Riflessioni su un aperitivo mancato

Trovarsi a piazza del Campidoglio, all’ora dell’aperitivo domenicale, in mezzo a turisti di mezzo mondo, a gruppi festanti dietro a una coppia di sposi novelli, per sostenere un sindaco pasticcione che registra malamente qualche decina di scontrini di spese di rappresentanza, è una cosa decisamente buffa, per me.

Sono stato incerto se andare o no, non sono abituato alle manifestazioni di piazza, ma complice Lucilla che ha un altissimo senso di giustizia e che sul caso Marino si accalora, mi sono convinto che dovevamo andare perché la posta non era solo Marino ma una grave manipolazione dell’opinione pubblica ad opera della grande stampa. Si porta a termine un linciaggio sistematico per far fuori un rappresentante eletto in una funzione istituzionale il quale dovrebbe rispondere solo al rigore della legge e alla sfiducia  della sua maggioranza consigliare.

I mass media mostrano, dopo la fine del ventennio berlusconiano, un senso di onnipotenza permettendosi il lusso di illudere il pubblico e travisare i fatti, prendendo per il naso masse di elettori che ormai ragionano con la pancia e con un cervello rinsecchito dalle chiacchiere televisive.

Sono andato alla manifestazione perché bisogna gettare qualche granello di sabbia in questo ingranaggio infernale. Mentre ero lì, godendomi uno spettacolo inusuale in una piazza che è stata il centro del mondo, riflettevo.

Chi è più inetto?

Di Marino tutti sanno elencare le carenze e le inettitudini. Tutti gli rimproverano dalla sporcizia, dalle carenze dei servizi pubblici alle vacanze ai tropici, dalle ingenuità dell’uso della carta di credito al moralismo inefficiente. Molti pensano che il primo responsabile del vicolo cieco in cui si trova sia lui stesso … quindi non è vittima della destra, dei grillini, del PD, di Repubblica, del Vaticano … men che meno della malavita che aspetta solo di conoscere il prossimo …

Ma pensate forse che quanto a inettitudine il PD sia da meno? Quando scoppia il caso di Mafia Capitale i grandi organi di informazione e le televisioni incominciano il tormentone della simmetria tra Buzzi e Carminati sottolineando che il PD romano era invischiato in quella vicenda come lo era l’amministrazione uscente di Alemanno. Anzi, data la sorpresa delle intercettazioni rese pubbliche, il caso fu imputato maggiormente  alla sinistra e indirettamente allo stesso Marino.

Moralismo e cattiva coscienza (il fiume di denaro che dagli appalti pubblici sostiene più o meno direttamente le forze e i singoli che si mettono in politica), portano il PD a esibire un ravvedimento postumo attraverso il commissariamento del PD romano ad opera del giovane Orfini.

Senza ricordare che la magistratura aveva preso in mano la questione ed avrebbe fatto con i suoi tempi giustizia individuando i singoli corrotti anche nel PD, in un raptus di moralismo efficientista si mette in campo quel Barca che ha fama di essere bravo ma non allineato con la politica del segretario (anche lui da bruciare nell’affaire di Roma ladrona).

Con grande fervore, Barca fa piazza pulita, regolamento alla mano, scoprendo che nelle varie sezioni non tutto era regolare, c’erano iscrizioni fasulle, assemblee malamente verbalizzate, contratti d’affitto non regolari, insomma un macello che alla fine determina chiusure di vari circoli tanto far vergognare i poveri iscritti che pensavano di appartenere a un partito per bene. Io non sono mai stato iscritto a un partito ma molti miei amici lo sono e sono persone rispettabili.

Il giovane Orfini, forse ‘corrotto’ da una esercizio di potere incorruttibile, non si accorge che così facendo asseconda la speculazione mediatica che addossa tutta la colpa dei guai romani alla giunta Marino e alla sinistra, lascia dilagare una visione ‘giacobina’¹ che attraversa già le varie forze politiche  grilline e fasciste e che delegittima tutti i politici eletti aprendo così  le porte a nuove elezioni che produrranno nuovi politici puri e vergini. Autolesionismo, segno di presunzione e cinismo, cifra caratteristica del renzismo.

Perbenismo?

Ma chi erano quelli intorno a me in quella meravigliosa piazza? Certamente non giacobini perché difendevamo il ‘re’ che altri vogliono disarcionare, non eravamo giovani, pochi, pochissimi giovani, eravamo persone ben vestite e curate, ceto borghese medio alto per la gran parte. Alcune bandiere di qualche circolo PD, le bandiere di una associazione gay. Certamente tutta gente che sta sui social network perché i media non avevano granché pubblicizzato l’evento.

