‘E’ come con la transumanza, ai primi freddi le greggi e le mandrie si spostano, così le scuole ai primi freddi come al solito riaprono in un modo o nell’altro‘. Con una punta di divertito cinismo così si esprimeva molti anni fa, quasi trent’anni fa, un grande provveditore del quale ho scritto su questo blog.

All’inizio di settembre, prima dell’inizio delle lezioni il provveditorato di Bergamo organizzava dei corsi di formazione ed io collaboravo con qualche intervento. Nel clima concitato delle nomine dei docenti, dei presidi che presentavano istanze e problemi, il provveditore Ennio Draghicchio sapeva che quella macchina infernale non dipendeva solo da lui ma che si alimentava con l’energia di tutti e lui doveva solo evitare di mettere granelli di sabbia nell’ingranaggio. Era un lavoratore fuori sede e la sera cenava al ristorante con amici, qualche preside e qualche ospite come me, si stava allegramente in compagnia mentre tutto sembrava dovesse incepparsi e non funzionare. Alle 11 di sera tornava a firmare nomine e circolari e si rimaneva a chiacchierare oltre la mezzanotte. Così l’anno scolastico ripartiva con il contributo di tutti.
A lui ho pensato più volte in questi giorni in cui questa riapertura dell’anno scolastico oltre a scontare problemi normali ed ineliminabili quali le nomine e i trasferimenti del personale per far fronte a una popolazione scolastica che annualmente cambia, deve affrontare la gestione del distanziamento necessario per limitare i danni del contagio del coronavirus. Tranquilli ce la faremo, di gente come Draghicchio, tenace preparata, coraggiosa ce n’è nella scuola a sufficienza più di quanto gli organi si stampa e i media vogliano farci credere alimentando la nostra paura. Alimentano la paura che la scuola non possa essere all’altezza, che i nostri ragazzi siano in mano a irresponsabili e incapaci. Le immagini diffuse in questi giorni dai media sono sistematicamente demolitorie di quanto nelle scuole si cerca di fare per gestire questa situazione. Si racconta solo di eventi negativi, di casi a volte ridicoli, che tuttavia sono casi singoli e non sono l’universo.
Per dire quanto possa essere potente la costruzione di un pregiudizio vi racconto la scoperta che ho fatto solo in questi giorni sulla storia dei banchi monoposto. Il messaggio martellante è stato che l’acquisto e la fabbricazione dei nuovi banchi fosse un problema ingigantito dal governo per fare al solito gli affaracci suoi. Si vedevano nei servizi televisivi montagne di banchi doppi accatastati fuori dalle scuole per far posto ai banchi singoli. Ed io pensavo: ma questi sono matti, intanto non potrebbero usare i banchi doppi facendo sedere un solo studente? Come è possibile che si debbano comprare milioni di banchi? Sì che ho fatto il preside! avevo rimosso dalla mia memoria che alla fine di agosto il personale ATA che sistemava le aule censiva anche i banchi inservibili e quelli necessari in sostituzione o in aggiunta se gli studenti erano aumentati. Si faceva la richiesta all’ente locale che provvedeva alla fornitura. Io avevo una scuola di circa 1200 studenti e quindi con circa 600 banchi visto che ogni banco ne ospitava 2. Annualmente almeno una sessantina di banchi nuovi dovevano arrivare nei primi giorni di settembre. E quest’anno alla mia ex scuola cosa succede? se conservano tutti i banchi che hanno già, circa 600, ne devono arrivare altri 600. Se gli studenti italiani sono in totale circa 8 milioni serviranno almeno 4 milioni di nuovi banchi monoposto nella migliore delle ipotesi, se tutti i banchi vecchi sono riutilizzabili, cosa difficile se le aule sono troppo piccole. Insomma solo da pochi giorni mi sono reso conto della dimensione del problema su cui i media hanno ironizzato o polemizzato. Se non ho capito io, pensate cosa possa aver pensato chi non si è mai occupato di scuola.
Emozioni settembrine, commozione e lutto.
Willy non tornerà a scuola, è caduto vittima del pregiudizio razziale, dell’odio fascista che si abbatte sui più deboli. Sappiamo poco dello sviluppo dei fatti saranno i giudici che dovranno stabilire se si tratta di un omicidio preterintenzionale o di un omicidio aggravato dalla premeditazione e dal pregiudizio razziale. Ho visto solo le foto della vittima e dei probabili carnefici. La scuola ha molto a che fare con questo omicidio, questi volti ci interrogano sul sistema educativo che lascia uscire troppi individui disadatti che trovano la propria identità nel branco violento, minaccioso, nell’esibizione di una virilità tanto marcata quanto insicura. Sono tornati alla mente i volti della miriade di giovani che ho incontrato come insegnante e poi come preside. Quanti volti come quelli di Willy, immigrati europei, asiatici, africani, tenaci, impegnati, inseriti, spesso brillanti. Quanti volti soprattutto di maschi autoctoni insicuri e all’improvviso sfrontati, minacciosi, sfottienti perché avevano un nuovo giro di amicizie, non si inserivano nella scuola e accumulavano insuccessi e bocciature.
