prestito da un tema di concorso per dirigenti scolastici in cui ci si diffonde sul migliore dei mondi possibili sciorinando tutte le soluzioni variamente discusse nel dibattito culturale sulla scuola. Confesso che la cosa mi provoca rabbia perché durante una lunga parte della mia vita professionale sono stato dentro a queste cose credendoci ed elaborando e producendo ipotesi e strumenti. Ritrovo un minestrone riscaldato di buone idee riassunte senza un costrutto generale significativo. Ancora una volta, senza alcuna riflessione sul come queste cose possono essere realmente realizzate. Dal testo sembra che la valutazione di un istituto scolastico si debba realizzare collazionando informazioni su tutti gli aspetti, anche i più eterei che qualificano una scuola, anche per le scuole come per i singoli insegnanti si produrranno dossier più o meno strutturati a disposizione di chi? non è detto esplicitamente ma sembra che il primo fruitore sia la famiglia che decide dove iscrivere il figlio.
In effetti il documento rassicura i lettori elettori dicendo che non si tratta di premiare le scuole migliori ma di ‘sostenere la scuola che si impegna di più per migliorare’. Che vuol dire? Che premieranno le scuole che redigeranno piani di miglioramento più belli? Per favore!
Tranquilli, subito dopo queste affermazioni, il documento dice che finalmente entra in campo il Sistema Nazionale di Valutazione istituito dalla legge 80 del 2013. Tutto risolto, l’approccio sarà agile e non ridondante, non sarà un ulteriore adempimento amministrativo. Il profano si chiede, allora l’Invalsi è chiuso? ci siamo liberati dei test? no, no è cambiato il nome ma si tratta proprio dell’Invalsi con una delle sue cangianti uniformi che questa volta è pronto a valutare le scuole, magari con l’aiuto, con il fondamentale apporto degli ispettori. Quali ispettori? Quanti ispettori? Quante cose vuoi sapere caro Bolletta aspetta di arrivare alle pagina 163 e conoscerai i nome dell’assassino.
Quindi niente graduatorie di scuole ma informazioni pertinenti e ricche a disposizione di tutti sulla rete, un nuova e potente piattaforma informatica dalla quale sbirciare sistematicamente vizi e virtù di ogni scuola. E parallelamente un albo elettronico nazionale di tutti gli addetti della scuola, qui solo virtù e nessun vizio per rispettare la privacy, dal quale il padre amorevole potrà scegliere i docenti per i propri figli, l’amministrativo potrà pescare il supplente dell’ultimo minuto, e, soprattutto, il preside potrà pescare i migliori per inanellare con pregevoli professionalità la propria beneamata scuola.
Arrivato a questo punto mi sono cascate le braccia. Non so se continuerò a fare il commento di questo documento. Sono molto preoccupato.
§3.2 La governance da pag.69 a 71. L’uso della parola inglese Governance oltre a dare al documento un tono più moderno ed europeo consente di sfumare la questione della distribuzione dei poteri dentro la scuola e dentro le scuole.
Chi amministra? chi decide? chi rappresenta chi? quali sono gli ambiti delle varie competenze, delle responsabilità variamente distribuite. Si parte dall’affermazione perentoria che propone il preside come timoniere in grado di determinare il cambiamento di rotta. Per far ciò deve leggere meno circolari e occuparsi di più della didattica, dei rapporti con il territorio. Per migliorare ci vogliono allora presidi migliori, scelti con nuove procedure più attente alla qualità. Il testo fa passare implicitamente come una acquisizione di questo governo la nuova modalità di reclutamento in realtà già adottata in norme approvate nelle precedenti finanziarie. Ancora una volta la premessa generale secondo cui servono nuovi dirigenti più vocati alla leadership educativa è contraddetta dall’idea che la selezione e la successiva formazione del personale dirigente della scuola sia gestita dalla Scuola Nazionale dell’Amministrazione che ora forma la dirigenza delle varie burocrazie dello Stato. Già nell’ultimo concorso il programma previsto per le prove scritte era fortemente sbilanciato sugli aspetti giuridico formali della gestione, assai meno sulle attività specifiche della scuola.