Qualche chiacchiera con i vicini mi fa pensare che molti  di noi pensavano che al di là dell’efficenza e dell’efficacia del nostro eroe di cui si può discutere, era inaccettabile che una persona per bene sia coperta da  un polverone di false notizie in cui i veri colpevoli si stanno mimetizzando.

Ho pensato: siamo delle persone ‘per bene’, dei ‘benpensanti’ non ‘perbenisti’, men che meno ‘moralisti’.

Imprinting

Quando penso a una persona mi capita spesso di ricordare quale sia stato l’imprinting iniziale. Come ho raccontato in vari post la prima impressione è quella che spesso ispira i miei giudizi successivi.

Così sono tornato con la memoria alla prima volta che ho sentito parlare di Marino. All’inizio della sua avventura politica qualche anno fa, non chiedetemi la data, ero in montagna da mio fratello, una giovane parente di mia cognata parte precipitosamente per Roma perché faceva parte dello staff di questo medico che voleva entrare in politica nelle primarie. Eravamo in quel Trentino civilissimo e ricco, cattolico e pieno di volontariato che da De Gasperi in poi ha influito positivamente sulla qualità della politica italiana. Così ne parlammo e la descrizione che ne ricevetti è esattamente l’immagine che ho ora di lui, in base a quel che si riesce a sapere: una persona un po’ idealista, rigorosa moralmente, austero, forse cristiano poco ‘cattolico’ per nulla democristiano, un po’ scomodo, perfettino con qualche venatura da primo della classe, amante del rischio che affronta con freddezza lo stress della camera operatoria. Ingenuo e maldestro quando attribuisce anche agli altri i buoni sentimenti che lo ispirano. Insomma uno che il sindaco di Roma non lo può fare.

E’ per questo che gli abbiamo chiesto di restare perché è la persona meno ‘adatta e adattabile’ per usare il bisturi a Roma.

Sacrificio

Quando ho sentito che ‘non ci deluderà’ facendo capire che forse acconsentirà a rimanere, rinfrancato dal calore della piccola folla che riempiva la piazza, ho pensato: speriamo che la storia non finisca in tragedia, oggettivamente ora ce li ha tutti contro e un suo fallimento o la sua morte potrebbero interessare a troppi poteri contemporaneamente.

Questo pensiero così  tenebroso forse dipendeva dal calo degli zuccheri, era ora di andare a pranzo. Tornando a casa con l’autobus dell’Atac, noi due unici romani in mezzo a turisti e una frotta di giovani indiani allegri e gentili, con un autista che guidava bene senza strattoni e frenate nervose, affamato ma contento, pensavo che se Marino resterà sarà per senso del dovere e per spirito di servizio sapendo che dovrà essere per lui un sacrificio difficile.

1. Traggo questa citazione da Wikipedia: Michel Vovelle ha sottolineato come ilgiacobinismo sia anche un’etica, “che predica le virtù sia domestiche sia civili, la frugalità delle ‘quaresime repubblicane’, la probità, l’altruismo e l’aiuto reciproco”, osservando come questo codice morale comporti inevitabilmente anche una logica del sospetto nei confronti dell’oppositore politico, che diventa nemico da combattere fino alla distruzione, in un’ottica intollerante e settaria. Da qui i continui scrutini epurativi con cui i giacobini presero a espellere, a ondate, i propri membri non più allineati all’ortodossia del club. Da qui anche l’inevitabile collegamento tra ideologia giacobina e logica del Terrore. Per realizzare la società virtuosa, è necessario illuminare il popolo (l’espressione è di Robespierre) e guidarlo anche attraverso episodi dittatoriali, necessari affinché la volontà popolare possa infine trionfare sui nemici (le “fazioni”). Il giacobinismo, dunque, respinge l’idea classica della democrazia fondata sulla rappresentanza politica e la divisione dei poteri: il popolo ha il diritto di sottoporre a controllo costante i suoi rappresentanti e le distinzioni tra potere esecutivo e legislativo sono meramente funzionali[. Non solo: con il diritto all’insurrezione, sancito nella Costituzione del 1793, si riconosce al popolo di potere di rovesciare in qualunque momento la rappresentanza politica se questa agisce in modo difforme dalla volontà generale.



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