Buona Scuola? Commenti

In questa pagina ho raccolto tutti i post scritti in queste settimane a commento del documento del governo sulla scuola. Navigando con i rimandi all’interno del blog può capitare di non riuscire a cogliere la sequenza dei commenti. Per questo li ho raccolti di seguito anche se mi rendo conto che difficilmente si può leggere tutto d’un fiato un testo troppo lungo. Buona lettura. Attendo commenti.

Purché non si dica che è una riforma

Oggi ad una sosta in autostrada, di ritorno dalle vacanze, mi sono seduto ad un tavolo del self service e non mi è stato possibile evitare di ascoltare il notiziario che veniva diffuso a tutto volume. Si annunciava al volgo il contenuto della nuova riforma della scuola, l’altra meraviglia che Mattia il gradasso sta preparando per stupirci nel prossimo mese. Il gran problema della scuola sono le supplenze, vanno abolite e non se ne parli più. Concorsi a gogò, viva la meritocrazie e l’efficienza, in trent’anni (sic!) avremo una scuola del tutto nuova. Era il commento non so se serio o faceto del cronista. Il contesto un po’ sbracato e distratto di un autogrill consente di percepire la notizia per quel che è, come la sente un profano non addetto ai lavori che manda i propri figlioli a scuola. Vedi che bravo Renzi, non ci saranno più le supplenze così spenderanno meno e non perderete tempo. Evidentemente i prof non si ammaleranno più!

So troppo poco per poter commentare ma due o tre cose a caldo le devo scrivere. Questa non è una riforma della scuola ma una ristrutturazione organizzativa che ha di mira il costo della docenza e cerca di razionalizzare la spesa spremendo qualche miliarduccio da mettere su qualche altra posta del bilancio. Come le teste d’uovo di viale Trastevere siano state in grado in poche settimane di concepire una riforma epocale è cosa molto misteriosa. Più plausibile che come al solito il ministro abbia collazionato una serie di idee più o meno elaborate e discusse in questi ultimi anni chiuse nei vari cassetti della burocrazia centrale e ne abbia fatto un nuovo decalogo di linee guida, di buoni propositi, un nuovo minestrone indigesto per poter dire che tutto cambia e che si spende meno. Spero sinceramente di essere smentito.

Vedremo nei prossimi giorni. Sia chiaro l’Europa nel famoso documento-lettera che mandò all’aria il governo Berlusconi perché i leghisti non vollero approvare i provvedimenti allora richiesti (2011) nel capitolo ‘scuola’ non chiedeva di diminuire la spesa ma di qualificarla, chiedeva di verificare la qualità dei diplomi rilasciati, chiedeva che l’Italia convergesse nei tempi previsti ai parametri del programma di Lisbona. In particolare, se non ricordo male, l’Europa chiedeva che si riqualificasse il settore della formazione professionale adeguandola agli standard della certificazione europea.

Aspettando la pubblicazione della riforma renziana della scuola

La rete si popola di dibattiti e prese di posizione sulle prime indiscrezioni sulla riforma che oggi è slittata forse alla prossima riunione del CDM causa ingolfamento. Anche Renzi ha i suoi limiti, in fondo non dobbiamo pretendere troppo dal tenero virgulto.

Riporto qui un dibattito che mi ha coinvolto su FB. 

Post di Massimo

LA SCUOLA PRODUCE CULTURA NON INTERESSI SPECIFICI!

Se le scuole rappresentassero gli interessi della collettività, e li rappresentano (ditemi chi è quel cittadino che non è coinvolto dalla presenza delle scuole), dovrebbero avere un’autonomia territoriale (o comunque si inventassero un altro tipo di autonomia per rientrare nelle definizioni giuridiche), no una semplice autonomia funzionale che la espone ai “vezzi” del padroncino di turno!

Produciamo cultura, non siamo una camera di commercio che rappresenta gli interessi “specifici” di una categoria, rappresentiamo gli interessi di tutti!

(da un’idea che ho avuto leggendo un post di Fiorella De Rossi)

aggiunge a commento lo stesso Massimo

Per chiarire caso mai qualcuno mi volesse interrogare in diritto (come è avvenuto in altre parti):
Nel post dico: “o comunque si inventassero un altro tipo di autonomia per rientrare nelle definizioni giuridiche” … in modo da poter decidere anche per il territorio. La mia è un’opinione, e la proprietà dell’edificio potrebbe pure non essere rilevante, ma un bilancio autonomo come quello dei comuni (assumere il ruolo che hanno i comuni rispetto all’istruzione) penso possa essere rilevante. So bene che è illusorio, ma almeno proviamoci a non sentirci parte di un territorio e poter far poco per incidere sul suo sviluppo!