Il testo, dopo aver sottolineato la necessità di una valorizzazione della figura del DS e della sua funzione, si affretta a limitarne le prerogative: ‘La rinnovata definizione dei poteri e delle responsabilità del dirigente scolastico va bilanciata da un nuovo protagonismo dei docenti e da un maggiore coinvolgimento dei genitori, degli studenti e del territorio di riferimento.’ Un colpo al cerchio e un colpo alla botte come nel resto del documento. Ovviamente sappiamo che il bilanciamento dei poteri è la vera questione da risolvere ma il documento non prende chiara posizione se non contro la collegialità che è a suo dire sinonimo di immobilismo, veto e impossibilità di decidere. Stessa ideologia renziana che vede negli organi di rappresentanza democratica un impiccio e un intralcio per il decisore al governo. Con il possibilismo tipico di un articolo di giornale, il documento afferma che gli organi di governopotrebbero essere quelli attuali, più il nucleo di valutazione, più tutto ciò che nella fervida fantasia di ogni scuola autonoma potrebbe essere statuito. 10.000 repubbliche indipendenti … e questa sarebbe una riforma?
In questo quadro dedicato alla figura del preside, alla sua selezione e alle sue funzioni dentro la scuola, si evoca la figura dell’Ispettore che, se non ho capito male, sarebbe cooptato (da chi?) scegliendo tra i presidi migliori. Ciò produrrebbe un rafforzamento di una figura fondamentale, secondo il documento, ma non si dice di più in questo contesto se non che è la figura di riferimento per la valutazione.
Ma tu Bolletta cosa faresti?
Se vogliamo parlare di governance, cioè dell’assetto dei vari poteri all’interno degli istituti scolastici, definirei meglio le varie competenze rafforzandole come un sistema di micro poteri che si bilanciano. In particolare darei al collegio la potestà di chiamata del Preside scegliendolo tra candidati abilitati alla dirigenza e assegnando incarichi quadriennali. Dopo il primo quadriennio il collegio potrebbe cambiare dirigente, confermare per un altro ciclo quadriennale o confermare a tempo indeterminato. Il Preside potrebbe vedere accresciuto il suo potere di indirizzo e di gestione del personale come il documento governativo propone ma dovrebbe fare i conti con un collegio maggiormente responsabilizzato. Ovviamente il rischio di un aumento della nevrosi collettiva sarebbe alto ma a regime la costruzione di una forte identità culturale ed educativa della scuola sarebbe più probabile. L’idoneità alla dirigenza sarebbe concessa ad un numero superiore ai posti reali e quindi questa prospettiva, l’inserimento in una lista di idonei, sarebbe uno stimolo per migliorare la propria competenza professionale per molti docenti che desiderano diventare presidi.
Per una buona scuola: sbloccare e modernizzare
Commenti dal § 3.3 al § 3.7. Continuo ad appuntare le mie reazioni alla lettura del documento sulla riforma della scuola anche se mi sembra che in giro, almeno sulla rete che vedo io, il dibattito sia piuttosto stanco, come se questa proposta avesse depresso e deluso il clima generale senza far ripartire la speranza. Stesso effetto degli 80 euro sulla economia?
Questa parte del capitolo 3 riguarda soprattutto il problema della burocrazia e dell’organizzazione della macchina ministeriale e del sistema scolastico nel suo complesso. Stona il fatto che proprio in questa parte sia affrontato il tema dell’inclusione che più correttamente dovrebbe trovarsi nel capitolo sulle risorse per il personale o sulle parti finali concernenti la qualità formativa e didattica della scuola. Temo che tutto si riduca però alla questione del potenziamento dell’organico di sostegno senza una riflessione seria ed approfondita sulla questione dell’inclusione dei diversamente abili, degli alunni in difficoltà e degli alunni non italiani. In questo ambito si doveva forse promuovere un vero cambiamento di verso.
Questi paragrafi sono ancor più degli altri segnati dallo stile renziano: grandi idee, buoni propositi, un po’ di confusione sulla situazione effettiva, accaparramento dei meriti di interventi di altri governi, vaghezza delle proposte.
Emerge un pregiudizio negativo verso l’amministrazione e la burocrazia, il fastidio per le regole, le norme, le consuetudini. Sembra che la scuola sia bloccata dagli organi di rappresentanza democratica e dalle norme burocratiche, dalle circolari. Intendiamoci ciò è in parte vero ma non è cancellando 100 norme che la situazione sicuramente migliorerà. Il Calderoli fuochista docet. Anzi se la potatura delle norme non è fatta con giudizio il sistema piuttosto anchilosato e pachidermico potrebbe sedersi del tutto e collassare. Ricordiamo che l’abolizione del falso in bilancio fu giustificato e presentato al volgo come una azione semplificatrice che togliendo lacci agli imprenditori poteva dinamizzare l’intrapresa. E’ accaduto il contrario: gli onesti scappano e vanno dove le regole sono rispettate e i contratti sono fatti valere e sopravvive una imprenditoria asfittica che lavora solo su commesse pubbliche in cui non si rischia il proprio capitale personale. Ma torniamo alla scuola. E’ evidente il tono populista di chi dice ‘diamo ai docenti e ai presidi la possibilità di cancellare ciò che li infastidisce’. In un testo di questo genere si deve pretendere la presenza di precise e puntuali indicazioni di norme specifiche o di contesti organizzativi in cui si può e si deve intervenire.
