Sono a scuola, gran confusione e chiasso, il vicepreside mi chiama, sta ritto ai bordi dell’aula e mi ricorda che devo presentare il piano di lavoro ma, dato il rumore di fondo, non capisco bene e chiedo che ripeta, lui ripete con la stessa voce monocorde e lo stesso volume e continuo a non capire bene allora io ad alta voce ripeto quello che avevo capito. Devo relazionare sulle attività di educazione a distanza di questo periodo? e dicendolo mi rendo conto di non aver fatto proprio niente. Sì e devi consegnare anche i voti dei tuoi studenti! Attimo di panico, penso che non avevo fatto proprio niente e che ora non sapevo come fare per rimediare … ma Raimondo non hai più le classi sei in pensione, dico tra me e me … e così mi sveglio sollevato da questa angoscia, un po’ di tachicardia e dopo una ventina di minuti riprendo sonno.

Tipico sogno narcisista di chi rivive momenti spiacevoli per potersi dire che li ha superati o evitati ma anche il segno che non ci si può realmente estraniare dalla sofferenza altrui dicendo a se stessi che il problema della scuola chiusa dal lockdown non riguarda un anziano che da nove anni è fuori da tutti i giochi.
Sì, penso spessissimo ai colleghi che sono sulla breccia, ai docenti, ai ricercatori, ai dirigenti. Penso che come al solito la società non riconosce loro quella gratitudine e quell’onore che meritano in quanto sono stati e saranno il presidio forte del nostro tessuto sociale perché questo regga nonostante tutte le slabbrature prodotte dal virus, dai media, dai giornalisti, dai politicanti da strapazzo.
Categorie:Coronavirus, Cultura e scuola
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