Dirigismo

Una delle questioni che hanno determinato la crisi politica e la caduta del governo Conte 2 è la stesura del piano per la ricostruzione dopo la pandemia finanziato con fondi europei. Non ho difficoltà a credere che la stesura del piano sia molto impegnativa e difficile se non c’è un clima politico capace di pensare al futuro della prossima generazione cioè ragionare in una prospettiva ventennale dei singoli paesi e della stessa unione europea. Insomma non è questione di lunghezza e chiarezza delle bozze ma di impostazione e di linea politica complessiva. Non mi risulta che qualche forza politica si sia fatta seriamente promotrice di una elaborazione politicamente fondata.

il piano Marshall

Crassa ignoranza

La polemica scatenata da Renzi, tutta centrata su dettagli mancanti di una bozza provvisoria che doveva essere completata ed arricchita in un dibattito pubblico forse allargato anche alle minoranze e alle forze sociali, diffonde nell’opinione pubblica una immagine ipersemplificata dell’occasione storica che il paese avrebbe se gestisse bene questa inaspettata opportunità. Ma non è tutta colpa di Renzi se questo dibattito si sia ridotto ad una sterile polemica tra pretendenti che vorrebbero accaparrarsi la fetta migliore della torta, la crassa ignoranza della gran parte dei commentatori e degli opinion maker (ormai tutti giornalisti) rinforza solo pregiudizi e diffidenze la cui punta dell’iceberg sono le posizioni di Salvini e di tanti politici improvvisatisi economisti di vaglia.

Non è il piano Marshall

Così si discute se questi soldi siano un prestito o una graziosa donazione, un nuovo piano Marshall finanziato direttamente dall’Unione Europea. Qualcuno pensa che i miliardi di euro di cui si parla non debbano essere conteggiati nello stock di debito pubblico esistente. Salvini pensa che sia più vantaggioso emettere propri titoli di debito dello stato italiano piuttosto che utilizzare i fondi Recovery europei, Renzi insiste sul MES tutto finalizzato ad un finanziamento straordinario della sanità.

Mi permetto, ad uso di qualche lettore che per telefono mi chiede chiarimenti al riguardo, di sottolineare alcune idee che mi sembrano trattate in modo molto confuso nei dibattiti.

I prestiti vanno restituiti

Il fondo per la ricostruzione è un prestito da restituire all’Unione la quale non stampa moneta né ha riserve proprie da distribuire ma raccoglierà le risorse sul mercato dei capitali con emissioni proprie un po’ come accade ora per il deficit del bilancio italiano, il Tesoro emette titoli di debito e raccoglie denaro contante che poi spende nella gestione corrente. Per poter restituire in futuro questi capitali, ora presi in prestito, occorrerà metterli a frutto, cioè occorrerà investirli in beni durevoli che possano nel tempo fruttare utili per restituire il capitale e gli interessi. Ciò che Salvini non ha capito è la differenza tra BTP emessi da noi e il RF emesso dall’Unione europea. Gli interessi che si devono pagare su un prestito dipendono dal rischio che corre il prestatore di non riavere il capitale. Se chi emette il prestito è molto affidabile gli interessi sono bassi, se si prestano soldi ad uno che sta per di fallire gli interessi richiesti sono molto elevati. Per questo, se l’emittente delle obbligazioni Ricovery Fund è l’Unione che garantisce con l’economia di un continente la restituzione del debito, gli interessi saranno più bassi di quelli richiesti allo Stato italiano che è già indebitato sino al collo.

Ci sarà un monitoraggio europeo

Se tutto ciò è vero ne discendono due conseguenze:

  • il prestito non può finanziare le spese correnti dello Stato né sostenere i consumi se non per un periodo molto limitato che riduca gli effetti disastrosi di una contrazione eccessiva della capacità di spesa della popolazione;
  • l’Unione vigilerà sull’uso dei fondi erogati in modo tale che non vengano sprecati a fini elettorali senza generare nuove opportunità di sviluppo per la nazione.

