Il ritorno da Pisa a Roma in treno va raccontato perché forse più di altri episodi di questa lunga storia rappresenta quanto la varietà può essere avariante. Nell’attesa del treno l’altoparlante della stazione ripeteva ad intervalli regolari che i treni provenienti da Firenze erano in forte ritardo poiché in una stazione non lontana qualcuno si era gettato sotto un treno e che si era in attesa della autorità giudiziaria. Mi chiedo sempre se non sia meglio evitare di pubblicizzare i suicidi ma capisco che le ferrovie preferiscano quell’annuncio piuttosto che un generico ‘causa incidente’ che potrebbe essere imputato alla sua inefficienza. Ma sentire più volte quell’annuncio non aiuta a pensare positivo.
Il mio treno provenendo da Genova era in perfetto orario e nemmeno troppo affollato.
Sul posto a me assegnato una signorina aveva appoggiato la sua borsa e chiedo di potermi sedere. Uffa! e sgarbatamente la sposta. Scusi ma c’è tanto posto, non capisco. Un signora piuttosto attempata seduta nel sedile affianco interviene dicendo che i due non erano al loro posto e che si erano tutti dovuti spostare poco prima ma ora era tutto ok. Guardi io non voglio far spostare nessuno vorrei sedermi al mio posto che peraltro è libero. Qualche attimo dopo scopro che i due giovani vicini a me erano due stranieri, lei est Europa lui forse spagnolo, parlava in spagnolo ma non sembrava madrelingua. Per metà del viaggio aleggia questo problema dei posti assegnati fintantoché il controllore non scopre che i due giovani erano sulla carrozza sbagliata ed era per questo che ad ogni stazione arrivava qualcuno che li faceva alzare e loro occupavano altri due posti liberi, nel frattempo avevano versato un bicchiere di birra a terra, sporcato di patatine e di detriti qua e là. La signora attempata e le amiche sue coetanee erano scese presto, dopo aver sempre parlato dei disservizi degli ospedali, dei ticket e delle prenotazioni confrontando i sistemi delle due regioni in cui normalmente risiedevano, una originaria del sud però residente in Toscana le altre due residenti in Campania. Due Italie, lo stesso scontento, le stesse lagne di chi ormai pretende anche se stanno finendo i soldi.
Sale una giovane signora di colore, decisamente in carne con qualche difficoltà a sedersi nelle poltrona data la circonferenza, elegante, profumata, in pochi minuti capisce le tensioni presenti nel gruppo a causa dei posti, ci scambiamo uno sguardo di intesa rispetto alla coppia di stranieri all’origine del disagio. Lei si mette al telefono con le cuffie e comincia una conversazione di cui non riesco a carpire neppure un briciolo di significato, un lingua incomprensibile molto musicale ma lontana da qualsiasi sonorità da me intesa in tanti anni. Parla sottovoce e all’inizio la cosa è quasi gradevole.
Senonché salgono alcuni sciamannati ragazzotti napoletani, completamente tatuati, pantaloni corti, scarponcini con calzini a mezz’asta, barbe volutamente incolte, pizzetti, capelli rasati, canottiere nere. Si siedono nel settore vicino al nostro, sono allegri e cominciano a scambiarsi riprese dei telefonini, sgranocchiano di tutto e poi, sempre con i telefonini, cominciano a sentire ‘musica’ a tutto volume. Un effetto cacofonico fastidioso ed urtante. Anche qui in me ha prevalso la paura, non me la sono sentita di chiedere di abbassare il volume, ho pensato che c’erano molti altri intorno che potevano farlo, più giovani e meglio piazzati di me. Ma forse tutti abbiamo fatto lo stesso ragionamento, fino a Roma il rumore di sgranocchiamenti, risate, battute, gracidii di telefonini a tutto volume superava il rumore del treno e quello di fondo di un gruppo numeroso di persone in viaggio. Sì perché coloro che scambiavano due parole per forza di cose dovevano alzare il volume della loro voce, così dalla parte opposta un gruppo di turisti tedeschi affermavano sonoramente la loro presenza.
Un vero supplizio, stavo diventando isterico ma non mi viene in mente di spostarmi da un’altra parte in un altro vagone meno affollato senza questa babele di lingue e di maleducazione. Rimango al mio posto silenzioso e depresso senza far nulla guardando l’orologio per vedere quando saremmo arrivi a Roma.
Finalmente arrivati scendiamo e lasciamo i ragazzi rumorosi proseguire verso il sud: una piccola coda di eleganti signore tedesche che sfila di fronte a quattro giovanotti con la canotta nera e le ascelle in bella mostra. Mi sono vergognato ed ho pensato che siamo messi molto male.
Ripensando a quelle quattro ore di supplizio noto con rammarico che nessun di noi leggeva … era impossibile. Ma il quella tratta come anche in quelle che avevo fatto nei giorni precedenti nessuno avevo un giornale da sfogliare, molti consultavano il proprio smart phone, un tablet o un portatile lavorando o vedendo un film o ascoltando musica. Anch’io non compro più il quotidiano all’inizio di un viaggio in treno.
il racconto continua
Categorie:Riflessioni personali
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