Come promesso cerco di completare i miei ragionamenti su queste elezioni comunali in vista delle politiche cercando di prevedere se e come verrà modificata la legge elettorale.

La scissione nel movimento 5 stelle della settimana scorsa ha cambiato il quadro politico più di quanto possano fare i risultati effettivi di domenica nei ballottaggi. Da un lato assistiamo alla progressiva frammentazione delle forze politiche in piccoli gruppi legati a poche personalità emergenti, dall’altro le vecchie leadership appaiono un po’ logorate dalla lunga sovraesposizione mediatica. Nelle elezioni amministrative il meccanismo elettorale ha premiato i processi di convergenza intorno a sindaci vecchi e nuovi che garantiscono la realizzazione dei programmi che propongono. Le alleanze politiche di piccoli gruppi civici caratterizzati localmente terranno per tutta la consiliatura perché il sindaco, se messo in minoranza, fa sciogliere l’intero consiglio e si va subito a nuove elezioni.
Ciò non accade nel parlamento nazionale in cui lo scioglimento anticipato avviene solo se non si riesce a sottoscrivere un patto di governo purchessia, anche del tutto incoerente con i programmi elettorali per i quali i partiti hanno chiesto il voto. L’attuale parlamento tripolare, privo all’inizio del mandato di una maggioranza coerente, ha comunque varato e fatto funzionare tre governi in cui l’unica costante è stata la partecipazione dei 5 stelle che avevano spergiurato di non volersi alleare con nessun’altra forza politica.
La legge elettorale nazionale che riserva un terzo dei seggi a candidati eletti in collegi uninominali purché abbiano un voto in più degli avversari, costringe i partiti a stipulare alleanze elettorali ex ante, ben sapendo che poi ciascuna forza avrà le mani libere di allearsi come crede con chi crede come è successo a Salvini che, consenzienti i suoi alleati elettorali Berlusconi e Meloni, si accordò con i grillini e formò il governo Conte Salvini Di Maio. Questa legislatura dimostra che la legge elettorale attuale non garantisce la stabilità del governo né impedisce lo sgretolamento delle forze politiche.
Ma queste elezioni comunali dimostrano che i cittadini che votano, quei pochi che votano, sono sensibili ed attenti e si spostano più di quanto la staticità delle percentuali nei sondaggi farebbe pensare. Insomma questi risultati mostrano che tutti i giochi sono ancora aperti, terribilmente aperti se si pensa alla gravità della situazione economica e politica internazionale.
Un elettorato duttile ed attento, potenzialmente di destra per le sue caratteristiche strutturali (ricco ed anziano), se da una lato potrebbe essere imprevedibile e pericoloso (non sono scomparse le pulsioni ribelliste dei primi movimenti del VAFFFA quelle dei movimenti NO tutto, dei movimenti NOVAX, dei sovranisti scontenti) dall’altro consentirebbe di operare correzioni della legge elettorale che migliorino la qualità del personale politico selezionato e delle istituzioni rappresentative.
Chi, in questo momento, dovrebbe avere coraggio è Letta e il suo PD: la scissione del M5S richiede una presa di posizione non opportunistica che superi lo schema delle alleanze preelettorali tattiche nei collegi uninominali (difficile scegliere su tutto il territorio nazionale un solo moncone del movimento 5S morente) e proponga una legge proporzionale con le preferenze. La riduzione del numero dei seggi di fatto crea uno sbarramento per le forze che non superano il 3 o 4 % se non si recuperano i resti come accade ora. Le preferenze consentirebbe di far scegliere agli elettori i propri rappresentanti e ai partiti di ospitare nelle proprie liste personaggi esterni a ciascuna forza politica che però passeranno solo se porteranno propri voti nei collegi in cui sono presentati. Se fosse adottata una legge proporzionale vi sarebbe una aggregazione delle forze troppo piccole prive di una identità riconoscibile che non si riduca al leader mediaticamente spendibile. Si tratterebbe di una scommessa temeraria da parte di questo PD che però potrebbe trovare una sponda proprio in Meloni che potrebbe essere tentata di presentarsi da sola polarizzando gli elettori di destra stanchi di una coalizione in cui si litiga e si realizza poco se Berlusconi non fa il motore trainante con i suoi media e i suoi soldi. Allo stato delle cose nessuna forza otterrebbe la maggioranza per governare e si tratterà di affrontare nel dopo elezioni delle trattative per formare delle alleanze sui programmi come accade ora in Germania. L’alternativa, con la legge attuale, è quella di replicare gli esiti del 2018 con l’aggravante di non avere come pivot i 5 Stelle che all’epoca erano una forza dinamica e piena di buoni propositi.
Insomma, se guardiamo i risultati e la situazione generale, le previsioni sono molto incerte ma la scelta del proporzionale avrebbe il vantaggio che avremmo un parlamento migliore nei suoi componenti e più identificato politicamente al suo interno, più capace di elaborare delle soluzioni ai gravi problemi che dovremo affrontare.
Categorie:Politica
Rispondi