In questi giorni è in corso la somministrazione dei test Invalsi e si è acceso, come ogni anno, un dibattito sul valore e il significato di tale realtà che si sta consolidando come un ovvio appuntamento dell’anno scolastico. Per noti motivi personali evito di parlarne in modo diretto ma ho ritrovato nella posta dello scorso anno questo scambio di messaggi con due miei docenti della scuola che dirigevo prima della pensione.
Li riporto qui perché mi dispiace perderli nella congerie delle mail destinate al cestino del dimenticatoio.
Un anno fa, di questi tempi, Rosanna Be. scriveva ad un giro di colleghi in cui c’ero anch’io:
Gentili colleghi,
in prossimità dei test INVALSI che si svolgeranno il 16 maggio, colgo l’occasione per esprimere una mia opinione personale, fermo restando che abbiate voglia e tempo per leggerla.
Mio figlio P. frequenta la quinta elementare. Questa è la mail che ho mandato alle insegnanti: sintetizza il mio pensiero sui quiz. Ve la propongo per una libera riflessione e vi invito tutti – sempre nel pieno rispetto delle idee altrui – a scioperare il prossimo 16 maggio.
Gentili insegnanti,
il 9 e l’11 maggio P. NON farà i test invalsi. Di seguito le ragioni di questa mia decisione.
INVALSI è l’istituto nazionale per la valutazione del sistema educativo d’istruzione e di formazione. I test che vengono somministrati hanno come scopo principale quello di valutare l’apprendimento degli studenti.
INVALSI valuta l’apprendimento tramite una lista di domande a risposta chiusa, altrimenti dette “quiz”.
Come genitore e come insegnante mi sorge spontanea una domanda: come si può pretendere di valutare l’apprendimento degli studenti senza privilegiare l’aspetto argomentativo di discipline come – per fare un esempio – Italiano?
Da insegnante dico che l’argomentazione – così come la riflessione, la discussione, l’esposizione ed il confronto – è il pilastro centrale dell’insegnamento e dell’apprendimento.
L’insegnante che si presta a somministrare prove che volutamente sottovalutano questo aspetto fondamentale del processo formativo è un addestratore, non di certo un educatore e, per quanto mi riguarda, si presta alla distruzione del sistema educativo ed alla sua lenta ed inesorabile degradazione.
Altro aspetto: gli insegnanti devono essere a loro volta valutati.
Sono assolutamente d’accordo su questo punto e dico che per essere valutati ci vuole qualcuno – esperto, insegnante, ispettore o qualsivoglia “tecnico”, tanto per restare al passo con i tempi – che passi del tempo nelle classi e che assista alle lezioni, valuti la programmazione , la metodologia applicata, i criteri di valutazione adottati, i libri di testo scelti, gli strumenti didattici usati, l’impatto motivazionale sulla classe, gli obiettivi raggiunti a breve, medio e lungo termine, nonchè quelli trasversali e molto , molto altro.
Per fare questo però ci vuole tempo e denaro e il Ministero della Pubblica Istruzione non ha più tempo – e tantomeno denaro – da dedicare alla scuola pubblica italiana ( e sottolineo pubblica ).
Se ognuno di noi andasse ad informarsi sui numeri, vedrebbe che il paese ha costantemente diminuito i fondi destinati all’istruzione. Nel giro di 10 anni sono stati tagliati decine di milioni di euro. Alla scuola viene destinato meno del 3% del prodotto interno lordo del paese. In questo siamo senza dubbio il fanalino di coda nel contesto europeo. Ne consegue che la qualità dell’istruzione in Italia è in netta discesa e la qualità dell’insegnamento ne fa le spese. Non parliamo poi dell’aggiornamento dei docenti – quest’ultimo è aspetto di fondamentale importanza – che è stato oramai cancellato totalmente, così che se un docente vuole aggiornarsi, il corso se lo deve pagare da solo. Figuriamoci!
In tutto questo contesto si inserisce l’istituto nazionale per la valutazione che con i suoi quiz – perfettamente calibrati ed adeguati all’effettiva preparazione che insegnanti e studenti hanno adesso – osserverà – tramite statistiche – quanto la scuola ha lavorato, quali insegnanti hanno efficacemente insegnato e quali alunni hanno inequivocabilmente appreso, per poi destinare – in un futuro non troppo lontano – i fondi ai più meritevoli.
Da insegnante dico che se mai ci dovessero essere dei fondi da destinare, questi andrebbero dati alle scuole disagiate, al recupero del territorio, delle strutture e dei ragazzi a rischio.
Invece no, incentivi e riconoscimenti andranno ” ai meritevoli” – qualsiasi cosa ciò voglia dire – e quindi, ad un certo punto dell’anno scolastico, comincia la corsa spasmodica ed ansiogena ad addestrare le classi ai quiz, svilendo i programmi, adattandoli, riducendoli, piegandoli a misura dei test.
