Rompere il silenzio

La sorella di Giulia ha chiesto di onorarne la memoria con un minuto di chiasso, non di silenzio. Così nelle scuole i giovani hanno dato libero sfogo alla loro angoscia di cui non sempre sono consapevoli.

E’ vero, dobbiamo un rispettoso silenzio per le famiglie a cui è capitata questa immane sciagura e questo indicibile dolore ma ciò non ci esime dal parlare di noi stessi di chiarirci vicendevolmente, di capire cosa ci sta capitando. Nel post di ieri pensavo di collegare l’uccisione di Giulia alla disgregazione dell’ordine internazionale, alle guerre in atto crudeli e senza sbocchi, alla vittoria di Milei in Argentina, vittoria di un personaggio che sembra preludere ad una specie di follia collettiva che come una epidemia virale si diffonde in troppi paesi. Questo femminicidio ci sta interrogando anche perché questa follia collettiva sembra essere un segnale e una conferma di un’apocalisse che ci minaccia.

Nel post precedente mi sono limitato a parlare della scuola e del rischio che per l’ennesima volta in nome dell’emergenza e dell’urgenza si voglia mettere una nuova toppa a un vestito logoro irriconoscibile.

Questa mattina, tornando a casa dall’aver accompagnato il nipotino a scuola e dopo aver rimirato i tanti ragazzini che allegramente salivano le scale della scuola per entrare in classe, mi sono detto che noi anziani, se riusciamo ancora a ragionare, abbiamo il dovere di parlare e di riflettere. Così riflettevo sul dibattito di queste ore, sulla polemica sul patriarcato e sul fatto che il patriarcato implicherebbe la logica dello stupro e del possesso. Ripensavo alla polemica tra la Meloni e la Gruber e ho deciso di appuntare queste riflessioni.

Mi sono chiesto: forse anch’io sono intriso di quella cultura patriarcale ora attaccata in molti commenti? Probabilmente sì e qualcuno potrebbe validamente pensarlo se mi ha conosciuto in periodi in cui detenevo una certa autorità e un certo potere, potrebbe pensarlo chi avesse letto quei post del mio blog che contengono la parola padre ed in particolare quello intitolato La mancanza di un padre. Continuo ad essere convinto che molti problemi dei giovani maschi siano legati a figure paterne evanescenti e questo è forse vero anche per la società presa nel suo insieme in cui l’autorità patriarcale sembra evaporata. Qualcuno mi dirà: Finalmente! Forse sì, ma dobbiamo essere consapevoli che si tratta di un cambiamento che riguarda tutti, che richiede un adattamento che non si può realizzare rapidamente a colpi di leggi e di coercizione.

Intanto dovremo imparare ad usare un linguaggio più adeguato a questi problemi che non si riduca alla semplice gestione dello schwa. Ad esempio nella discussione di ieri sera nella rubrica della Gruber si contrapponeva al patriarcato il femminismo. Ora l’apposto di patriarcato è matriarcato mentre l’opposto di femminista è maschilista. Queste due diadi nel primo caso si poggiano sul potere e il possesso mentre nel secondo caso sulla identità sessuale. Ma la realtà dei singoli e delle comunità moderne sono un continuum in cui l’identità sessuale non è più riducibile a due opposti, bianco nero maschio femmina, ma a una graduazione a volte incerta e indistinta; così nella sfera del potere e del successo, nella struttura della società, la distinzione tra patriarcato e matriarcato è ancora più indistinta. La Meloni, come donna che ora esercita un potere con successo, afferma la forza del matriarcato anche attraverso la proclamazione del suo essere madre, forte e irriducibile che umilia pubblicamente il partner che della sua mascolinità fa vanto in forme infantili. All’osservazione della Gruber secondo la quale la destra-destra ripropone una struttura patriarcale della società, Meloni risponde che la sua famiglia è composta da donne, la sua piccola società è matriarcale perché il potere è in mano alle donne. Il suo caso personale non dimostra però l’infondatezza della tesi della Gruber. Semmai dimostra che il successo politico di una figura femminile (in Italia come anche in giro per mondo) non ci assicura che la politica a quel punto perseguirà obiettivi femminili o femministi perché il tutto dipende dagli equilibri del potere che prescindono dal genere di chi decide. Anzi una donna premier potrebbe essere uno specchietto per le allodole.

