In questi giorni risuona l’appello di Ghali lanciato a Sanremo. C’è poco da aggiungere se non l’amara constatazione che sta diventando scomodo chiedere la pace e la fine dei massacri crudeli giustificati dalle ragioni della vendetta.

Forse l’accordo su questa frase sarebbe stato più largo se Ghali avesse invocato la fine dei genocidi perché questo avrebbe compreso un po’ tutte le guerre in atto e del recente passato perché quasi tutte le guerre moderne sono giustificate dalla volontà di eliminare un popolo scomodo, di liberare un intero territorio, di annientare una diversità inaccettabile in una nazione.
Giuridicamente un genocidio è una metodica distruzione di un gruppo etnico, razziale o religioso, compiuta attraverso lo sterminio degli individui e l’annullamento dei valori e dei documenti culturali.
Nel 900 almeno tre sono stati i genocidi riconosciuti: quello degli Armeni dell’Impero ottomano, quello degli Ebrei d’Europa per mano dei nazi fascisti e quello in Ruanda dei Tutsi e Hutu moderati per mano dell’esercito e di bande di mercenari.
Da non dimenticare le epurazioni politiche in Cambogia che provocarono circa 1.500.000 morti, l’eliminazione dei maschi bosgnacchi ad opera delle milizie di Mladic a Srebrenica, la repressione anticomunista del 1965 in Indonesia che provocò lo sterminio di quasi 500.000 morti, le foibe istriane di cui in questi giorni abbiamo celebrato la memoria.
A ben vedere tutte le guerre possono essere viste come dei genocidi nella misura in cui non si tratta più di vincere una singolar tenzone tra due schieramenti (Orazi e Curiazi) senza spargimento di sangue tra vecchi e bambini e tra civili, ma ormai la vittoria si ottiene con un sistematico annientamento del nemico, con la distruzione di beni, case, simboli culturali e religiosi, persone. La guerra in Ucraina nasce come guerra interetnica fondata sulla difesa della propria lingua e la propria etnia e diventa il pretesto di una potenza più grande per espandersi e vendicarsi di antici e presunti torti subiti in conflitti precedenti. La guerra in Palestina non trova una soluzione anzi si è incancrenita e aggravata polarizzando lo scontro sulle diversità etniche e religiose che negli imperi ottocenteschi e coloniali erano tollerate e convivevano abbastanza pacificamente. I due contendenti manifestano propositi tipici del genocidio incombente: Hamas dice di volere l’eliminazione dello Stato di Israele e ne inizia la realizzazione sterminando brutalmente e ferocemente un migliaio di cittadini ebrei inermi e pacifici, Israele che si propone di vendicare l’offesa estirpando ed eliminando una forza politica terroristica maggioritaria nel territorio di Gaza con operazioni militari che hanno già provocato circa 30.000 morti tra la popolazione civile.
Nel sito https://it.gariwo.net/, il giardino dei giusti, ho trovato il link ad un interessante dossier sulle tappe dell’odio che porta ai genocidi . Da quella pagina ho tratto la foto che evidenza questo post.
La vendetta
Guerre di religione.
Conflitto arabo israeliano, conflitti universali
Commenti arrivati per mail dagli amici:
Ringrazio per il dossier sui genocidi che permette di fare chiarezza sul termine, ma, soprattutto, abbassare i toni polemici sugli eventi mediatici di San Remo e i loro strascichi provinciali. Genocida è la linea politica di Hamas che nega l’esistenza ad Israele, culminata nella strage del 7 ottobre. Altrettanto genocida è la politica di Israele e dei suoi coloni che concretamente nega il diritto ai palestinesi di esistere. Basta con le polemiche e tregua, pace, due stati o uno stato paritario. Israele ha praticamente fatto una doppia strage delle Fosse Ardeatine (335 italiani/33 tedeschi= 11 assassinati/1; 28000 palestinesi/1200 israeliani= 23 vittime civili/1) Viva i pacificsti, i non violenti e gli obiettori israeliani e palestinesi. Grazie a Francesca Mannocchi che ci informa.
Ciao Raimondo
ti ringrazio per il tuo scritto e soprattutto per il dossier che fa chiarezza sul tema.
Dopo Ghali e le polemiche in tv, ero rimasto colpito dai servizi della Mannocchi su Propaganda: in particolare quello in cui parlavano un ebreo pacifista non più convinto di un kibbuz assalito da Hamas, un palestinese della Cisgiordania non violento che viveva con la rete metallica sulle finestre al quale i coloni impedivano la raccolta delle olive, il giovane 17enne israeliano obiettore che rifiuta di andare sotto le armi, gli ebrei antisionisti ed Israele insultati come traditori perché sono per la Palestina.
Questo diversificato dibattito credo stia muovendo l’opinione pubblica e fa comparire una luce di speranza nella tragedia,
Alla prossima
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