In realtà una proposta precisa viene fatta, quella di redigere un nuovo testo unico delle norme. Purtroppo qualsiasi testo unico nasce già vecchio se non si mette a punto un sistema di aggiornamento in tempo reale visto che la normativa evolve sia per la ingente produzione legislativa sia per gli interventi regolamentari della amministrazioni che interagiscono con le scuole sia per effetto della giurisprudenza che produce continui cambiamenti per le singole fattispecie.
D’altra parte poche pagine dopo, nel descrivere una vasta ristrutturazione organizzativa fondata sulla digitalizzazione, si pensa ad una accessibilità diretta via web alle varie fonti normative e agli stessi dati per cui l’idea di investire un anno di lavoro per un testo unico appare forse superata. Ma ciò accade perché questa parte, più delle altre, risente del metodo con cui è stata assemblata, la vecchia storia del minestrone in cui si mettono insieme in un calderone tante cose buone ma che alla fine potrebbe risultare disgustoso o poco appetibile.
Il comune denominatore delle proposte è la modernizzazione centrata sulla digitalizzazione sia della gestione amministrativa sia della didattica sia delle attività di laboratorio. Pur accusando l’introduzione della LIM come una operazione ingombrante che ha creato più problemi che vantaggi, si continua a pensare al Ministero centrale come al motore dell’innovazione tecnologica con progetti centralizzati dai nomi tratti dallo slang dei anglofoni. I processi di adattamento e di assimilazione delle nuove tecnologie hanno una loro forza e l’Autonomia sarebbe in grado di dosare opportunamente il grado di innovazione compatibile con la salute del sistema se non fosse sistematicamente eterodiretta a cicli alterni dalle maggioranze politiche del momento.
Ciò che interessa di più agli autori del testo è lo sviluppo di un immagine positiva del sistema scolastico, è la trasparenza messa a disposizione dei portatori di interesse, famiglie, industriali, politici.
Mentre scrivo questi commenti leggo che il ministro Giannini ha annunciato la riforma dell’esame di maturità con il ritorno alle commissioni interne, per risparmiare. Tornerò a riflettere sulla proposta ma a caldo mi sembra che essa sia la dimostrazione di quanto le belle cose scritte in questi paragrafi siano vuote chiacchiere per indorare una pillola che ha tutt’altro sapore.
Ho smesso di commentare il documento governativo sulla buona scuola quando ho sentito l’annuncio del ministro circa i nuovi esami di stato. Mi è parso evidente che il documento La Buona Scuola fosse una sovrastruttura ampollosa che doveva distogliere la nostra attenzione sui reali intendimenti del governo. Scuola stai serena! sogna il cambiamento! che intanto per il momento dobbiamo tagliare.
Ho smesso la lettura e il commento del documento governativo perché ho cominciato a leggere il libro si Galimberti che ha dato forza e urgenza a tante mie inquietudini sulla condizione giovanile, sulla funzione della scuola in questa crisi che non sembra finire mai. Nel documento renziano non c’è proprio nulla dello scenario che Galimberti traccia, non c’è nulla che faccia pensare a come si possa affrontare il problema dell’emergenza giovanile.
Poi una cara collega mi ha telefonato per chiedermi un intervento per una rivista, mi sono reso conto che i miei ragionamenti erano troppo personali nello stile della rete e che qualcuno si attendeva da me una formalizzazione più coerente con la mia storia professionale e quindi mi sono rimesso a leggere il documento, per finire almeno di leggerlo.
Niente da fare, oscillavo tra la rabbia e la noia sonnolenta. Oggi riflettendoci su, ho capito perché. Credo di aver capito perché questo documento non mi appassiona ma neanche mi indigna. Mi preoccupa e mi delude.
