La proposta di riforma costituzionale del governo Meloni, di cui conosciamo solo alcuni aspetti e di cui non sappiamo valutare le possibili implicazioni pratiche di lungo periodo, inizia il suo iter parlamentare che, in base alle norme stabilite dalla stessa costituzione, prevede una doppia lettura delle due camere e un intervallo tra le due approvazioni congruo perché si arrivi ad una decisone ponderata e prudente; inizia anche un iter nelle nostre teste gestito dai media che ci devono convincere che questa medicina è proprio quella che ci serve per uscire dalla lenta agonia in cui la nostra società sembra essere reclinata. Si istillano alcune idee a piccole dosi senza che la temperatura del brodo in cui siamo immersi salga troppo.

Ieri mi è toccata una prima dose a In mezz’ora di Monica Maggioni. Il gran ciambellano della discussione era Sabino Cassese che con un tono rassicurante e saggio ha affermato che si è sulla buona strada, che se non si esagera a voler troppe cose risolveremo finalmente il problema della governabilità e della stabilità. Anche il prof Giovanni Orsina della Luiss ha dato manforte alla tesi secondo cui questa riforma sarà capace di assicurare ai cittadini la facoltà di decidere chi avrà il potere di governo per 5 anni visto che l’intermediazione dei partiti ha fallito. Luciano Violante, pur aprendo alla possibilità di collaborare da parte della minoranza di centro sinistra, ha sottolineato una serie di punti oscuri della proposta il primo dei quali è la legge elettorale di cui non si parla ma che è determinante per l’esito effettivo delle elezioni. Come viene assegnato il premio di maggioranza al candidato vincente?
Le piccoli dosi che avrebbero dovuto farmi familiarizzare con la proposta rendendomela accettabile, in realtà, hanno evidenziato ulteriori perplessità oltre quelle che ho già elencato e illustrato nei post precedenti. Nei discorsi sulla proposta di premierato si usa dire che si elegge il governo, ma in effetti si sceglie una persona che sarà il premier, il presidente del consiglio. Pensate al caso delle regioni, scelto il governatore, questi dovrà formare il suo governo costituito da assessori e lo farà con un bilancino sulla base delle forze che si sono alleate e lo hanno sostenuto alle elezioni e ciò potrebbe richiedere settimane di discussioni. Insomma non sceglieremo un governo ma una persona che dovrà successivamente scegliere i suoi ministri. Li potrà destituire se non rigano diritto o se si riveleranno incapaci? Il parlamento avrà voce in capitolo o saranno ancora i partiti che a casa del premier eletto concorderanno i nomi dei ministri? Quale sarà la nuova villa di arcore dove si consumeranno tutte le scelte fondamentali dello stato? il parlamento avrà il potere di dare e togliere la fiducia? come potrà farlo se il premier è eletto direttamente dal popolo? Cosa dice il testo della riforma?
Ho già argomentato la ragione per cui ciò che si propone, l’elezione diretta del premier, non assicurerà la stabilità nel tempo del governo se la maggioranza si è costruita attraverso la coalizione di forze diverse. E’ sicuro che nessuno degli attuali partiti può pensare di presentarsi da solo data l’attuale frammentazione della società che nessun marchingegno giuridico potrà nascondere. Nemmeno forse una legge elettorale con collegi uninominali secondo il modello inglese consentirebbe di eleggere un parlamento con una solida maggioranza effettiva, a parte il premio di maggioranza: collegi uninominali per il 100% dei seggi da assegnare fotograferebbe una Italia spaccata in tre parti, Nord alla Lega, parte del Centro alla Sinistra e il sud alla Meloni. Qualsiasi sia la nuova legge elettorale, l’elezione diretta sarebbe una scommessa temeraria per tutti, in primis per la Meloni che attualmente detiene solo il 30% del 60% degli aventi diritto cioè il 18% effettivo e che al Nord vedrebbe la Lega fare l’asso piglia tutto.
Le piccole dosi di veleno sono contenute in battute ovvie che ormai nessuno contesta. Ad esempio qualcuno dice che il modello proposto è una forma di democrazia diretta perché il cittadino decide direttamente il capo del governo senza intermediazioni del parlamento o della presidenza della Repubblica. La democrazia diretta, quella giacobina, è tale se il popolo ha la facoltà di controllare in itinere il potere revocando il consenso anche sulle singole scelte in qualsiasi momento. Quello che avrebbe voluto realizzare Grillo con il suo partito in cui le scelte fondamentali dovevano passare al vaglio del consenso della rete internet a cui tutti i cittadini avrebbero potuto accedere.
Ovviamente una vera democrazia diretta è impossibile in sistemi politici complessi, occorre che chi è eletto abbia tempo sufficiente per lavorare e realizzare quello che ha promesso: per questo il parlamento rimane in carica per 5 anni e il Presidente della Repubblica per 7 per garantire una certa continuità del sistema. I governi sono in carica finché hanno la fiducia del Parlamento, mediamente in Italia durano poco se contiamo i volti dei presidenti del consiglio (come ha fatto la Meloni nel suo proclama televisivo in cui ha istillano un’altra piccola dose di veleno) ma, se consideriamo le maggioranze e le linee di tendenza fondamentali espresse dai partiti che si alleavano, troveremmo che le politiche realizzate hanno un respiro più lungo spesso decennale, ad esempio il berlusconismo è durato un ventennio anche se fisicamente Berlusconi non è stato sempre a palazzo Chigi, così la politica moderata della DC, le politiche antiterrorismo e antinflazione a due cifre sono durate almeno un decennio.
Chi ha promesso 5 anni di governo ininterrotto della stessa persona, l’Eletto dal popolo, per 5 anni, quanto il suo parlamento, dimentica che l’attuale assetto istituzionale consente che un governo possa sopravvivere al parlamento che si scioglie dopo 5 anni e che in teoria, se lavora bene, e conserva il consenso degli elettori potrebbe durare molto più di 5 anni senza soluzione di continuità.
Mi piacerebbe mantenere attiva la mia resistenza a questo stillicidio di buon senso che ci prepara a mutamenti politici molto radicali e preoccupanti.
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