Il monitoraggio della spesa sarà la condizione per avere ulteriori erogazioni, ciò vuol dire che il 240 miliardi di euro non li troveremo tutti versati sul conto del Tesoro in una sola rata ma saranno erogati nel tempo in ragione dell’avanzamento della realizzazione dei progetti finanziati. Si capisce perché Salvini non voglia il Ricovery fund ma preferisca l’emissione di BTP italiani, preferirebbe governare a briglia sciolta senza esperti di Bruxelles che chiedono rendiconti e stati di avanzamento.

In parte saranno soldi italiani

Gli attori di questa grande operazione non sono solo le istituzioni europee, gioca un ruolo fondamentale il mercato cioè quell’aggregato indistinto che opera nelle borse di mezzo mondo, che compra, vende e detiene i più vari tipi di titoli di debito e azioni. Quindi i soldi che stanno per arrivare sono garantiti dall’Unione ma non sono europei in senso stretto, potrebbero essere in parte cinesi, in parte arabi in parte della mafia e del narcotraffico …. ma in gran parte potrebbero essere proprio italiani. Tra i paesi europei, se lo Stato italiano è messo male con un debito pubblico gigantesco sia in valore assoluto sia in rapporto al PIL, le famiglie italiane nel loro complesso sono messe piuttosto bene e dispongono già solo di denaro liquido di circa 1500 miliardi depositati nei conti correnti bancari. Questo vuol dire che se ciascuno di noi prelevasse dal proprio conto corrente poco più del 15% potremmo raccogliere quei 240 miliardi di cui stiamo parlando. Allora ha ragione Salvini? Sì, ma solo in parte, se tutti fossimo fiduciosi sulla capacità di restituire il debito da parte del nostro Stato, probabilmente tra qualche mese, quando questi nuovi titoli cominceranno a circolare, il nostro consulente della banca ci convincerà che una obbligazione europea, anche se rende meno, conviene rispetto al BTP italiano perché sarà meno volatile. E’ già ciò che succede a chi compra Bund tedeschi anche se rendono meno dei BTP italiani.

Ma Bolletta, tutto qui? ti pare che tutto si giochi sulla comprensione del meccanismo per la raccolta dei fondi? Ovviamente no, ma non vi offendete se ho voluto marcare qualche semplice idea che mi sembra sfuggire a molti autorevoli commentatori.

Un nuovo IRI

C’è in realtà una questione molto più sostanziale e politica: se siamo tutti d’accordo che vanno investiti bene per le generazioni future, chi gestirà gli investimenti? Lo Stato dovrà finanziare i privati per le loro iniziative? lo Stato agirà per proprio conto rinforzando i capitali pubblici e diventando esso stesso imprenditore? Chi decide gli oggetti degli investimenti e sceglie i progetti da realizzare? La mia generazione ricorda il ruolo dell’IRI, l’Istituto per la ricostruzione industriale che, istituito dal fascismo come intervento dello Stato per animare l’economia colpita dalla depressione successiva al crollo borsistico del ’29, rimase lo strumento fondamentale per gestire la ricostruzione postbellica divenendo nel tempo motore del miracolo economico italiano e successivamente il gestore del declino di una economia che perdeva competitività. Consiglio di leggere la voce IRI su wikipedia, racconta quel periodo in modo chiaro ed efficace e offre molti spunti per capire il nodo in cui ci troviamo ora. L’IRI a trazione democristiana era un ibrido tra una politica statalista in cui lo Stato detiene la proprietà dei mezzi di produzione e orienta e programma direttamente lo sviluppo economico e finanziario e la visione capitalistica liberale e/o liberista che ritiene che solo la proprietà privata e la libera concorrenza possono assicurare l’efficenza economica che genera ricchezza. Una via di mezzo che, se non erro, va sotto il nome di dirigismo, una concezione dell’economia già presente nel fascismo.

