Un anno fa avevo dedicato un post allo sgretolamento progressivo che il renzismo sta provocando nel nostro tessuto istituzionale e conseguentemente in quello economico sociale.
Nel novembre 2014 a commento delle regionali di allora così scrivevo.
In questi giorni ero in un paesetto della Toscana in una casa senza televisore per cui l’accesso alle notizie era solo quello possibile con un quotidiano di carta e con la rete, i post e i commenti della mia cerchia di amicizie. Mi sono risparmiato il faccione del beneamato Mattia il gradasso e quando l’ho rivisto ieri sera al telegiornale ho avuto un moto di ripulsa, la sensazione che non voglia o non sappia riconoscere lo sgretolamento che si sta producendo intorno a lui e che prima o poi lo travolgerà. Niente male se solo lui fosse travolto, è che anche noi rischiamo di andare a fondo con lui.
Ma a ragionar così faremmo lo stesso errore che abbiamo fatto con Berlusconi: Matteo, anzi i due Mattei non sono la causa ma sono il prodotto di processi profondi e diffusi che si sono incancreniti nella nostra società. La paura del piccolo borghese, del medio professionista, del piccolo o medio imprenditore, della famiglia benestante, del pensionato ben piazzato di perdere ciò che ciascuno ha, di vedere che i figli staranno peggio dei loro padri, l’invidia nei confronti di coloro che hanno forza ed energia per emergere e vincere partendo da basi molto misere (lèggi immigrati), sono i due sentimenti più diffusi che ispirano da un lato il renzismo e dall’altro il leghismo. In comune c’è un riflusso egoistico che allenta i vincoli comunitari e li canalizza su un solo leader, su un unico condottiero che promette il riscatto e la vittoria.
Leggendo molti commenti della rete mi rendo conto che prevale l’insofferenza per la mediazione, il compromesso, l’attesa e la maturazione, si chiede di tagliare di netto, di bruciare i tempi, e le forze politiche che necessariamente devono aggregare e mandare a sintesi opinioni ed interessi diversi sono viste come inutili o dannose se non addirittura come ricettacolo per ladruncoli o malfattori. Da qui l’astensione, una maggioranza silenziosa che nessuno sa come e quando rientrerà nel gioco politico.
Anche in me stava maturando un atteggiamento astensionistico ma domenica ho capito che una cosa è non andare a votare ed altra è votare scheda bianca, altra ancora è votare le persone che meritano perchè potranno amministrare bene i nostri averi. Non serve nemmeno mandare messaggi minacciosi come qualcuno ha fatto votando partiti del tutto nuovi come da ultimo il Movimento 5 Stelle. Anche coloro che pensano di non aver nulla da perdere perché molto miseri con scelte rinunciatarie o di semplice protesta nella logica del tanto peggio tanto meglio possono perdere un bene non secondario, la libertà.
Renzi di fronte a questo sgretolamento evidenziato dall’astensionismo non cambia verso (lui) anzi insiste a dire che tireremo diritto, nessun ripensamento. Le altre forze politiche stanno peggio della sua e quindi la paura delle elezioni terrà in vita parlamento e maggioranza per molto ancora quanto basta per risvegliare l’orgoglio nazionale (anche l’altro Matteo leghista insiste sull’orgoglio nazionale di tipo xenofobico) e uscire mirabilmente dalla crisi.
La debolezza degli avversari non deve illudere il vincitore sulla propria forza, tanti legami deboli non tengono su un muro a lungo.
La roccia che nel bene o nel male ha retto in questi anni ha annunciato che si dimetterà all’inizio del prossimo anno, ora tocca a Renzi gestire quel processo delicatissimo che ha bruciato Bersani, quello stesso Renzi che fu un regista occulto ma efficace dalla lontana Firenze. Ora occupa uno spazio infinito di potere che però nel buio della urna potrebbe rivelarsi troppo sgretolato, troppo intriso di risentimenti, rancori, ambizioni, invidie, piccinerie.
Lì si vedrà se Renzi è un politico o un faccendiere svelto ed energico capace solo di dare ordini perentori a persone ricattabili con la mancata ricandidatura.
Riflettendo su questa tornata elettorale, quella delle regioni contese all’ultimo voto, quella del ridimensionamento drastico dell’ambizione renziana, quella dell’irruenza mediatica del Matteo il lombardo, quella della forza dei nervi distesi dei giovani grillini dalla faccia per bene, quelle degli stracci fatti volare a via del Nazzareno, quelle del vecchio signore di Arcore ostinato e risoluto, mi sembra che la sintesi più appropriata continui ad essere la parola sgretolamento.
Insomma nulla di nuovo.
Mattia il gradasso forse ha immaginato che lo sgretolamento delle altre fazioni, avrebbe irrobustito la sua ma aveva sottovalutato la forza della realtà dura a cedere all’impeto del volitivo, non aveva capito che in una grande fortezza se si rafforza un singolo bastione il castello viene comunque giù se il resto si sgretola e marcisce. E lo sgretolamento ha iniziato a rovinare anche la sua roccaforte in cui pensava di governare con il pugno di ferro a forza di delibere assembleari prese a maggioranza da un manipolo di fedelissimi.
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