Raimondo non sono d’accordo sull’idea di fondo secondo cui il problema della scuola sia riducibile ad una non adeguata autonomia. Sarà lo specchietto delle allodole della riforma Renzi. Ricordo che forse per una svista l’autonomia delle scuole è entrata in costituzione con il titolo V ma non mi risulta che qualcuno si sia rivolto alla corte costituzione per difenderla rispetto ad altri poteri dello stato. Autonomia funzionale non significa indipendenza o sovranità né va confusa con la personalità giuridica, che le singole scuole hanno. Penso che il quadro giuridico e normativo sia più avanzato di quanto la prassi rassegnata di noi tutti realizza. D’altra parte è del tutto illusorio pensare che la scuola, le scuole siano in quanto autonomie in grado di rispondere alle gravi questioni di fondo che il presente pone all’educazione. Per capirci, le autonomie dei comuni non sono in grado di gestire la politica urbanistica ed ecologica del territorio se non ci sono criteri e norme generali che danno un indirizzo coerente.

Massimo: Raimondo, quello che dici è vero, il problema non è riconducibile a un’adeguata autonomia! Ma quella che hanno le scuole non ci pone al centro del territorio in cui operiamo. La mia opinione è che se avessimo un’adeguata autonomia potremo assumere attribuzioni proprie dei comuni e sganciarci da essi.
Per me il problema centrale è che la scuola dovrebbe diventare (inventassero una personalità giuridica e un’autonomia che possono rispondere a questa esigenza) un motore della crescita culturale, dovrebbe cioè, produrre cultura.
Le scuole dovrebbero avere maggiore responsabilità e sensibilizzazione verso quest’obiettivo, in caso contrario le “gravi questioni di fondo che il presente pone all’educazione”, le faremo affrontare ai “capetti di turno al governo” che con non sanno neanche come è fatta la scuola!

RaimondoCaro Massimo, sono quasi d’accordo. Sei più giovane di me, io sono in pensione e quindi consentimi di essere più disincantato. La carta dell’autonomia è stata giocata, naturalmente la salsa leghista e il liberismo spinto antistatale l’hanno interpretata in un modo che non ha consentito che da questo spazio di libertà nascesse quello che speri tu ora. Sono convinto peraltro che le cose siano andate meno peggio di quanto si crede, la scuola ha conservato una capacità di resilienza poco riconosciuta dai mass media ma che ha attutito gli effetti dei colpi pesanti che ha subito. La scuola, le scuole non possono da sole produrre cultura se non in un senso ristretto e localistico, troppo condizionabile da leadership personali (positive o negative poco conta) da interessi economici o politici. Quando parlo di cultura intendo una identità complessa che resiste alle mode, ai capetti, agli slogan ma che crea aggregazione ed appartenenze positive. Se quando parli di scuola intendi un aggregato che comprende anche le università, gli intellettuali che scrivono e producono elaborazioni, le case editrici, le associazioni di categoria, le riviste, i mass media specializzati allora sono d’accordo con te, questo è il mondo che deve elaborare strategie, idee, obiettivi, visioni del futuro. In questo aggregato ci metto anche i politici che onestamente e con competenza vogliono affrontare il problema. La mia è una visione un po’ nostalgica legata alla mia giovinezza quando era normale per un docente essere abbonato ad almeno una rivista sulla scuola, tempo in cui ci cibavamo degli articoli di Riforma della Scuola, di Scuola e Città in cui docenti universitari di chiara fama internazionale (Aldo Visalberghi non era il solo) si sporcavano le mani con noi docenti della scuola passando ore, pomeriggi o giornate a ragionare sulla scuola e programmare il cambiamento. Per questo mi offende che un nuovo ducetto ora voglia cavalcare il cambiamento di verso nella scuola di cui conosce forse solo i problemi della moglie e di cui non ha rispetto e riverenza: lo dimostra il modo in cui questa ennesima non riforma è in gestazione, nel chiuso delle direzioni ministeriali, nel chiuso dei conciliaboli di corrente partitica, nella ricerca di interventi ad effetto che producano voti alla prossima tornata elettorale. La scuola deve essere resiliente, deve resistere e reagire.

Massimo Caro Raimondo, hai perfettamente interpretato il mio pensiero! Quello che ci rimane è la capacità di far fronte alle avversità e in questo ci distinguiamo da ogni altra istituzione dei comparti statali. Purtroppo siamo soli ma dobbiamo resistere per realizzare quel minimo che ci è permesso!

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