Io dico NO a tutto questo, anche in virtù del fatto che i test invalsi NON SONO OBBLIGATORI (tranne all’esame di stato di terza media) e che gli insegnanti POSSONO SCEGLIERE LIBERAMENTE DI NON FARLI senza incorrere in ALCUNA SANZIONE e sfido chiunque a dimostrare il contrario.
Ai dirigenti ed ai colleghi docenti dico: apriamo le nostre classi , facciamo entrare genitori, ispettori, tecnici, esperti , rendiamo pubblico ciò che si è sempre svolto “in privato”, facciamo vedere come lavoriamo , con quali mezzi, quali risorse, quali e quanti spazi.
Facciamo che una volta tanto si possa mettere in discussione tutto e che la valutazione si basi non solo su una serie di crocette da apporre nel posto giusto.
Rosanna Be
Io rispondevo
Carissima,
intanto grazie di avermi coinvolto in questa presa di posizione sui test Invalsi. Ora che non ho responsabilità istituzionali mi posso permettere qualche libertà in più. Nei giorni scorsi ero a Palermo per parlare di valutazione ad una rete di 150 scuole ed il tema dei test Invalsi è certamente venuto fuori nelle chiacchiere informali del coffee break. Mi convinco sempre di più che un uso su larga scala di questi test sia più dannoso che utile soprattutto per il rischio che i docenti nelle classi dell’infanzia e della prima adolescenza deformino la loro didattica in funzione del buon esito nei test Invalsi. E, pur avendo dedicato quasi vent’anni della mia vita professionale allo sviluppo dell’accertamento oggettivo mediante test, sono ora convinto che se ne faccia un uso improprio e dannosissimo sia per i più piccoli sia per gli adulti. Si pensi solo che nel passaggio dalla scuola secondaria all’università e al lavoro tutto di decide sulla base di una prestazione di un’oretta in cui si tratta di rispondere su un repertorio di conoscenze necessariamente ristrettissimo, penso alla selezione per le professioni biomediche.
Detto ciò ho due osservazioni da fare.
Lascerei a suo figlio la decisione se partecipare o no avendo cura di accertarmi che non lo faccia per una scelta opportunistica. Anche in questo caso non sottovaluti le controindicazioni: sentirsi diverso dagli altri avere il dubbio che non sia all’altezza di affrontare la difficoltà.
Poco importa se i il dovere di somministrare i test Invalsi sia codificato in qualche codicillo contrattuale, rimane secondo me un dovere che attiene alla deontologia di un insegnante che è sì libero e responsabile di scegliere i percorsi didattici più opportuni per raggiungere gli obiettivi che il nostro datore di lavoro fissa, ma che è tenuto, come lei dice alla fine della sua lettera, a rendere conto di quello che fa in un contesto collegiale e sociale. Fermo restando quindi il dovere sociale e politico di riflettere ed eventualmente contestare questa macchina ‘infernale’, credo che sia un dovere ed anche una convenienza collaborare perché questa somministrazione sia fatta al meglio: la convenienza sta nel fatto, che spesso i docenti dimenticano, che qualsiasi delegittimazione del collega, del preside, dello stato, delle istituzioni, dei test Invalsi costituisce automaticamente una delegittimazione della propria autorevolezza, che comunque serve in un rapporto educativo con dei giovani.
Un carissimo saluto a tutti, Raimondo Bolletta
Rosanna Be. replicava:
La ringrazio, anzi TI ringrazio ( visto che non hai più ruoli istituzionali – e se non hai nulla in contrario – da ora in poi diamoci del tu! ) per la risposta che, come sempre, è molto intelligente e condivido in gran parte.
Ho detto a mio figlio che poteva scegliere di farli o non farli e lui, da ragazzino qual è, ha detto che preferiva di no…ma c’è tutto un discorso da fare – troppo lungo a dire la verità – sulla sua maestra di matematica e su come i ragazzini sono stati preparati alle prove.
Ultimo, ma non meno importante, quest’anno le prove verranno fatte in presenza dei soli ispettori: una scelta che sta creando ulteriori ansie e disagi ai bambini che hanno pur sempre 10 anni.
Rosanna Be.
Raimondo:
Ok per il tu. Sia chiaro, io penso che vadano proprio aboliti per tutta la scuola elementare e forse per la scuola media. Per controllare il sistema sarebbero sufficienti campioni statistici molto limitati fatti in modo che non stressino ragazzi e docenti. L’Invalsi dovrebbe produrre strumenti disponibili per i docenti adatti a migliorare la valutazione scolastica.
Rosanna Be.:
Sono assolutamente d’accordo con te.
Interviene nella discussione Luca Sb. un professore di fisica della mia scuola che ha passato alcuni anni in una università inglese per una borsa postdottorale
Carissimi,
nella discussione sull’uso dei test spesso ci si dimentica di osservarne gli effetti che tali pratiche hanno in sistemi che li utilizzano ormai da molti anni.
