La vittoria di Trump l’ho vista come un terremoto, sono forse influenzato da quello tuttora attivo qui in Italia. Ma più ci penso più l’immagine si presta bene ad illustrare questa pagina della politica mondiale.
Come quello in Valnerina in cui faglie e cavità sotterranee scatenano fenomeni superficiali improvvisi e imprevedibili, così la scelta degli americani non è un fenomeno erratico, un meteorite non avvistato in tempo, ma il risultato di un processo lungo e sotterraneo che ha scavato come un fiume carsico caverne e vuoti che ora stanno implodendo.
Molti parlano della delusione della classe media americana di razza bianca per due processi che una trentina di anni fa avevano dato nuova speranza in giro per il mondo: le nuove tecnologie e la globalizzazione.
Ho vissuto in prima persona queste fasi, ho insegnato in primissimi corsi sperimentali di informatica sono in contatto con tanti ex studenti che hanno positivamente percorso quella strada professionale e che sono stati espulsi prematuramente dalla produzione non appena la bolla delle nuove tecnologie si è ridimensionata.
Ricordo con quanta speranza la mia generazione studiava l’inglese pensando a un futuro in cui le lingue straniere sarebbero state un grimaldello per professioni redditizie, l’abbattimento dei dazi in Europa e poi nel mondo ci ha arricchito di prodotti di consumo di maggior qualità e di minor prezzo ma ha desertificate interi distretti industriali e eserciti di lavoratori sono stati esclusi dal lavoro e condannati a una pensioncina prematura sotto forma di cassa integrazione.
Questi processi che hanno determinato cambiamenti radicali delle abitudini e della mentalità di grandi popolazioni e che spesso hanno rotto equilibri ed identità rassicuranti sono stati governati dalla classe politica con provvedimenti pensati per ridurre il danno, per attutire l’inevitabile sofferenza, per anestetizzare il malato quando operazioni chirurgiche erano necessarie.
Gli americani sono stati forse i meno protetti, hanno subìto molti cambiamenti, pensate alle crisi finanziarie successive alle torri gemelle e ai subprime che hanno tagliato o vanificato le pensioni degli anziani gettati sul lastrico improvvisamente, tolto case confortevoli a migliaia di famiglie, hanno caricato nella loro faglia tanta energia sotto forma di risentimento, tanta delusione che Trump forse è meno peggio di quanto quel paese potrebbe esprimere con le tossine che si son sviluppate al suo interno.
Ma, come tutti i terremoti, gli effetti del botto si sentono su tutta la crosta terrestre e non possiamo escludere effetti domino se le stesse faglie e le stesse fratture si sono prodotte in altri siti di questi colorato pianeta. La delusione, l’invidia, le differenze vistose tra ricchi e poveri sono realtà diffuse in tutto il mondo occidentale.
Quel terremoto americano può benissimo scatenarsi anche da noi perché la geologia è la stessa, lo sgretolamento delle istituzioni democratiche, dei partiti, delle ideologie é in atto da decenni e non tutti i paesi hanno impalcature sufficientemente solide per limitare i danni.
L’Italia in questo momento sta decidendo se dotarsi di un’impalcatura istituzionale capace di contrastare le perturbazioni che il futuro ci prospetta. La ricetta renziana é di limitare un pochino i diritti e la rappresentanza democratica a favore di un capo che di fatto sarà eletto direttamente dal popolo, se riforma costituzionale ed italicum fossero confermate.
Stiamo per adottare un assetto democratico più simile a quello americano, quello che ha prodotto in questi giorni il fenomeno Trump. Magia dei meccanismi elettorali: la Clinton prende più voti di Trump ma perde tutto, Casa bianca, Campidoglio e Senato. Come è possibile? La governabilità prima di tutto.
Poco male, il sistema americano ha una sua logica, il presidente é a capo di una confederazione di stati indipendenti, ha un potere immenso ma non assoluto, non solo la realtà dell’economia pone dei vincoli, non solo le magistrature là non scherzano ma anche i grandi sistemi delle banche, dell’esercito, dei media decidono come vogliono, ma é sopratutto la realtà che non sempre si piega al nostro volere e a quello del presidente degli USA.
Un terremoto può avere delle cause spiegabili e comprensibili ma in ogni caso é distruttivo e spiacevole. Come Trump, perché promette ciò che non può mantenere e illude molti di coloro che in lui hanno sperato aumentando in futuro la loro esasperazione se fallisse.
Ad esempio la ricetta keynesiana dei lavori pubblici per riattivare lo sviluppo economico può funzionare in presenza del debito pubblico e privato che l’America ha attualmente? Quali e quanti sacrifici dovranno fare (dovremo fare) prima di ritrovare un nuovo equilibrio positivo ed accettabile?
Vedremo, gli elettori hanno scelto un plurimiliardario per limitare il potere dell’establishment, per difendere i propri diritti, non hanno creduto a Sanders, ora assistono attoniti o stupidamente euforici alla nomina di CEO di grandi banche, di capi di stato maggiore di passate guerre disastrose, di tante Muraro scelte perché non si può far altrimenti.
Dopo le tre scosse di terremoto percepite distintamente a Roma per alcuni giorni sono rimasto intontito, ipersensibile a tutti i piccoli sbandamenti e ai più leggeri scricchiolii dei mobili. È la stessa sensazione che provo in questi primi giorni dell’era Trump.
Categorie:Politica, Referendum costituzionale
Rispondi