Se avete fatto fatica a seguirmi e se tutto il mio ragionamento può apparire un intrigo incomprensibile forse avete avuto un saggio di quali inestricabili grovigli abbiano avvelenato il rapporto dei due fidanzati. L’uno vuole difendere e imporre la sua identità maschile che non poteva ammettere la sconfitta rispetto a una femmina vincente, lei è determinata, forte e volitiva come una maschio risoluto ma in realtà essendo una femmina si lascia impietosire e lascia aperto il rapporto affettivo declassato a semplice amicizia illudendo però l’altro ed esponendo se stessa alla sua violenza. Successo, potere, identità sessuale, ruolo sociale possono alimentare conflitti che non si risolvono e che alla fine esplodono.

Caro lettore, mi dirai che anch’io sono caduto nella trappola della chiacchiera che cerca di spiegare e giustificare. E’ vero, ma quando si riflette succede: il mio è stato un tentativo di spiegare a me stesso perché questo delitto ci turba e ci interroga, come dicevo ieri è il suo contesto così normale e così vicino ai nostri stili di vita che ci fa restare svegli e ci commuove.

segue



Categorie:Cultura e scuola

1 reply

  1. riporto anche qui a commento del post quanto il padre di Giulia ha pronuciato al funerale della sua amata figlia.

