La settimana scorsa ho partecipato a due eventi che vorrei raccontare, tanto per interrompere il tono accorato e pessimistico di molti pezzi degli ultimi tempi.
Il primo è stato un evento musicale, un saggio degli studenti del conservatorio di Santa Cecilia presso il Goethe Istitut dedicato a Federico il Grande re di Prussia.
Di questo musicista, o meglio di questo re guerriero, sapevo molto poco, conoscevo il fatto che l’Offerta musicale di Bach partiva da un motivo dettato da Federico come una sfida per comporre uno dei brani più complessi e più puri della produzione di Bach. Ma il seminario organizzato dal mio amico Francesco Baldi, il quale quando può mi invita ai saggi dei suoi allievi, è stato una vera rivelazione e motivo di riflessione profonda. La tematica affrontata per delineare la figura del musicista e del personaggio storico è stata centrata sulla relazione padre – figlio proposta da un film di rara bellezza intitolato Mein name ist Bach, della regista Dominique de Rivaz e da una presentazione dello stesso prof. Baldi sulla storia che ha visto protagonista Federico il Grande. Un buon professore di storia di un liceo di qualità potrebbe proiettare quel film ed usare lo studio della figura di Federico per capire moltissime cose del 700, secolo che si studia a volo d’uccello senza capire che lo stesso Hitler non nasce dal nulla o dalla sola disfatta della prima guerra mondiale ma da una mentalità diffusa e da processi storici lenti che si proiettano molto indietro nel tempo. C’è stato un tempo in cui nella scuola si parlava di interdisciplinarità e si cercava di realizzarla nella didattica, ora non è di moda a causa di una visione specialistica e competitiva dell’apprendimento. Questa esperienza interdisciplinare ha coniugato in modo magistrale lo specialismo più spinto, le competenze più raffinate, l’addestramento più faticoso di giovani che si esibivano nell’esecuzione di un difficile repertorio musicale con la cultura storica, la riflessione filosofica, l’apprezzamento estetico. Su questo tema ho scritto già un pezzo, ma posso aggiungere che il motore profondo del successo di questa didattica di cui abbiamo assaporato alcuni prodotti è la bellezza di ciò che uomini speciali hanno creato per noi e il godimento che ne può derivare se si ha una cultura adeguata alla comprensione e alla lettura delle loro opere.
A seguire, sabato sera siamo andati ad una rappresentazione teatrale in cui si esibiva una nostra amica Carla degli Esposti, ex docente di matematica, la quale da quando è in pensione, sta frequentando una scuola di teatro. Siamo arrivati fin sulla Tiburtina, in quella periferia di Roma che non si può dire abbia una grande bellezza, difficile parcheggiare, illuminazione carente, architetture affollate e già degradate. Finiamo in un teatro parrocchiale e con enorme sorpresa troviamo una lunga fila al botteghino. Stando in fila il cattivo umore causato dai lunghi giri per trovare parcheggio si scioglie rapidamente e mi chiedo cosa mi stava rallegrando. Mi guardo intorno e mi rendo conto che non c’erano solo pensionati perditempo ma molti giovani, famiglie al completo con figli adolescenti, gruppi di amici allegri. Lo spettacolo presentava un testo tragicomico, un racconto di una donna delle pulizie di una tragedia della disperazione di una precaria che rischia il licenziamento. La nostra amica impersonava una top manager, un personaggio grottesco che l’ha costretta anche a mimare uno spogliarello davanti ad un computer in collegamento video con un prete settantenne. Alla fine dello spettacolo, un buffet a base di semplici panini ha aggregato un pubblico fatto di amici, di gruppi di volontari, di anziani, di giovani, di bambini piccoli, di adolescenti. Così mischiati, anche i vecchi mi sono sembrati più belli, con i loro nipotini, più allegri, più cordiali. Insomma una bella settimana nonostante le tante preoccupazioni dalla politica e dall’economia.
Categorie:Riflessioni personali
Rispondi