In una delle cene del periodo natalizio ci siamo trovati tra persone tutte pensionate, laureate e abbastanza colte ed informate. Niente giovani e piccolini. Ovviamente si discuteva di cose del mondo e anche di politica. A un certo punto, lamentando la generale ignoranza in cui siamo tenuti nonostante un eccesso di informazione minuta, ho chiesto di conoscere chi dei presenti aveva capito bene come aveva funzionato l’intervento del governo Draghi sui prezzi dell’energia e delle bollette. Avevo constatato che le mie bollette fino ad allora non erano aumentate nonostante l’allarmismo diffuso dai media ma non sapevo come la cosa fosse successa. E sì che avevo cercato di capire cercando di informarmi. Mi sono consolato nel constatare che nessuno dei presenti, eravamo in 8, è stato in grado di spiegare come la cosa fosse successa ed effettivamente tutti confermavano che le loro bollette non erano affatto aumentate.

In questi giorni in cui si dibatte sul prezzo della benzina aumentato allo scoccare del 1 gennaio, mi sono reso conto del perché faccio fatica a capire bene: difficile capire se si usano parole che non capiamo e si trucca il discorso ribaltandone il senso.
Le cose sarebbero più chiare se invece di Accise si usasse la parola Imposta di fabbricazione e si chiarisse quali sono applicate ai processi di fabbricazione di alcuni beni. Scopriremmo che lo Stato da sempre si finanzia imponendo dei prelievi su beni di largo consumo a volte in modo odioso, come ad esempio quello sul macinato, sulla farina che serviva al popolo per sfamarsi. Siccome non era facile rilevare i sacchi di farina introdussero, tanto tempo fa, una tassa sulle ruote di pietra dei mulini. Il sale, il tabacco, gli oli minerali, la benzina, il gasolio, l’alcol sono altrettanti beni tassati alla fonte in base alla quantità e non al valore. Questi prelievi, spesso motivati da congiunture particolari quali guerre o debito pubblico troppo alto, sono diventate nel tempo forme stabili a cui il mercato si è adattato. Questo tipo di tassazione penalizza chi consuma di più ma può deprimere la produzione se i prezzi finali non sono alla portata della gran parte dei cittadini. Il governo Draghi ha ridotto provvisoriamente una parte delle accise sui petroli comprimendo un prezzo del combustibile che poteva creare un disagio sociale ed alimentare l’inflazione generale che occorreva frenare. La misura però aveva due effetti collaterali negativi: aumentava il debito pubblico perché riduceva una entrata fiscale prevista nel bilancio dello Stato e non comprimeva i consumi che invece avrebbero dovuto essere ridotti visto che l’aumento dei prezzi dipendeva dalla penuria della materia prima disponibile.
Il governo Meloni ha lasciato cadere il provvedimento di riduzione delle accise fissato per un tempo limitato da Draghi e la tassazione è tornata i livelli di prima con un brusco aumento proprio in coincidenza con i rientri automobilistici dalle vacanze natalizie. I media e le opposizioni hanno cavalcato il disagio con almeno due considerazioni: la maggioranza di destra non mantiene le promesse elettorali confermando una tassa che voleva annullare, la speculazione sempre in agguato poteva approfittare della circostanza ridando vigore all’aumento dei prezzi di tutti i beni che richiedeva il petrolio per essere prodotti e trasportati.
Anche in questa caso l’uso improprio delle parole ha creato confusione, almeno in me. Si dice infatti che la riduzione delle accise petrolifere costerebbe allo Stato un miliardo al mese mentre sarebbe più corretto dire che lo Stato avrebbe un mancato introito di 1 miliardo al mese. So bene che nel bilancio le due cose sono equivalenti ma nella nostra mente non funziona così: nella prima accezione è come se lo Stato disponesse dei soldi per pagare la riduzione delle accise, magari stampando moneta o emettendo titoli di debito pubblico, nella seconda accezione capisco che lo Stato per finanziare le sue attività deve prelevare dei soldi dai cittadini, dalle famiglie e dal mondo produttivo altrimenti deve far debito. Direte voi che è un dettaglio inessenziale ma sono sfumature lessicali fondamentali che orientano la nostra mentalità. E’ così che la destra ha ottenuto voti dando l’idea che sia possibile ridurre le tasse senza tagliare le spese che lo Stato fa per finanziare i suoi servizi.
Per la verità la Meloni, e questo è un atto coraggioso, su questa posta delle accise sulla benzina sta cambiando il paradigma considerando seriamente i vincoli di bilancio. Ferme tutte le critiche severe sul bilancio 2023, su questo punto ha ragione: le accise sono confermate, cercheranno di ostacolare le speculazioni ma noi cittadini dovremo ridurre i consumi se il costo della benzina è eccessivo per il nostro bilancio famigliare.
Categorie:Economia e finanza, Politica
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