60 o 85?

Ma i giovani avranno la pensione? I nostri giovani sono piuttosto pessimisti e spesso vivono il pagamento dei contributi all’Inps come un taglieggiamento a favore di una generazione di vecchi verso cui non sentono molti obblighi. Anche chi incomincia a percepire un reddito, magari stabile e sicuro, pensa che non otterrà una buona pensione, nella migliore delle ipotesi il 60% dello stipendio che avranno all’epoca del pensionamento. Questo è ciò che sistematicamente viene ripetuto anche dai media che rinforzano atteggiamenti rinunciatari o ribellistici. Se qualcuno ha letto il mio vecchio pezzo sulle pensioni può immaginare cosa penso sulla riforma Fornero: un sostanzioso passo in avanti verso l’equilibrio finanziario del sistema pensionistico che  però non ne assicura la stabilità sui tempi lunghi. Quindi le preoccupazioni dei giovani sono giustificate soprattutto se rimangono troppo tempo senza lavoro o senza reddito che produca contributi.
Qualche giorno fa cercavo di convincere un giovane a chiedere subito, ora che è agli inizi, di riscattare il periodo di studio all’università. In effetti la cifra richiesta è esorbitante rispetto alle possibilità economiche di un giovane alle prime armi, anche se rateizzata il pagamento su 10 anni. Fatti, come al solito, i conti della serva mi sono reso conto che il 60% di cui si parla e che è all’origine di molte rinunce è in realtà una mezza verità che andrebbe chiarita meglio e ridimensionata.
Per capire da dove viene il numeretto 60 basta fare il seguente ragionamento. Supponiamo che non ci sia l’inflazione o, se si vuole, che il reddito del capitale accumulato nel tempo serva solo a compensare l’inflazione, che per tutta la vita lavorativa si guadagni lo stesso stipendio esattamente 100 all’anno . Se come ora accade si preleva il 30 % dopo n anni avrò accantonato n x 30. Il mio gruzzolo accantonato nel tempo mi servirà negli anni di inattività per sopravvivere. Quindi se ho lavorato 40 anni e vado in pensione verso i 63 anni in cui l’aspettativa di vita è di circa 20 anni avrò una pensione pari a (40 x 30): 20 cioè esattamente il famoso 60. Ovviamente questo è un caso ideale, potrebbe andar meglio se comincio molto presto ad accantonare o se per un po’ di anni ho un buon reddito più alto di 100 che arricchisce il mio gruzzolo finale. Può andar peggio se non trovo lavoro e non produco reddito o se evado con il lavoro nero o se ho una percorso lavorativo troppo disperso in forme con sistemi previdenziali tra loro incoerenti.
Ma perché la prospettiva del 60% dello stipendio, vista come un impoverimento sicuro, è una mezza verità? Durante la vita lavorativa il lavoratore in realtà incassa 70 su cui poi paga le tasse, quando andrà in pensione non ha più la trattenuta del 30% e quindi incassa 60 su cui poi paga le tasse. Quindi il lavoratore del nostro esempio passerebbe da un reddito 70 a un reddito 60, ovviamente entrambi da tassare.  Ciò che incasserà come pensione sarà circa l’85% dell’ultimo stipendio, che, guarda caso, è superiore all’80% che era prevista come percentuale massima dalla riforma Prodi che ora è stata modificata in meglio dalla riforma Fornero.

Il mio esempio è grossolano, un conto della serva, ma i giovani dovrebbero farsi condizionare meno da un disfattismo sistematico che li deprime e li danneggia.



Categorie:Economia e finanza

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4 replies

  1. Le cose stanno diversamente, se non altro perchè ci sono molte altre variabili in gioco:
    – inflazione
    – rivalutazione contributi inps
    – andamento della retribuzione

    Anche volendo semplificare e togliendo le prime due, il tuo conto delle serve porta ad avere un 85% non sull’ultimo stipendio, ma sul primo (visto che non cresce mai in termini reali). La prospettiva è dunque per un giovane che prende 1.000€ di stipendio di andare in pensione con 850€.
    Oltretutto i contributi inps sono pagati al 24% dal datore di lavoro e solo il restante 9% dal lavoratore.

    Il valore del 60% è stimato sui valori lordi, su quelli netti si sale al 70% ma le stime non tengono conto di:
    – crescita delle retribuzioni inferiori all’inflazione
    – si ipotizza un tasso di rivalutazione dei contributi inps utilizzando una crescita del pil dell’1,5% (chissà mai se lo rivederemo mai più)
    – possibilità di buchi contributivi (periodi senza contributi previdenziali)

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    • Hai assolutamente ragione, la mia semplificazione era forse eccessiva ma più realistica di quanto si potrebbe pensare. Ho cercato di mettere in dubbio una affermazione altrettanto semplicistica e terroristica che viene fatta sul futuro previdenziale dei giovani attuali. Anche ora molti dipendenti vanno in pensione con la minima e subiscono un tracollo di reddito al momento della pensione. Ho solo cercato di spiegare che il nuovo sistema contributivo, se si verificano certe ipotesi che però dipendono anche dalle nostre scelte, può alla fine assicurare delle prestazioni simili a quelle attuali. Ovviamente se evitiamo l’emersione dei nostri redditi l’INPS non potrà essere più la scatola magica da cui si tirano fuori risorse illimitate. Nel blog c’è un altro post che riporta una mia idea al riguardo di alcuni anni fa che ti invito a leggere. Grazie del commento.

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  2. Conteggio più che semplificativo direi di fantasia. Ma bisogna essere ettomisti e poi eventualmente morire di fame.

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