L’onda quasi liberista

Da 30 anni l’IRI è sparito e il ruolo dello stato imprenditore si è fortemente ridimensionato, riscoperto solo quando aziende decotte chiedono salvataggi per evitare la disoccupazione dei lavoratori (v. caso Alitalia). La nostra economia attuale è a sua volta un ibrido strano in cui una fetta enorme dell’intrapresa privata è legata agli appalti pubblici per cui è lo Stato che sempre più funziona da finanziatore dei consumi e degli investimenti sia mediante il prelievo fiscale sia mediante il ricorso all’indebitamento.

Le posizioni di fondo dopo la fine della 1 Repubblica

La fine dell’IRI coincide con la fine dei partiti della prima repubblica e con l’avvio del processo di unione politica, economica e finanziaria dell’Europa. Ora la pandemia e le scelte operate dall’Unione affideranno, se tutto va bene, risorse ingenti allo Stato il quale deve decidere come amministrarle e aldilà dei codicilli che preoccupano la Bellanova, riemerge la questione di fondo, stato imprenditore, iniziativa privata liberista o economia assistenziale finalizzata al benessere e all’inclusione sociale dei cittadini? Scusate lo schematismo ma non sono un esperto raffinato, ragiono come un cittadino curioso e critico. Ebbene se queste tre alternative spiegano tutto allora anche le posizioni delle forze politiche sono spiegabili rispetto a questi tre paradigmi.

Gli eredi dei vecchi partiti e il Recovery

A sinistra gli eredi dei comunisti, dei socialisti sarebbero orientati a rinforzare il ruolo dello Stato e cercheranno di finalizzare l’uso dei capitali per migliorare il capitale umano, le infrastrutture, ridurre le differenze attraverso politiche assistenziali. Gli eredi dei liberali, sparuto gruppetto nella prima Repubblica che con Berlusconi hanno trovato una casa accogliente soprattutto nelle prime esperienze dei governi berlusconiani ma che tuttora ispirano ciò che resta di Forza Italia, appoggiano le rivendicazioni della Confindustria che ritiene di essere l’unica forza capace di creare valore e aumentare il PIL attraverso la libera iniziativa privata, limitando l’assistenzialismo e le spese pensionistiche. Gli eredi del fascismo presenti nella prima repubblica ed ora in fase di espansione rimangono legati ad una visione dirigista dell’economia con una esibita sensibilità sociale presente in alcune sue componenti. Gli eredi della DC, finita l’unità politica dei cattolici, si sono dispersi come in una diaspora un po’ in tutte le forze politiche attuali dalla sinistra alla estrema destra ma il grosso è rimasto al centro ed è presente in due blocchi molto consistenti il leghismo e il grillismo: il leghismo ha ereditato il localismo di una media borghesia, legata alla piccola impresa e al commercio, a suo tempo moderata e devota e che ora, vista la regressione economica, si riscopre più aggressiva e violenta, il grillismo che eredita la richiesta di un moralismo integrale e a volte oltranzista. Non so dire come le prossime scelte economiche da operare rapidamente siano viste da queste due forze, posso immaginare che la questione dell’uso dei fondi Recovery sia divisiva all’interno di questi gruppi con posizioni spesso estremizzate.

Una figura emergente

In questo pantano ideologico Renzi si agita e strepita ma non dà una prospettiva chiara per cui il suo 2% rimane tale mentre Conte, probabilmente impersonando l’anima democristiana sopravvissuta in questi anni, coniugando il suo cattolicesimo esibito, la sua moderazione e la sua dedizione alla causa affidatagli dalla sorte, sembra al momento la roccia a cui le forze politiche della vecchia maggioranza si aggrappano ma si consolida anche come un possibile ospite sgradito del centro in una competizione elettorale in cui nessuno potrà vincere e le carte della nuova partita potrebbero essere proprio in mano sua. Da quel poco che ho potuto capire potremmo definirlo come un dirigista dal punto di vista economico.



Categorie:Economia e finanza, Politica

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