Popolo bue?

Bene, passato il ferragosto è finita la festa, si torna a pensare ai problemi di sempre. emblematiche le cronache televisive sui costi della benzina in autostrada dopo che quelli del lettino e dell’ombrellone sono passati in secondo piano. Ci vuol poco a capire che la supponente destrutturazione di questi mesi sta cominciando a produrre i suoi effetti con esiti contraddittori per cui nello stesso telegiornale sembra che tutto stia filando liscio ma appaiono anche tante nuove crepe in settori vitali per l’economia.

Due sono le questioni principali sul tappeto: la tassazione degli extra profitti delle banche e una nuova normativa sul salario minimo.

Mi sono chiesto quale fosse l’elemento che accumuna le due questioni e che richiede un intervento straordinario dello Stato. Il popolo non è in grado di gestire da solo i propri interessi contro poteri troppo forti?

Partiamo dal salario minimo. Non intendo qui approfondire la questione ma solo osservare che giustamente il governo in modo strafottente dice che i lavoratori si arrangino, hanno i loro sindacati ed impongano dei contratti che non siano da fame. È un modo per fare marameo dopo che attraverso l’abolizione del reddito di cittadinanza e dei vincoli sull’uso del contante, l’economia dello sfruttamento in nero ha ripreso vigore. Tutto ciò in due settori che secondo il governo dovrebbero essere vitali per la crescita economica, il turismo e l’agro alimentare. Tassisti che non accettano il pagamento elettronico, prezzi di fantasia degli stabilimenti balneari, personale avventizio forse pagato ad ore, raccolte nei campi con manodopera quasi schiavizzata, generale indifferenza dei garantiti che colpevolizzano coloro che si trovano in fondo alla scala sociale ci rendono tutti vittime e carnefici, un popolo bue che non va a votare e che però si lamenta se una estrema destra che vale il 15% reale ha in mano il governo del paese.

Il caso delle banche è più chiaro e diretto, ma ugualmente contraddittorio. Intanto è imperdonabile la modalità raffazzonata e irrituale con cui il governo è intervenuto a mercati borsisti aperti su un settore delicato come quello delle banche. Per alcuni giorni il testo del decreto ‘approvato’ è rimasto in bozza ed è stato modificato prima della pubblicazione della Gazzetta. Quante speculazioni sono state possibili nei tre o quattro giorni in cui la borsa ha oscillato paurosamente? Ovviamente mettere le mani nelle tasche delle banche ha raccolto il plauso della sinistra a prescindere. Il populismo ha applaudito la Meloni Robin Hood e approvato che parte dei proventi andassero a favore dei poveri mutuatari a tasso variabile che avevano visto crescere la propria rata in modo insostenibile. Per fortuna che c’è il governo che pensa a tutti noi, popolo informe e ignorante che non si premura di seguire nemmeno l’andamento dei propri risparmi e di far fronte alle conseguenze delle proprie scelte. Chi ha attivato un mutuo non è un povero come un percettore di un reddito di cittadinanza o di inclusione né è un precario che lavora ad ore dove capita. Ha un reddito e un bene entrambi considerati dalla banca come garanzie per concedere il mutuo. Chi scelse il mutuo a tasso variabile ha pagato negli anni scorsi interessi irrisori, più bassi di coloro che per escludere i rischi di una inflazione galoppante scelsero il tasso fisso. Ora, anche se trova insopportabile la rata ricalcolata con l’inflazione, dimentica che il suo bene, il suo immobile si sta rivalutando con lo stesso tasso dell’inflazione. Sarà forse meno fortunato dell’amico con il mutuo a tasso fisso ma è più fortunato del coetaneo che non ha avuto il coraggio di accendere un mutuo per acquistare una casa perché aspettava tempi migliori.

Certamente quello che sto per dire provocherà una reazione risentita di molti miei lettori. L’extra profitto delle banche che è stato tassato, la differenza tra il rendimento incassato dalle banche e quando riconosciuto sui depositi, non è un furto indebito ma l’effetto dell’atteggiamento passivo e disinteressato di molti risparmiatori che non vogliono correre alcun rischio. La fatica di andare alla propria filiale per informarsi, per farsi una opinione, la fatica di assumersi un rischio fa sì che miliardi di risparmi giacciano per anni su conti correnti i cui rendimenti non sono sufficienti a coprire i costi. Ovviamente la banca fa poco per smuovere il correntista, se lo facesse il cliente si chiederebbe se nella proposta ci sia la fregatura, se si corrono dei rischi eccessivi. Come molti hanno fatto notare, le banche acquistano titoli di debito pubblico ottenendo interessi che gli stessi correntisti potrebbero ottenere direttamente se comprassero quei buoni ma i correntisti non lo fanno sia per pigrizia ed ignoranza sia perché non vogliono correre il rischio che in qualsiasi investimento finanziario si corre ad esempio perdendo parte del capitale come è capitato a molti che avevano BTP a reddito fisso prima dell’inflazione. Insomma la banca accumula utili dove e come può, ci pagherà le tasse previste all’inizio dell’anno, distribuirà utili ai propri azionisti, ma avrà anche mezzi per concedere nuovi crediti a famiglie e imprese.

Ovviamente un popolo più consapevole e informato avrebbe immediatamente fatto pressione per vedere rivalutati i tassi attivi sui propri conti ad esempio spostando i propri risparmi in istituti che offrivano di più, in ogni caso contrattano le condizioni applicate propri conti.

Dovrà passare molto tempo e dovremo sperimentare amare esperienze prima di risvegliarci da questo ottenebramento che la gratuità berlusconiana ha prodotto nella nostra percezione della realtà. La TV commerciale gratuita e a cascata le mille cose che il cittadino pretende di avere gratis (senza pagare tasse e contribuiti + servizi del welfare e pensioni) prima o poi finiranno e dovremo riscoprire la responsabilità personale nell’assumere nostre libere scelte.



Categorie:Economia e finanza

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