La chiusura delle scuole durante il confinamento ci ha convinto che il percorso educativo proposto dalla scuola non può essere completamente sostituito dallo studio online poiché la crescita dei giovani è fatta anche di vicinanza, di relazioni e di interazione con i pari e con gli adulti. Questa consapevolezza dovrebbe farci maturare l’esigenza di uno sviluppo della scuola che produca inclusione per tutti non solo per coloro che sono motivati per interesse o per necessità ma anche per coloro che hanno difficoltà e rifiutano le regole della scuola. Non è solo questione di educazione civica o di coscienza democratica, di rispetto della Costituzione è questione più profonda e complessa che investe il livello della crescita equilibrata della persona in un contesto in cui la scuola è rimasta isolata. Rispetto a una molteplicità di agenzie educative che in questi anni sono diventate evanescenti (Chiesa, partiti, associazioni, famiglia), rispetto all’ipertrofia della comunicazione mediatica e online, la scuola pubblica dovrà realizzare nuove forme di inclusione che riducano gli scarti. Facile dirlo, difficilissimo realizzarlo tenendo la barra diritta in questa tempesta perfetta di cui non si vede la fine.
Categorie:Coronavirus, Cultura e scuola
bel post: ho conosciuto anche io il provveditore Draghicchio, anche se non così da vicino come te, e in qualche modo ho collaborato ad alcune sue iniziative nella loro proiezione lombarda, anche se lui era allora Provveditore di Bergamo e io lavoravo a Brescia, purtroppo quasi sempre con ben altri provveditori (una volta fui convocato in provveditorato da uno di questi, che poi finì al Ministero a Roma a dirigere non so che cosa: Preside, la smetta di lavorare così tanto, mi sta mettendo in crisi le altre scuole di Brescia, era il messaggio che doveva darmi).
sui banchi monoposto mi sono chiesto anche io se era il caso di comperarne di nuovi quando bastava tenere un alunno per banco in quelli bi-posto che si avevano già; certamente questo comporta comunque un aumento del numero dei banchi, sostituzioni di quelli usurati a parte, che però non sono così massicce: quanto meno un raddoppio, ovviamente.
vorrei credere anche io che si sia proceduto all’acquisto soltanto dei nuovi banchi strettamente necessari. ho però testimonianze dirette da una scuola del circondario di dove abito ora, di come i banchi biposto siano stati ammassati nei depositi per essere sostituiti dai nuovi monoposto.
riuscire a districarsi nel labirinto di una informazione come quella italiana è difficile.
però, giudicami pure filo-tedesco, come spesso vengo accusato di essere: come spieghi che a nessuno in Germania sia venuta in mente una follia simile?
io non penso che i tedeschi abbiano ragione per forza, ma penso che qualche motivo c’è se loro hanno un bilancio statale sano e noi affoghiamo nei debiti di spese balorde.
ricordo ancora, anche se non credo di avere il tuo consenso, che facendo i doppi turni non ci sarebbe stato affatto bisogno di comperare banchi nuovi.
sarebbe poi stato giusto lasciare alle scuole l’autonomia di scegliere le soluzioni organizzative migliori per contrastare il virus, dopo avere fissato delle regole generali chiare.
ma è possibile farlo con la nuova generazione dei dirigenti scolastici selezionati con un test a crocette?
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Io non ho detto che la gestione dei banchi sia stata ottimale ho solo denunciato un blocco mentale mio che mi ha impedito di analizzare il problema razionalmente considerandone gli aspetti quantitativi globali. L’emozione ottunde la ragione e la blocca
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Aggiungo che non dissento dall’idea del doppio turno anche se non vedo come possa essere la soluzione universale. Forse se si faceva come avevo ventilato nei primi post sull’argomento se da subito fosse stato abbassato il numero medio di studenti per classe già solo di due unità e se i dirigenti avessero potuto rideterminare gli organici di fatto, e a maggio si poteva fare, se fosse stato abolito per due anni il premio di produzione per i dirigenti che discrimina in base al numero degli studenti, assegnando il compenso massimo per tutti, ci poteva essere una redistribuzione delle classi più coerenti con le disponibilità fisiche dei locali nei vari edifici scolastici. Le classi pollaio sono anche il prodotto della gara tra le scuole e tra i presidi basata sulla ricerca di iscrizioni. Ci sono scuole semivuote e scuole che scoppiano. In questo quadro anche la soluzione dei doppi turni come le turnazioni tra presenza e on line o le assenze imposte come proponevo nel mio post potevano essere soluzioni organizzative possibili in un quadro di gestione realmente decentrata. Cosa sia successo ai tanti livelli decisionali in cui ormai è strutturato il sistema scolastico non lo sapremo mai, ovviamente in un sistema ad alta complessità un approccio soft gestito da molti attori animati da buon senso e buona volontà dà risultati migliori dell’approccio meccanicistico di chi con le circolari vuole prevedere tutto. Nonostante tutto sono ottimista, appena la scuola non avrà i riflettori puntati della stampa e dei giornalisti (tutti con evidenti problemi di pregressa esperienza scolastica negativa) torneremo ad essere meno emotivamente coinvolti e più capaci di analizzare i fatti, che saranno comunque duri e difficili.
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