Sabato pomeriggio il mio amico Luciano C. un vulcanico docente della scuola che ho presieduto 6 anni fa mi ha stanato dalla mia quiete piccolo borghese invitandomi ad un incontro con un sacerdote siriano di passaggio a Roma.
L’incontro era organizzato da una Onlus che in questi anni di guerra civile in Siria si è data da fare per mandare aiuti direttamente. Vi partecipava anche una organizzazione di volontari a cui appartiene Luciano il quale andò prima della guerra a Racca ad insegnare a bambini piccoli ad andare in bicicletta.
Fratello Georges vive ad Aleppo nella zona cristiana, appartiene alla congregazione dei Maristi e si dedica sopratutto all’educazione dei giovani. Decise di restare ad Aleppo anche nel periodo dei bombardamenti.
Molti sono scappati, molti sono morti, le statistiche non sono ancora disponibili ma ciò che certo è che di 250.000 cristiani di Aleppo ora sopravvivono in città circa 25.000. La stessa implosione della popolazione ha riguardato tutta la città colpendo in ugual misura tutte le religioni.
Ma della guerra e delle sue atrocità non ha voluto parlare se non con qualche breve cenno, quasi sottovoce, mentre il suo messaggio è stato che questo è il momento del dopoguerra, quello in cui dalle ceneri può ripartire una fiamma di vita e di rinascita (l’immagine è la sua).
A questo punto ho provato un acuto senso di colpa: il mio disinteresse e la mia ignoranza mi fanno considerare la Siria come una cancrena senza speranza lasciata alle cure della geopolitica gestita da politici che non stimo, solo fonte di allarme in Europa per la destabilizzazione arrecata dall’arrivo dei profughi.
La realtà è diversa, gente provata e temprata dal dolore e dalla morte dei propri cari nutre nuova speranza, formula progetti.
Così fratello Georges tira fuori dalla sua borsa dei vestiti confezionati da una cooperativa di donne di Aleppo le quali riciclano e ricondizionato abiti occidentali dismessi, mostra un pezzo di sapone che un giovane musulmano, unico sopravvissuto di una famiglia di piccoli imprenditori, ha ripreso a produrre in un laboratorio in parte distrutto dai bombardamenti. Arriva quindi a parlare del progetto che sta cercando di avviare con l’aiuto delle persone che erano lì presenti.
Intende riaprire un’officina che produce stampi metallici finanziando per un anno lo stipendio di dieci operai e di due tecnici istruttori.
Parlando del dopoguerra e delle prospettive della rinascita insiste sul problema principale che dovranno affrontare: i giovani adolescenti che hanno imbracciato il fucile e che hanno provato cosa vuol dire uccidere in una azione militare. Questi ormai vedono il mondo diviso in due parti nette, i buoni e i cattivi. E i cattivi vanno uccisi. Il problema della ricostruzione è la demonizzazione della realtà.
Ho ascoltato con emozione e commozione, non sono riuscito a tacitare una riflessione forse banale: senza aver subito una guerra distruttrice noi italiani siamo nel pieno di una demonizzazione reciproca che sta sgretolando i nostri progetti per il futuro.
Il fratello Marista Georges Sabe questa mattina era tornato in servizio nella sua scuola elementare ad Aleppo. La Onlus in cui l’ho conosciuto è la Aiulas.
Categorie:Riflessioni personali
Commento di Giacomo Siro se FaceBook.
Sentita e profonda riflessione dell’amico Raimondo Bolletta.
Purtroppo come io stesso spesso sottolineo i media occidentali ignorano, sminuiscono, traviano la realtà di conflitti a noi lontani.
Penso al genocidio perpetrato dall’Arabia Saudita nei confronti degli sciiti dello Yemen del Nord di cui nessuno, o quasi parla, o scrive !!!
Sulla Siria si sono esercitate a diverso titolo, con differenti strategie gli sforzi di vari paesi:
Usa, Turchia, Russia, direttamente, Iran, Arabia Saudita, Israele, Egitto indirettamente.
Chiaramente l’obiettivo era abbattere Assad e con lui gli alauiti, ovvero gli sciiti,e spartirsi tra i confinanti il territorio, secondo le divisioni ideologiche, tribali e religiose.
Un melting pot inaudito: cristiani, maroniti, drudi, musulmani, islamici, curdi … Il popolo tutto ha perso!
Il disastro di questo conflitto si riverberà per almeno un decennio su tutta l’Europa .
Disastro umanitario che Raimondo ha tracciato con chiarezza.
Di cui la stessa Europa è responsabile diretta per non essere intervenuta all’origine.
Di aver accettato una strategia americana votata allo scacco politico e militare.
Di aver posto tra sé ed il disastro il boia Erdogan, quale argine alla fuga di un popolo ridotto in miseria.
Il minimo che oggi possa fare e’ricercare le condizioni per porre fine a questo conflitto e permettere ai 3 o 4 milioni di poter rientrare nel proprio paese.
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