Qui trovate la seconda parte delle riflessioni che Massimo Barone ha scritto durante l’isolamento imposto dall’epidemia Covid 19. Termina con dei puntini. Questa storia non è finita e qualche altro contributo potrebbe arrivare e volentieri lo pubblicherò sul blog.
Fase 2
… Per tornare tutti assieme a sorridere.
Parte finale d’una frase estratta dalla pubblicità televisiva. La parte iniziale assicurava che si stava facendo tutto il necessario per… Niente di particolarmente fantasioso. Una frase pensata per essere assorbita più che ascoltata. Tant’è, se tornerai, vieni da qualche parte, o dal fare qualcosa. Ad un certo punto, perbacco, c’è stata un’interruzione. Ma ci sono state, ci sono e seguiteranno a imperversare le interruzioni. Pochi dubbi in proposito. In ogni caso, vieni da dove vuoi tornare. A fare che? A sorridere tutti assieme. Perché? Perché tutti. Perché assieme. Uno, se legge attentamente, certe domande se le pone.
Già. Perché?

A buttarla sul personale, non posso definirmi un gran sorridente. Mi capita. M’è capitato anche durante questa virtuosa, responsabile auto reclusione. Scherzo volentieri con Maria Gemma e, certo, sorridiamo nei vari modi con cui questa espressione si manifesta. Ghigno, sorrisetto fugace, rullo di tamburo, pizzicata di violino. Abbiamo anche riso, assieme (io e lei) e, da non credere, durante una pestilenza. Sono scarso come sorridente, figuriamoci come ridente. Posso al massimo contro cantare. Lei no, è un’ottima ridente. E trovo incoraggiante e godibile il modo con cui si abbandona al riso, senza tensioni, senza prima trattenere il fiato. Mi coinvolge, mi spinge ad imitarla. D’altra parte, stiamo assieme.
E, quindi, tutti chi?
Se per tutti s’intende tutti e due, intenti a cazzeggiare in casa, assieme più che mai malgrado i tempi bui, non c’è dubbio che l’affermazione ha un senso. Sorridevamo prima dei tempi bui, abbiamo seguitato a farlo durante e ci sono discrete possibilità che la stragrande maggioranza di noi abbia occasione di farlo anche dopo. D’altra parte, la frase non specifica e quindi tutti può significare molti di più. Per esempio, tutti quelli che hanno ascoltato, o sub ascoltato, come dire, assorbito il messaggio pubblicitario. Può spingersi perfino a significare tutti sul serio. Per intenderci, tutti quelli che s’aspettano al più presto un vaccino. Tutti assieme a sorridere, poi arriva il corona virus, ma, tranquilli, torneremo a sorridere, tutti assieme. Non riesco ad immaginare sequenza più angosciosa. In uno scenario simile la pestilenza è un periodo di ferie. Ci si può abbandonare ad altre espressioni: ansia, paura, rabbia, dolore, sorpresa, gioia, malinconia… Una festa per i muscoli della faccia irrigiditi in un sorriso senza pause né dubbi.
Assieme?
Già tutti quelli che hanno ascoltato il messaggio sono un assieme niente male, un sacco di gente che ha adattato alla propria condizione la frasetta sdolcinata ed esortativa.
Il terrifico raggiunge l’apice se viene letta come rivolta proprio a tutti. Ovunque voi siate (giacché non esiste piazza o stadio che possa contenervi) qualsiasi cosa facciate, siete tenuti a sorridere e a considerarvi assieme. Chi non ci sta è condannato a non essere, è spinto nella assurdità del Grande Nulla. Mi riporta in mente un vecchio spezzone di film, molto deteriorato, in cui si vede una migrazione di cicogne, o forse di aironi. Tu cogli l’ininterrotto battito d’ali ed è sottinteso che l’immagine ha un identico prima e un identico poi. E‘ un brutto sogno (un brutto segno) un’utopia funebre. E guarda tu quanti spessori può contenere una frasetta neutra e quante pulsioni solletica. Va bene al borghese piccolo piccolo, all’onanista, all’utopista psicopatico, al tossico, ai responsabili e perfino ai disabili. I disabili sorridono. Non solo: sghignazzano e, quando ne vale la pena, si contorcono per pazzo ridere.
Declino e caduta del safari mattutino.
Da un paio d’anni mi capita (con frequenza crescente) di leggere le notizie su internet. È facile, basta abbonarsi e puoi consultare il quotidiano su uno schermo assediato dalla pubblicità e da frivolezze che nell’edizione cartacea non trovi. Leggi con un certo impaccio, come chi avanza su un pavimento a scacchi e poggia i piedi solo sulle mattonelle scure. Quelle chiare le evita, le detesta. Ovviamente, ho ragionato su questa variante della preghiera del mattino. Assorbi i contenuti del notista politico, dell’opinionista, del cronista in uno iazzeband multicolore di immagini, di ammicchi e inviti esclamativi. Soprattutto lo fai a casa, col caffè da una parte e le sigarette dall’altra del computer.
