Democrazia, referendum e populismo

Il mio amico Vale mi segnala per mail il seguente articolo:

Il popolo è sovrano se vota come deve

e così commenta: Riflessioni che ho trovato lucide (e anche un po’ inattese) da parte di un analista sempre molto obiettivo e attento ai dati, particolarmente sul mercato del lavoro (non ho mai letto da parte sua le bavose  litanie ossequiose e le ciclostilate lodi sperticate del “jobs act” che traboccano sui quotidiani nazionali, incluso il suo)

Io così replico

Ho letto con fatica l’articolo, pieno di doppie negazioni, di considerazioni tortuose che mascheravano l’assunto finale. Come puoi immaginare, non sono affatto d’accordo.

Sono tra quelli che benedicono la nostra Costituzione che prevede i referendum solo per determinati argomenti selezionati dalla Corte ed esclude quelli in materia fiscale e sui trattati internazionali. Siamo nel pieno della polemica populista che pretende di affidare alla saggezza divina del popolo, magari espressa sulla rete, la decisione su tutto anche sul colore delle divise dell’AMA. Pensi davvero che il popolo possa consapevolmente votare sull’euro?

Proprio il referendum sulla Brexit dimostra quanto il popolo possa essere stupido (nel senso di Cipolla) non considerando le conseguenze per se stesso delle proprie decisioni.

Sì è così impauriti del declino delle nostra flaccida civiltà bianca che si preferisce deperire per consunzione chiudendo le frontiere.

Aggiungo che la democrazia rappresentativa è l’unica capace di governare efficacemente le nostre società complesse anche perché gli strumenti di manipolazione della testa e della pancia della gente sono diventati sofisticatissimi e potenti come dimostra l’esempio del berlusconismo prima e del grillismo ora.

(…)

