In questi giorni sono stati lanciati numerosi ballon d’essai dal nuovo sistema di potere che si sta costituendo dopo le elezioni. Notizie ufficiose, indiscrezioni, vaghi annunci, decisioni su dettagli sono oggetto di dotte analisi, di editoriali, di prese di posizioni ufficiali, di chiacchiere infiammate sui social. Le prime provocazioni sono state le nuove denominazioni di alcuni ministeri e quella che ha maggiormente mandato in fibrillazione il mio mondo riguarda il Ministero dell’Istruzione e del Merito.

Le discussioni si sono accese ben prima che questa scelta fosse chiarita dal discorso programmatico e dalla scelta del nuovo ministro e tuttora molte prese di posizione si rincorrono nei social.
La provocazione ha funzionato perché in effetti molti hanno scoperto le carte su ciò che essi pensavano della scuola e della svolta che la destra al governo ha in animo di fare. In sostanza la scuola deve diventare più efficace, preparare meglio gli studenti deve essere gestita da personale più preparato e diretta da dirigenti meritevoli. Se quanto ho letto sull’argomento in questi giorni fosse rappresentativo dell’opinione prevalente c’è poco da stare tranquilli: nei commenti che leggo prevalgono vecchi pregiudizi che vedono nella scuola di massa aperta a tutti, nella scuola pubblica un vero pericolo per il progresso economico e civile dell’Italia.
Mi limito a fare due sole osservazione sperando che qualche lettore voglia sviluppare meglio di me questa tematica.
La dizione prescelta stride dal punto di vista linguistico, ma io non sono un letterato. La parola Istruzione definisce il campo di competenza del Ministero, si occupa della istruzione e siccome ce n’è un altro per l’Università è implicito che sia l’istruzione primaria e secondaria statale e non statale. La seconda parola Merito è un’altra cosa, che attiene alla funzione di punire o di premiare chi ha fatto o sa fare cose utili e apprezzate in un certo gruppo sociale. Ha a che fare con una gerarchia di valori associata ad individui che assumono un ruolo riconosciuto e ricompensato. Insomma associare le due parole Istruzione e Merito è una forzatura, una sgrammaticatura sul piano linguistico che lancia un messaggio ma non lo fa in modo chiaro e corretto. Si poteva dire allora Istruzione meritata per far capire che la scuola del nuovo governo dovrà essere meno lassista, più selettiva, più giusta ed efficiente. Più correttamente si doveva forse dire Istruzione e Valutazione cioè due parole che indicano due funzioni del nuovo ministero, necessarie se effettivamente si volesse migliorare i livelli degli apprendimenti, ma immediatamente coloro che a destra vogliono stoppare l’Invalsi sarebbero insorti come anche la componente spiritualista che vede come un pericolo positivista una enfasi eccessiva sulla valutazione. Un’altra denominazione possibile linguisticamente coerente potrebbe essere Istruzione e Certificazione.
Nel suo discorso Meloni, citando la Costituzione, ha evocato la questione dell’ascensore sociale che, fermo da tempo, occorre far ripartire in modo che anche chi parte svantaggiato possa raggiungere i più gratificanti successi a livello sociale.
I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi. Così recita il terzo comma dell’articolo 34 della Costituzione. Questo precetto costituzionale giustifica la gratuità di tutta la scuola preuniversitaria pubblica e rette universitarie molto basse. Sinora il diritto alla studio si è tradotto nella concessione di borse di studio assegnate con concorsi tenendo anche conto del reddito familiare, quindi con una logica compensatoria. Ma nonostante ciò nella scuola e nell’università la dispersione è troppo alta e il numero dei diplomati e dei laureati è significativamente inferiore agli standard europei al punto che questo è una delle richieste sulle quali dal 2011 ad oggi le autorità europee ci chiedono di intervenire.
Ma come si fa a declinare merito e capacità? come combinare e soppesare queste due caratteristiche di ciascuno studente per decidere chi premiare e favorire? Merito ovviamente è associato a impegno mentre capacità è associato a intelligenza, a una dote che si possiede. I test, anche i test invalsi, registrano delle prestazioni delle risposte a stimoli uniformi che devono essere giudicate con dei criteri condivisi.
Quando quarant’anni fa mi capitò di tenere molte lezioni nell’aggiornamento di colleghi sulla valutazione avevo una slide dedicata ai criteri di valutazione su cui l’uditorio spesso si accapigliava.

Voglio soffermarmi solo sui criteri di valutazione, ne individuavo tre:
- avere dei parametri assoluti prefissati (es. dò da eseguire 12 addizioni in colonna e la sufficienza si ottiene con 8 esatte, soglia fissata arbitrariamente a priori)
- avere un gruppo di riferimento, una classe, una scuola, un regione, un paese e confrontare il punteggio ottenuto nel test con la distribuzione osservata e valutare la prestazione riferendola a tale distribuzione
- giudicare la prestazione rispetto al singolo individuo tenendo conto del livello di partenza, della necessità di essere incoraggiato o ridimensionato, rapportandolo alle capacità di cui dispone lo studente.
La terza modalità coniuga in qualche modo capacità e merito ed è spesso usata dagli insegnanti nella scuola dell’obbligo, modalità a volte è considerata come la panacea che consente a tutti di essere promossi.
Ovviamente criteri riferiti al solo soggetto non sono applicabili a momenti selettivi in cui occorre decidere chi è promosso, chi è ammesso a scuole con numero chiuso, a chi concorre per una borsa di studio. In questi ambiti in cui molti soggetti competono per raggiungere una traguardo riservato a pochi, il merito/impegno difficilmente può pesare in modo affidabile perché è una informazione non disponibile in modo uniforme. Allora chi ha scritto merito sulla intestazione del ministero forse intendeva dire ‘preparazione’, ‘competenza’, ‘professionalità’, ‘educazione’, ‘cultura’?
Temo che dietro questa sgangherata denominazione si nasconda un ballon d’essai che serve a capire quale sia il vento che tira su una questione estremamente complessa, la qualità delle strutture educative dei giovani in un momento storico in cui si prospetta un futuro non facile nel quale i nuovi cittadini dovranno essere robusti da tutti i punti di vista, emotività, cultura, istruzione, professionalità determinazione, resilienza.
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