    Carissimi tutti, abbiamo vissuto un tempo di profonda angoscia: ci ha travolto una tempesta terribile e anche adesso questa pioggia di dolore sembra non finire mai. Ci siamo bagnati, infreddoliti, ma ringrazio le tante persone che si sono strette attorno a noi per portarci il calore del loro abbraccio. Mi scuso per l’impossibilità di dare riscontro personalmente, ma ancora grazie per il vostro sostegno di cui avevamo bisogno in queste settimane terribili. La mia riconoscenza giunga anche a tutte le forze dell’ordine, al vescovo e ai monaci che ci ospitano, al presidente della Regione Zaia e al ministro Nordio e alle istituzioni che congiuntamente hanno aiutato la mia famiglia.
    Mia figlia Giulia, era proprio come l’avete conosciuta, una giovane donna straordinaria. Allegra, vivace, mai sazia di imparare. Ha abbracciato la responsabilità della gestione familiare dopo la prematura perdita della sua amata mamma. Oltre alla laurea che si è meritata e che ci sarà consegnata tra pochi giorni, Giulia si è guadagnata ad honorem anche il titolo di mamma. Nonostante la sua giovane età era già diventata una combattente, un’oplita, come gli antichi soldati greci, tenace nei momenti di difficoltà: il suo spirito indomito ci ha ispirato tutti. Il femminicidio è spesso il risultato di una cultura che svaluta la vita delle donne, vittime proprio di coloro avrebbero dovuto amarle e invece sono state vessate, costrette a lunghi periodi di abusi fino a perdere completamente la loro libertà prima di perdere anche la vita. Come può accadere tutto questo? Come è potuto accadere a Giulia? Ci sono tante responsabilità, ma quella educativa ci coinvolge tutti: famiglie, scuola, società civile, mondo dell’informazione.
    Mi rivolgo per primo agli uomini, perché noi per primi dovremmo dimostrare di essere agenti di cambiamento contro la violenza di genere. Parliamo agli altri maschi che conosciamo, sfidando la cultura che tende a minimizzare la violenza da parte di uomini apparentemente normali. Dovremmo essere attivamente coinvolti, sfidando la diffusione di responsabilità, ascoltando le donne e non girando la testa di fronte ai segnali di violenza anche i più lievi. La nostra azione personale è cruciale per rompere il ciclo e creare una cultura di responsabilità e supporto. A chi è genitore come me, parlo con il cuore: insegniamo ai nostri figli il valore del sacrificio e dell’impegno e aiutiamoli anche ad accettare le sconfitte. Creiamo nelle nostre famiglie quel clima che favorisce un dialogo sereno perché diventi possibile educare i nostri figli al rispetto della sacralità di ogni persona, a una sessualità libera da ogni possesso e all’amore vero che cerca solo il bene dell’altro. Viviamo in un’epoca in cui la tecnologia ci connette in modi straordinari, ma spesso, purtroppo, ci isola e ci priva del contatto umano reale.
    È essenziale che i giovani imparino a comunicare autenticamente, a guardare negli occhi degli altri, ad aprirsi all’esperienza di chi è più anziano di loro. La mancanza di connessione umana autentica può portare a incomprensioni e a decisioni tragiche. Abbiamo bisogno di ritrovare la capacità di ascoltare e di essere ascoltati, di comunicare realmente con empatia e rispetto.
    La scuola ha un ruolo fondamentale nella formazione dei nostri figli. Dobbiamo investire in programmi educativi che insegnino il rispetto reciproco, l’importanza delle relazioni sane e la capacità di gestire i conflitti in modo costruttivo per imparare ad affrontare le difficoltà senza ricorrere alla violenza. La prevenzione della violenza inizia nelle famiglie, ma continua nelle aule scolastiche, e dobbiamo assicurarci che le scuole siano luoghi sicuri e inclusivi per tutti.
    Anche i media giocano un ruolo cruciale da svolgere in modo responsabile. La diffusione di notizie distorte e sensazionalistiche non solo alimenta un’atmosfera morbosa, dando spazio a sciacalli e complottisti, ma può anche contribuire a perpetuare comportamenti violenti. Chiamarsi fuori, cercare giustificazioni, difendere il patriarcato quando qualcuno ha la forza e la disperazione per chiamarlo col suo nome, trasformare le vittime in bersagli solo perché dicono qualcosa con cui magari non siamo d’accordo, non aiuta ad abbattere le barriere. Perché da questo tipo di violenza che è solo apparentemente personale e insensata si esce soltanto sentendoci tutti coinvolti. Anche quando sarebbe facile sentirsi assolti.
    Alle istituzioni politiche chiedo di mettere da parte le differenze ideologiche per affrontare unitariamente il flagello della violenza di genere. Abbiamo bisogno di leggi e programmi educativi mirati a prevenire la violenza, a proteggere le vittime e a garantire che i colpevoli siano chiamati a rispondere delle loro azioni. Le forze dell’ordine devono essere dotate delle risorse necessarie per combattere attivamente questa piaga e degli strumenti per riconoscere il pericolo. Ma in questo momento di dolore e tristezza, dobbiamo trovare la forza di reagire, di trasformare questa tragedia in una spinta per il cambiamento. La vita di Giulia, la mia Giulia, ci è stata sottratta in modo crudele, ma la sua morte, può anzi deve essere il punto di svolta per porre fine alla terribile piaga della violenza sulle donne. Grazie a tutti per essere qui oggi: che la memoria di Giulia ci ispiri a lavorare insieme per creare un mondo in cui nessuno debba mai temere per la propria vita.
    Vi voglio leggere una poesia di Gibran che credo possa dare una reale rappresentazione di come bisognerebbe imparare a vivere.
    «Il vero amore non è ne fisico ne romantico.
    Il vero amore è l’accettazione di tutto ciò che è,
    è stato, sarà e non sarà.
    Le persone più felici non sono necessariamente
    coloro che hanno il meglio di tutto,
    ma coloro che traggono il meglio da ciò che hanno.
    La vita non è una questione di come sopravvivere alla tempesta,
    ma di come danzare nella pioggia…»
    Cara Giulia, è giunto il momento di lasciarti andare. Salutaci la mamma. Ti penso abbracciata a lei e ho la speranza che, strette insieme, il vostro amore sia così forte da aiutare Elena, Davide e anche me non solo a sopravvivere a questa tempesta di dolore che ci ha travolto, ma anche ad imparare a danzare sotto la pioggia. Sì, noi tre che siamo rimasti vi promettiamo che, un po’ alla volta, impareremo a muovere passi di danza sotto questa pioggia.
    Cara Giulia, grazie, per questi 22 anni che abbiamo vissuto insieme e per l’immensa tenerezza che ci hai donato. Anch’io ti amo tanto e anche Elena e Davide ti adorano. Io non so pregare, ma so sperare: ecco voglio sperare insieme a te e alla mamma, voglio sperare insieme a Elena e Davide e voglio sperare insieme a tutti voi qui presenti: voglio sperare che tutta questa pioggia di dolore fecondi il terreno delle nostre vite e voglio sperare che un giorno possa germogliare. E voglio sperare che produca il suo frutto d’amore, di perdono e di pace.
    Addio Giulia, amore mio

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