Riflessioni su un tema di Bach: le competenze

Anche ieri sono andato ad ascoltare una saggio della sezione fiati del Conservatorio di Santa Cecilia. Il clima speciale del saggio scolastico in cui  gli interpreti si esibiscono di fronte ai docenti, ai propri familiari e qualche amico e lo fanno con grande sicurezza e bravura secondo una ritualità solenne tipica dei concerti importanti mi ha riportato alla mente una vecchissima riflessione che avevo fatto tanto tempo fa all’inizio della mia carriera di insegnante.

Saggio al Conservatorio Santa Cecilia
Saggio al Conservatorio Santa Cecilia

Si era nella metà degli anni settanta ed io cominciavo ad insegnare matematica in un contesto in cui la scuola pubblica si stava espandendo, era prevalente la convinzione che l’innalzamento dell’istruzione per tutti avrebbe fruttato molti vantaggi per il progresso economico e civile dell’intera società. Nella didattica della matematica ero fermamente convinto che un docente dovesse renderla comprensibile a tutti e che tutti dovessero conoscerla, comprenderla ed usarla. Per questo mi impegnavo a renderla facile e a volgarizzarla. Anche allora, mentre ascoltavo un concerto a Santa Cecilia, all’auditorium che era a via della Conciliazione,   una pregevole esecuzione di un giovane violinista particolarmente brillante provocò questa riflessione: a questo violinista, per renderlo così bravo e per farlo giungere a questo livello di competenza virtuosistica i suoi maestri lo hanno illuso che suonare era facile o gli hanno imposto una ferrea ed impegnativa disciplina per affinare le sue doti innate? E se tutti  si sottoponessero a quella stessa disciplina potrebbero suonare in questa maniera? Faccio bene io a dire ai miei ragazzi che la matematica è facile? A quale livello di competenza potrebbero arrivare alcuni se potessero lavorare in modo differenziato?

Non rinunciai all’idea che la matematica sia per tutti ma mi convinsi che ciascuno doveva dare in proporzione alle proprie possibilità e che ciascuno doveva essere sfidato a raggiungere un proprio livello di eccellenza almeno in un ambito. In questo senso ricordo un episodio che mi è caro: durante una esercitazione in laboratorio in cui i ragazzi dovevano mettere a punto un programma per la simulazione di una coda in un supermercato, il più bravo concluse rapidamente l’esercitazione mentre gli altri stavano ancora discutendo su come impostare l’algoritmo da implementare sul computer. Venne fieramente alla cattedra con la strisciata del programma e con il grafico della coda già stampato. Esaminai il lavoro e buttai là una serie di osservazioni per rendere il modello più interessante e più ricco. Il ragazzo, che sperava di aver finito e si apprestava a fare i fatti suoi alla macchina, tornando alla sua postazione per riprendere il lavoro a mezza voce fa: Aò, questo non s’accontenta mai!

Per suonare Bach non basta l’estro e il genio serve anche l’esercizio, il lavoro, la dedizione, l’automatismo, la sicurezza, la padronanza. Ma a ben vedere anche per preparare una buon piatto, per sviluppare un programma informatico, per tenere a posto un archivio, per gestire un orto, per valorizzare un negozio, per servire a un tavolo serve una competenza esperta, un misto di predisposizione, passione, amore e sicurezza nell’uso degli strumenti che in ogni ambito sono necessari. Ma se, avendo completa padronanza del mezzo, se strimpello perfettamente quel pezzo di metallo in cui soffio dell’aria e pigio i tasti alla perfezione e non ho colto lo spirito, la poesia, la bellezza, il sentimento del pezzo di Bach che devo suonare, il pubblico lo ascolterà e rimarrà deluso e applaudirà fiaccamente.

Alla fine del concerto, dopo gli applausi uno dei giovani, il più anziano con l’aspetto di adulto, si avvicina al suo maestro che era vicino a me e gli chiede: come sono andato? e il prof con dolcezza accogliente ma con sguardo penetrante gli risponde. Bene ma alle prove eri andato meglio e gli fa un rilievo tecnico. E’ vero professore, ha ragione. Li avrei abbracciati, se non mi avessero preso per matto.