Niente di quanto è lì scritto è nuovo per me, l’ho vissuto in prima persona nei tanti ruoli diversi che ho avuto in quarant’anni di servizio. A un certo punto ho cambiato modalità di lettura e mi sono chiesto per ogni affermazione e per ogni punto chi aveva sostenuto questa o quella tesi. Questo lo diceva Berlinguer, questo l’ha realizzato la Moratti, questa era una idea dei tempi della Gelmini, qui sono contenti i sindacati, qua sono contenti gli industriali, qui c’è l’Ocse, là l’UE. Riguardando indietro la mia esperienza personale ritrovavo allora il penoso andirivieni delle mode, delle parole d’ordine, delle riforme disattese dalla maggioranza sopravveniente in ogni cambio di legislatura, e poi riprese dopo due legislature, percepivo la risacca che con la crisi sembra risucchiare tutto al largo senza pietà per nessuno.
Ho capito! questo documento è l’essenza del renzismo, il tentativo di superare la dialettica tra destra e sinistra, tra ricchi e poveri, tra padroni e dipendenti, tra giovani e vecchi, con soluzioni che con giochi di parole accontentano tutti rimanendo sulla superficie dei problemi. Mentre Monti voleva scontentare tutti a destra e a sinistra, Renzi vuole sommare prendendo il meglio di ciò che le due componenti del suo governo possono esprimere. Ma non vuole fare sintesi, prepara un minestrone di buone idee, illude il popolino che lo vota che si può aggiustare il condimento o cambiare qualche verdurina e poi a tempo scaduto lui impone con violenza, con impeto, con velocità la soluzione storica valida per decenni. Povero Renzi, poveri noi, non è così, la scuola è come la Costituzione è una istituzione che ha una sua stabilità che va oltre i regimi politici del momento. Sì sono un conservatore.
Per dare un esempio di come il documento affronta ad esempio il problema dell’avvio al lavoro cito un breve passo:
In passato, i laboratori tecnici delle nostre scuole hanno formato le figure professionali protagoniste del successo industriale italiano. Oggi, allo stesso modo, dentro laboratori di nuova generazione, i nostri giovani possono imparare a unire il materiale con il digitale, stampando in 3D, tagliando con il laser, addestrandosi alla robotica o all’hardware open source. Ma anche sperimentando creatività e imprendi-tività, scoprendosi inventori, imparando ad usare in anticipo gli strumenti dell’impresa, capendo cosa rende speciale il Made in Italy e quali saranno le prospettive più interessanti per il Paese nei prossimi 15 o 20 anni e su cui varrà senz’altro la pena specializzarsi. Ciò permetterà alla nostra manifattura migliore di essere leader anche nel XXI secolo.
E quelli che dovranno cogliere la frutta nei campi? E quelli che terranno pulite le nostre città? E quelli che staranno al tornio? O tutto si potrà fare con la stampante 3D come dice il grande guru Grillo.
In questo documento non c’è un’anima, non c’è un’idea che possa unire destra e sinistra, che possa dar speranza a coloro che si sono chiamati fuori dalla gestione politica. Sì che la scuola sarebbe proprio quell’area su cui un incontro e una sintesi efficace sarebbe possibile tra gruppi politici contrapposti.
Letta aveva fatto un governo di larghe intese su mandato del Presidente in una situazione di grave emergenza istituzionale e aveva provocato mediante una gestione minuta e ordinata della cosa pubblica un chiarimento a destra che consentiva di gestire i pochi mesi che un accordo tra forze diverse incompatibili consentiva. Poi si doveva tornare rapidamente alle elezioni con una nuova legge elettorale. Ora il renzismo, con rapidi colpi di mano e con la benedizione del grande barone di Arcore, e con benedizione di un Napolitano ormai ricattabile da tutti, si appresta a cambiare la Costituzione, eleggere il nuovo presidente della Repubblica, governare tre anni e riformare radicalmente la scuola. Ma, scuola stai serena! non è una vera riforma ma una precaria riorganizzazione per efficientare la spesa.
Al di là della questione lingua, la «Buona Scuola» come le sembra? «Lasciamo stare la sovrabbondanza di anglicismi persino ridicoli tipo “gamification”… In sé è un documento accattivante, c’è un’atmosfera scherzosa, nello stile di Renzi, piacevole, con contenuti bizzarri. Io non voglio buttarla sul tragico, ma i problemi della scuola purtroppo lo sono: le strutture edilizie, le lacune del personale tecnico, il rapporto con il mondo del lavoro, le prospettive didattiche… Bisognerebbe rimettere mano all’impianto della scuola media superiore, formare gli insegnanti, che hanno ancora una visione disciplinarista e che invece dovrebbero collaborare tra di loro in funzione di una prospettiva trasversale, sul saper ragionare, argomentare, parlare… La “Buona Scuola” tace su questi argomenti, ma in compenso ne parla la finanziaria, che continua a tagliare sulla scuola, per non dire dell’università che è prossima a defungere».
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