Due sere fa a cena il nipote del quale ho raccontato in altri post tra una pietanza e l’altra mi dice che stava esplorando un nuovo programma Unreal Engine 5 per la generazione di sequenze cinematografiche realistiche nei video giochi. Gli chiedo, pensando che avesse letto il mio pezzo sull’uso delle parole: pensi allora che non ci si debba fidare nemmeno delle immagini, che nemmeno le sequenze cinematografiche possano costituire una prova certa? Ma non vogliamo parlare della guerra e cambiamo argomento. La mattina dopo mi invia tramite whatsapp una sequenza di una stazione ferroviaria deserta. Trovo la cosa un po’ strana e temo che dall’altra parte ci sia un hacker, interrompo la visione del filmato chiedendo chi fosse veramente il mio interlocutore. Vero! sono forse un po’ paranoico ma il racconto non finisce qui. Daniele conferma la sua identità e mi incoraggia a vedere tutto il filmato chiedendo un mio parere: potrebbe essere la ripresa di un ambiente vero in cui sta per accadere forse un delitto, una fuga o una catastrofe, un vero incubo che si gioca sulla luce di una torcia che illumina ed esplora una scala per uscire da una stazione ferroviaria in cui all’improvviso diventa notte e va via anche la luce artificiale. A questo punto Daniele mi propone la visione di un altro pezzo sviluppato con lo stesso software applicato a un tipico gioco elettronico in cui si riproduce un inseguimento di macchine che si sfracellano l’una contro l’altra.

Questi episodi di vita familiare mi hanno portato a riflettere sui giochi di guerra e sulla realtà virtuale. Molte cose di questa guerra si giocano sul consenso delle popolazioni coinvolte, non solo quelle direttamente belligeranti ma anche quelle che ne potrebbero subire gli effetti o in modo leggero con una riduzione del proprio reddito o in modo tragico se si arrivasse a un conflitto regionale o mondiale o addirittura alla distruzione atomica della civiltà umana. Da qui l’impegno dei media per assicurare una copertura giornalistica completa su tutto ciò che accade sul terreno con informazioni dettagliate e minute in cui la testimonianza del singolo individuo coinvolto, militare, politico, giovane o anziano, uomo o donna assume una valore spesso universale capace di spiegare l’intero senso di una situazione molto complessa e tragica. Parole ed immagini ci bombardano ma la sensazione è che gli spettatori si siano assuefatti e fastidio, indifferenza stiano serpeggiando quasi che tutto ciò sia una realtà virtuale, un brutto sogno da cui risvegliarsi quando vogliamo. Pirandello sarebbe andato a nozze con una società in cui senza soluzione di continuità realtà rappresentata, realtà aumentata, situazioni fantastiche, film interpretati da attori già morti si confondono con cronache di guerra spietate di battaglie di cui sfugge spesso il significato. Chi è David, chi è Golia? Draghi offre in questo modo una mirabile sintesi della fase due della guerra ora che il David iniziale ha mostrato che Golia ha i piedi d’argilla?
Tutto il dibattito sul da farsi è centrato sulla possibilità di una vittoria, una vittoria di chi? La Russia non può vincere perché non ha dichiarato una guerra ma sta realizzando una operazione militare speciale e potrà solo dichiararne la fine avendo raggiunto i suoi obiettivi o tornando sui suoi passi. L’Ucraina potrà cacciare l’invasore dai suoi confini ma poi avrebbe un terribile dopoguerra per ricostituire una unità nazionale lacerata di due guerre terribili, una durata 8 anni e un’altra di pochi mesi. Una vittoria senza perdono e senza mediazioni quale quella vagheggiata dalla dirigenza attuale di Kiev è una vittoria di Pirro perché condanna il paese a nuovi conflitti insanabili al suo interno. (E’ chiaro che l’autonomia del Donbas, delle due repubbliche autoproclamate è la strategia di pace vincente per l’Ucraina). L’Occidente non può dichiarare la propria vittoria perché è non belligerante, è indifferente ai destini dell’Ucraina mentre spera nella rovina della Russia che determinerebbe però la propria rovina. Questi concetti li ho illustrati nel post La pace conviene ma ieri, complice la visione del video prodotto con la realtà virtuale di un videogioco, mi è tornato alla mente un grande film degli anni ’80, War games. Se non lo conoscete vale la pena di cercarlo perché aiuta a capire molte cose, anche il fatto che molti miei ragionamenti sono influenzati da quel film.
Avevo già pensato a questo film quando Lucio Caracciolo, parlando del rischio nucleare legato alle scelte di Putin, ha dichiarato che per lanciare un attacco nucleare totale occorre una catena di comando complessa e non è possibile se non c’è un accordo tra più attori che si controllano a vicenda e questo a suo dire non è il caso della dirigenza Putin.
Nel film accade il contrario, il sistema informatico che controlla la situazione della difesa antimissilistica americana disponendo la contromossa in caso di attacco da parte del nemico (nel film i nemici sono i Russi, eravamo alla fine della guerra fredda) a causa di un accesso indebito al sistema di un ragazzetto che giocava online con antagonisti virtuali, lancia un programma che simula un attacco missilistico analizzando e studiando le contromosse da intraprendere. Tutto ciò doveva avvenire in modo virtuale per sviluppare l’intelligenza del software ma il sistema di controllo confonde il virtuale con il reale e comincia la sequenza per il lancio reale dei missili intercontinentali come reazione a un attacco inesistente. Ovviamente il sistema era tale da non poter essere fermato manualmente per evitare manomissioni da parte del nemico, nemmeno il presidente poteva più fermare la macchina e l’intero sistema dei missili. Ma il ragazzetto che aveva combinato questo guaio intuisce che bisognava distrarre la macchina con nuovi giochi in cui impegnare la sua potenza di calcolo e sceglie Tris come gioco in cui la macchina deve trovare una strategia vincente. In pochi secondi la macchina esaurisce tutte le partite possibili e scopre che il gioco non ha una strategia vincente, che alla lunga nessuno dei due contendenti a tris vincerà. Allora la macchina si ferma e dà come risposta il fatto che in assenza di una strategia vincente la strategia migliore è quella di non giocare la partita, di evitare quel gioco.
Inconsapevolmente nel mio post già citato avevo ragionato proprio secondo questo schema: se non possiamo vincere tanto vale ridurre i danni accettando di sospendere il gioco (la guerra). Non per niente in queste ore Ucraini e Americani cercano di dimostrare che la vittoria è possibile e i servizi segreti fanno anche previsioni sui tempi, anzi dicono che se Putin morisse allora sarebbero rose e fiori! Quanto tempo dovrà passare perché tutti ci convinciamo che nessuna vittoria è possibile per nessuno e che l’unica strategia vincente è fermare questo gioco al massacro?
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