Tornato a casa questa riflessione sulle competenze ha continuato a ronzarmi in testa. Le notizie del TG sono dedicate alla Bocassini che ha concluso la requisitoria sul caso Ruby. A parte lo stravolgimento della notizia che veniva data e discussa come fosse già una condanna, mi è tornata alla mente quanto sosteneva Piercamillo Davigo sul fatto che si occupano ruoli pubblici di potere per competenza o per rappresentanza. I magistrati sono al loro posto ed esercitano una importante funzione pubblica perché sono stati selezionati per competenza con un pubblico concorso. Il pubblico ministero, gli avvocati, il giudice non rappresentano le maggioranze politiche del paese o le opinioni dei cittadini ma gestiscono in modo raffinato e competente una macchina molto complessa e complicata costituita da regole, codicilli, consuetudini, prove, pareri per giungere a una sentenza giusta. La follia del nostro sistema informativo è di scatenare il tifo, non solo sul caso Berlusconi, ma sui tanti casi di cronaca che appassionano morbosamente il pubblico televisivo, scambiando il ruolo della competenza con quello della rappresentanza.

Questo stesso stravolgimento sta avvenendo nella politica: si oscilla tra una interpretazione che spoglia i rappresentanti della competenza, è il caso di giovani deputati o sindaci o consiglieri grillini che si fregiano di non conoscere bene i problemi su cui andranno a decidere, e un’altra istanza che vorrebbe tutti i politici eletti per rappresentanza anche molto competenti nelle materie che saranno oggetto delle loro decisioni. Ad esempio si vorrebbe almeno che i rappresentanti, anche privi di una competenza tecnica complessa, avessero esperienza e saggezza sufficienti per interpretare le scelte migliori, da cui l’esistenza del Senato. Insomma la mia sensazione è che il concerto della politica sia tenuto da pifferai che improvvisano facili motivetti e che mai si sognerebbero di eseguire una suite di Bach.

La giornata finisce con alcune scene di Master Chef, la prova della preparazione di un piatto a base di  rognone. Sono un appassionato di cucina e quindi, se zippando ci capito, inevitabilmente resto un po’ a vedere ma tutte le volte mi arrabbio: penso sia una pessima immagine di un rapporto pedagogico e di una terribile e inaccettabile funzione della valutazione in cui sprezzo, violenza, durezza, dileggio sono il tratto caratteristico dei tre super chef che mostrano sempre il sadico piacere di selezionare ed escludere. E i concorrenti si prestano al gioco e sviluppano un atteggiamento sadomasochistico di lotta individualista per la sopravvivenza che consente invidie, colpi bassi, cattivi pensieri. Purtroppo questi modelli passano nella cultura diffusa ed anche in quella dei docenti per cui possono inquinare fortemente tutto il dibattito sul significato della ricerca delle eccellenze e sul ruolo del merito nella società delle competenze.

La scuola, anche quella per gli adulti deve necessariamente essere un’altra cosa, il rigore, l’impegno, l’esercizio,  il sudore sono necessarie per sviluppare delle competenze vere ma non si suona mai da soli: le sonate di Bach che avevo ascoltato nel pomeriggio prevedevano oltre al flauto traverso anche il basso continuo e la magia che ci aveva avvolto e conquistato non erano solo le dita che danzavano sul flauto ma anche le dita che pestavano sul clavicembalo e soprattutto gli sguardi di intesa tra i due esecutori.



Categorie:Cultura e scuola, Riflessioni personali

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4 replies

  1. Un post molto bello che ho letto tutto di un fiato . Mi piacerebbe leggerlo , se me lo consenti, anche ai miei alunni.
    Speriamo lo leggano anche molti docenti e sia per loro spunto di riflessione e …di illuminazione! :-*

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    • Grazie dell’apprezzamento. Chi racconta le proprie riflessioni ed emozioni spera che qualcuno lo ascolti. Si capisce bene che per me non c’è una fondamentale differenza tra gli studenti del conservatorio e quelli dell’alberghiero, amo la musica ed amo la cucina.

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