Mi risponde Vale

Ti ringrazio per avermi risposto, leggo sempre con molto interesse il tuo punto di vista e lo trovo sempre un autentico arricchimento.
In realtà l’articolo mi è piaciuto perché solleva – trovo garbatamente e non assertivamente, piuttosto che “tortuosamente” – perplessità su come vengono “utilizzati” i referendum (o, in subordine, i “ballottaggi” utilizzati a mò di duelli western), su come vengono interpretati i suoi risultati. Esempi vicini – ovviamente tutti tra loro diversi per contesto e per modalità – sono quello sul Porcellum, quello sull’acqua pubblica, quello greco sull’austerità, potremmo aggiungerci anche la vittoria di Marino a Roma. Il fatto che i votanti si siano espressi in maggioranza per un esito non è servito assolutamente a nulla: si doveva comunque fare un’altra cosa.
Altra cosa che trovo condivisibile (del pezzo di Ricolfi) è che il concetto di “democrazia” mi pare stia diventando – nella vulgata di molti – sempre più qualcosa di “soggettivo”: sarò probabilmente stupido, ma trovo questo aberrante e pericoloso. E non credo che si possa distinguere da quello di “suffragio universale”.
Mio padre – con il quale ho discusso sinché ne ho avuto la possibilità, inziando purtroppo molto tardi – su questo era molto chiaro: lui era CONTRO la democrazia ed era a favore dell’ARISTOCRAZIA (nel senso etimologico del termine, specificava sempre, quindi in senso meritocratico e non dinastico: ma da qui si potrebbe sviluppare un altro discorso che non è il caso di fare qui).
Mio padre parlava in anni (è morto nel 1976) in cui non c’era ancora stata – non in questa misura – quella espropriazione di (quel poco di) capacità di autodeterminarsi dell’umanità faticosamente guadagnata dalla Rivoluzione Francese, anche se solo e limitatamente al Mondo Occidentale, che sta determinando la “globalizzazione”.
A lui bastava farmi rilevare, ad esempio, la “inaccettabilità” dei “movimenti di liberazione” in Africa e Sud America, così come non riusciva a capire come io fossi (diventato? manipolato?) così “democratico”: salvo, ovviamente, tacciare senz’appello di ANTIDEMOCRAZIA l’URSS, la Cina, Cuba e tutti i Paesi del Patto di Varsavia.
Certo, mio padre era sinceramente fascista (VERO, dico, è stato nella RSI e quasi ci lascia la pelle se non lo salva dall’Ospedale di Cremona un suo amico – comunista, tra l’altro -), ma già lì c’era qualcosa nell’utilizzo del termine democrazia (in senso pro- o anti-) che non mi convinceva, così come oggi non mi convincono certi “distinguo”.
Tutte queste “contraddizioni” oggi si sono secondo me enormemente acuite, così come si sono enormemente acuite le differenze tra chi ha quasi tutto e chi quasi niente, anche in semplici termini numerici. Il vero problema, in realtà, è qui. Perché non c’è democrazia se non c’è libertà, ma la libertà è – prima di ogni altra cosa – libertà dal BISOGNO. Gaber diceva che “se potessi mangiare un’idea avrei fatto la mia rivoluzione”.
E credo che proprio noi stessi dobbiamo rivedere un momento i nostri parametri di giudizio. Non sono un complottista alla “Bilderberg” – per essere chiaro – ma ormai c’è in giro un “sentire diffuso” per cui qualsiasi siano gli esiti delle elezioni (o dei ballottaggi, o dei referendum, o di qualsiasi “populista” consultazione popolari) alcuni pilastri che condizionano la vita delle persone non possono essere messi in discussione: e non è affatto detto e acclarato che le condizionino in bene.
Gli stessi reiterati attacchi alla Costituzione che sono stati portati avanti negli anni in questo paese (troppo inutilmente e infantilmente “democratico”) nel passato lontano e meno lontano da gente tipo Junio Valerio Borghese, Gelli, poi Berluska e infine il nostro allegro “taverniere” (come lo chiama D’Alema) – il quale probabilmente, rappresentando nella sua infinita sciatteria e superficialità una parte assi cospicua di nostri concittadini, avrà infine successo – sono figli di questa mentalità OLIGARCHICA – NON ARISTOCRATICA come pretendeva mio padre – che in questo Paese del ca..o, di destra e piduista fin nel profondo, si generano da noi assai più facilmente che in Europa (GB compresa). Non possono esserci padroni se non ci sono schiavi che accettino di esserlo, per paura o per attitudine. Tanta è la paura che alla fine, se non compare da solo se lo vanno proprio a cercare e lo “creano”, senza elezioni, senza niente: Segretario del Partito DEMOCRATICO e PREMIER.
Io riesco a dare una definizione molto vaga – e probabilmente “povera” – di “sinistra” che potrebbe esprimersi in “massima espansione possibile della partecipazione alla direzione politica”, il che coincide con “massima espansione possibile della democrazia partcipativa”. In modo che ognuno di noi conti il massimo possibile. E in ogni caso non mi piace chiamare stupido il “popolo” che non vota come dico io. Al massimo – e lo faccio la maggioranza delle volte – dico “sarà peggio anche per voi”.
Ma la testa degli altri, purtroppo o per fortuna, è degli altri. Ci sta, nella fattispecie, ricordare queste due chicche ben note e ogni tanto citate.

  • Il segretario generale dell’Unione degli scrittori della Repubblica Democratica Tedesca commenta la rivolta degli operai di Berlino Est nel 1953: «La classe operaia di Berlino ha tradito la fiducia che il Partito aveva riposto in essa: ora dovrà lavorare duro per riguadagnarsela
  • Bertolt Brecht: «Il Comitato centrale ha deciso: poiché il popolo non è d’accordo, bisogna nominare un nuovo popolo»

(…)

Io rispondo:

Caro Vale,

il tuo ragionamento è limpido e chiaro, quello di Ridolfi per me rimane tortuoso. Forse anch’io tendo ad essere un aristocratico, un amante delle élite, un nostalgico della competenza e dei valori. Anch’io alla fin fine sono legato all’autorità paterna, alla forza dello Stato.

Quando parlo di stupidità mi riferisco alla definizione data da Cipolla secondo cui è stupido chi per recar danno al nemico lo procura in realtà a se stesso. E’ il caso degli inglesi, è il caso di Marino e di Fassina che non trattano con nessuno né con il PD né con 5S rimanendo isolati e ininfluenti, è il caso di Podemos che tira la corda e perde consensi …
Ciao
Questa mattina ho trovato su FB uno splendido e chiaro articolo su questo argomento a firma di Stefano Feltri


Categorie:Politica, Referendum costituzionale

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