In Gran Bretagna, ad esempio, i test sono utilizzati per lo svolgimento degli esami per valutare gli studenti sul curriculum nazionale. Queste prove sono preparate e corrette da enti esterni alle scuole ed i loro risultati vengono utilizzati per comporre le cosiddette “league tables” ossia le classifiche delle scuole dalle quali poi i genitori scelgono la scuola “migliore” per i propri figli.
E` necessario aggiungere che in regime di forte competizione fra le scuole le (LA) direzioni scolastiche locali tendono a privilegiare le scuole che hanno le posizioni migliori nelle classifiche e se le scuole scendono sotto un certo numero di studenti vengono chiuse senza troppi complimenti.
Il “regime” dei test ha molto abbassato la qualità della formazione. Il meccanismo perverso e` il seguente: scuole con cattivi risultati hanno pochi inscritti e vengono chiuse. Il governo deve spesso intervenire per salvarne alcune al fine di non descolarizzare intere aree del paese. Per evitare di aumentare la spesa pubblica le agenzie governative premono affinché i test siano semplificati nella speranza di diminuire il numero di scuole da salvare. E così il risultato netto è l’abbassamento del livello medio dell’istruzione.
Essendo l’UK un paese particolarmente classista, esistono molte scuole d’eccellenza – spesso private – che riescono ad arricchire l’offerta formativa ed a far si che i propri studenti possano poi aspirare alle università migliori.
E` interessante notare quali siano le discipline piu` colpite: non solo quelle storico-letterarie ma anche quelle scientifiche e su tutte la geometria. I docenti britannici sono di fatto costretti a lavorare affinché i loro studenti riescano nei test e così facendo facciano salire la loro scuola nelle league tables … in modo da preservare il proprio posto di lavoro.
E così uno studente italiano sufficientemente preparato con la programmazione “classica” saprà commentare Beowulf e saprà dimostrare semplici proposizioni geometriche … cosa che uno studente britannico mediamente non saprà fare…
In UK ciò che funziona molto bene è il supporto e l’aiuto ai più meritevoli, sono tali attività offerte in modo molto flessibile che bilanciano una situazione potenzialmente disastrosa.
Non vorrei che questo venisse letto come una sorta di esaltazione del nostro “Italian style”, ciò che voglio semplicemente sottolineare – come Rosanna – è quanto sia importante difendere e sviluppare quegli approcci didattici che producono un sapere critico e con questo approfondire i metodi e le tecniche per imparare a valutare i processi coinvolti: nella nostra stessa scuola, parlando fra colleghi, è confortante notare che in molti cercano di valutare i processi più che le conoscenze nozionistiche.
Ma certamente sarebbe importantissimo sviluppare una conoscenza comune su questi metodi di valutazione.
E’ per questo che credo ci si debba opporre (per quanto possibile) ai test INVALSI o quantomeno cercare di modificali e certamente battersi affinché non diventino lo strumento della valutazione degli studenti e degli insegnanti.
Certamente, come accennato da Rosanna, è necessario che l’insegnamento sia valutato, sono perciò favorevolissimo a che le classi siano aperte.
Un’idea per iniziare: in UK ho imparato ad utilizzare il metodo della “peer review”: un collega viene in classe ed assiste alla tua lezione e poi ti presenta le sue osservazioni. Che ne direste di provarlo a scuola?
Saluti carissimi
Luca Sb.
Categorie:Cultura e scuola, Valutazione
Già un anno! Tempus fugit…
Che emozione rivedere vecchie conversazioni e che nostalgia, specie ora che la condivisione schietta e spontanea è solo un bel ricordo.
Ti sembrerà strano sentirmi dire le parole che sto per dirti, ma spero vivamente che questi test diventino il prima possibile obbligatori per tutti .
Quando dico obbligatori, intendo per decreto ministeriale ( che a tutt’oggi non c’è!) e non per sentenza di un giudice del lavoro, che svilisce il tutto e determina una vittoria di Pirro per chi è pro test.
L’obbligatorietà per decreto legge metterebbe fine a tante lotte interne che non portano a nulla di costruttivo, anzi innescano dinamiche a volte molto pericolose. E ne parlo con cognizione di causa.
Resto ovviamente dell’opinione che condivisi nella mail di un anno fa : questo non è valutare.
La valutazione è qualcosa di molto più complesso e delicato ; negare questa evidenza significherebbe non avere la ben che minima idea di ciò di cui si sta parlando.
Spero che l’INVALSI ascolterà prima o poi anche le opinioni di chi la scuola la vive quotidianamente. Spero anche che i test a venire siano elaborati per essere somministrabili a tutti, anche ai ragazzi con bisogni educativi speciali e che non siano ” esclusivi” ,nella più ampia accezione del termine.
Spero inoltre che le rilevazioni servano poi a supportare in ogni modo possibile le scuole e i territori più deboli e disagiati. E non il contrario.
Per finire, aspetto con curiosità – poichè non mi sembra sia stato ancora pubblicato nulla in proposito – di sapere quali sono i risultati di questo benedetto monitoraggio degli apprendimenti , altrimenti – come direbbe Shakespeare – è solo ” much ado about nothing”.
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