Sembrerebbe una scelta dettata dalla pigrizia e dalla vecchiaia, se proprio vogliamo accontentarci. In realtà, sei come i fuscelli nel fiume. Devi seguire la corrente, non puoi andartene per conto tuo. Sei cioè tenuto a aderire all’invito sempre più pressante di toglierti di mezzo, di startene a casa, che è meglio. Il corona virus ha amplificato questo invito e ha spalancato una finestra su un futuro già prevedibile da prima del suo avvento. È meglio per tutti. Chi non ci sta non è riproducibile o, peggio, non vuole essere riprodotto. Perciò non c’è. Ed è meglio per tutti quelli che, volenti o nolenti, coscienti o distratti, ci stanno. Sono cioè riproducibili e a portata di mano. E lo sono perché comunicano col mondo nell’epoca della sua riproducibilità tecnica.
Possono sembrare valutazioni dettate dalla vecchiaia, che è così spesso irosa, e dalla consorella pigrizia, che può essere lagnosa. D’altronde. chi scrive non è certo di primo pelo. In quanto alla pigrizia, ero pigro anche in giovane età. Molto pigro. Respingevo il dover essere agli angoli per dare tutto lo spazio possibile al fluire e al colluttare dei pensieri e dei sogni a occhi aperti, che puoi costruire e modificare a tuo piacimento. Quel tipo di pigrizia, da cui non sono mai riuscito a mondarmi, non m’ha impedito di fare (il meno possibile) qualcosa per vivere, di essere padre, di scrivere e via enumerando. E’, a suo modo, una pigrizia eversiva. Giacché i più trovano meno inquietante il laborioso mal fare d’un corruttore, o d’un evasore, che l’apparente non fare d’un sognatore. Almeno quelli producono e sottraggono ricchezza, come dire, movimentano. Tu, stravaccato in poltrona, o sulle scale della chiesa, che movimenti?
Di sicuro, quel tipo di pigrizia, non ha impedito i miei safari mattutini. Se ne è semmai nutrita, li ha istituzionalizzati. Infatti, da che ne ho avuto possibilità, quale che fosse la parte di mondo in cui mi trovavo, io sono andato ogni mattina nel (nei) bar del posto a bere caffè e a leggere le notizie. Con qualsiasi tempo, anche se febbricitante, afflitto da problemi, o appena messo alla porta dalla convivente. Il safari è stato lo start, l’inizio del canto. Lo dicono i pescatori quando, avviato il motore, lo scoppiettio diventa un regolare brontolio. Il motore canta! Si parte. La sosta al bar era l’avvio al fare e al reprensibile, sospetto non fare.
Non è un caso che mi serva del passato. Il rito, più che interrompersi, era andato diradando ben prima del Corona virus. L’ho scritto all’inizio: da un paio d’anni. Il Corona Virus (il Covid 19, l’ultima pestilenza pandemica, nient’altro che l’ultima) ha per necessità stabilizzato la linea di tendenza. A casa, tutti a casa. Non c’è miglior rimedio, lo si è capito da millenni.
Ma molto hanno contribuito i cambiamenti.
Prendiamo il giornalaio. Voglio chiamarlo Anselmo. È persona gentile, sempre disponibile allo scambio di battute sull’andazzo politico/sportivo. La sua edicola sta alla radice di viale Eritrea e affaccia su piazza Annibaliano, scenario contemplato e calpestato da decenni. Ebbene, l’edicola è la tappa intermedia del safari mattutino. La prima è in un piccolo bar con ottimo caffè sul marciapiede del mio portone. Poi c’è la sosta da Anselmo, infine quella al bar del marciapiede di fronte, coi tavoli comodi, su cui puoi aprire il giornale. Caffè decente.
È da molto tempo che l’edicola ha intrapreso un percorso che la fa sempre più somigliare a un bazar. Vi si vende di tutto, per lo più impacchettato col giornale. Provo ad abbozzare una lista. Una sosta da Anselmo ti può far rincasare col giornale e con:
- orologio, lente d’ingrandimento, cannocchiale, occhiale, cd, macchina fotografica, gioco per bambini e/o adulti, bigiotteria, radiolina, auricolari, flauto, porta chiave, foulard, pettine, pettinino con specchietto ad uso della Barbie, libro …
E chissà quanti ne ho tralasciati. C’è semmai da notare, senza malignità, che la maggior parte di questi oggetti è di plastica ed è prodotta in Cina. M’hanno detto che c’è chi li colleziona. D’altronde, c’è chi colleziona tappi di bottiglia,
…..
Massimo Barone
Categorie:Coronavirus
Bellissimo testo, amaro ma vitale. Leggendolo, ho desiderato che continuasse.
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