Continuo a riflettere sull’ambiguità e a parlare del caso Raggi. Lo faccio perché la reazione più diffusa è quella di dire: basta, state montando un caso sul nulla, chi ne parla è un prezzolato del PD colluso con Mafia capitale.
Chi vuol parlare d’altro passi oltre, questo blog non si regge sulla pubblicità e sui click, serve solo a me per tenere in esercizio la mente e a fissare dati e notizie che in poco tempo sarebbero risucchiati dall’oblio.
Nel primo post ho cercato di mostrare l’ambiguità dei mass media che pur dovendo parlare di questo problema, la difficoltosa formazione della giunta Raggi, oscillano in modo ambiguo condannando e assolvendo allo stesso tempo e affastellando informazioni discordanti difficilmente interpretabili.
Nel secondo post mi sono divertito a fare il complottista buttando là l’idea che la resistenza della Raggi nei confronti del suo movimento e contro le indicazioni del direttorio non fosse una scelta libera, che ci fosse un condizionamento da parte di quel mondo di destra da cui la Raggi proveniva e da parte di certe imprese che gestivano gli enormi affari del comune. L’ambiguità stava nel fatto che la Raggi e il movimento denunciavano le pressioni dei poteri forti facendo intendere che questi erano affini e collusi con il PD e con i palazzinari del Messaggero. Chi ci assicura che il condizionamento più forte non venga proprio dalla destra?
Ieri sera nella trasmissione In Onda che ha continuato a cavalcare l’argomento, segno che l’audience su questo problema è buono anche a livello nazionale, alcune ambiguità iniziali si sono sciolte e i giornalisti, Telese in testa, hanno sposato le tesi del movimento cavalcando il vittimismo tipico dei pentastellati.
C’era anche Alemanno il quale, confermando di aver votato la Raggi, ha ovviamente difeso se stesso e confermato il fatto che quelli della sinistra sono come cani rabbiosi che azzannano appena un’altra forza li sostituisce (non ha detto così ma il senso era questo).
Tutto ciò che è successo, incertezze, dimissioni, chiacchiere e reticenze è avvenuto all’interno della maggioranza grillina, le minoranze consigliari non mi sembra che abbiano strillato tanto, solo ora lo stanno facendo con voce flebile.
La presenza e gli interventi di Alemanno mi hanno suggerito una nuova chiave interpretativa di questa vicenda. la questione della coerenza.
La Raggi e lo stesso Di Maio a Nettuno sostengono che forse l’iscrizione della Muraro è poca cosa e che probabilmente è stata danneggiata dalle denunce di Fortini che sappiamo essere il presidente dell’Ama insediato dal PD di Marino. Forse è vero, ma analoga cosa detta da Pizzarotti per se stesso non è stata accettata come attenuante ed è stato sospeso dal movimento. Qual è la coerenza rispetto alle regole che si sono dati e che hanno sbandierato ai quattro venti?
Ogni sindaco si presenta con un programma e con una cifra, un emblema che lo caratterizza. Alemanno vinse su Veltroni sull’onda di una aggressione mortale ad una donna da parte di malviventi. Un problema di sicurezza nelle strade che la destra prometteva di affrontare e contenere con metodi meno blandi e paciosi di Veltroni. Noi elettori (io non lo votai, sia chiaro) speravamo che la città diventasse più ordinata, pulita, efficiente. Passarono i mesi e la durezza dei problemi, all’epoca i campi Rom, ebbe il sopravvento e non vedemmo nulla, le soste in doppia fila continuarono, gli scioperi selvaggi dei mezzi pubblici, la puzza della discarica era sempre più fetida. Alemanno fece una promessa che non riuscì a mantenere, l’ordine. Ottenne un aiuto forte da parte del governo Berlusconi che risanò le finanze nazionalizzando parte del debito e prevedendo contributi extra per Roma Capitale. Si fidava soprattuto dei suoi e pensò bene di tenerli in considerazione nelle nomine e nelle assunzioni. Fu un progressivo disastro che accese i riflettori degli inquirenti e portò alla fine alla vittoria di Marino. Alemanno aveva fatto una scelta fondamentale: non aveva rotto con la struttura di potere e con gli interessi che gravitavano intorno al comune retto per anni dalla sinistra. Dovendo spesso affrontare le emergenze consolidò una prassi molto diffusa, spartire le torte, gli affidamenti e gli appalti tra tutti, vecchi e nuovi, destri e sinistri. Le procedure delle gare erano semplificate o inesistenti per rispondere alle emergenze, divennero la prassi e per tener buona l’opposizione si usava il bilancino, peccato che ad usare il bilancino fossero a un certo punto due ceffi, uno di destra e uno di sinistra, tali Carminati e Buzzi.
Marino vinse fuori dagli schemi di partito con una sua lista civica e l’appoggio molto blando e poco convinto del PD romano. Volle dare un segnale di rottura, ad esempio dopo un primo colloquio il capo dei vigili urbani si dimise. Immediatamente chiuse via dei fori imperiali facendo imbestialire gli abitanti del quartiere. Sono le due cose che ricordo di quel passaggio. Pensai che non sarebbe durato a lungo, non si licenzia il capo dei vigili urbani il primo giorno,occorre costruire il consenso, ispirare e motivare la comunità di coloro che fanno funzionare una macchina gigantesca. Ma Marino era un chirurgo non un medico e preferiva usare il bisturi, bonificare radicalmente il sottobosco che produceva inefficienze e corruzione. Non so dire, non conosco la dinamica che ha portato all’indagine Mafia Capitale, penso che in gran parte sia il frutto delle sue denunce e di quelle dei manager che progressivamente aveva inserito nelle aziende partecipate. Non si può avere tutti contro, anche il proprio partito, e alla fine lui stesso fu travolto dall’inchiesta Mafia Capitale. Nella defenestrazione di Marino furono usate tutte le tattiche tipiche della delegittimazione, della maldicenza, della falsificazione. Ne uscì con le ossa rotte anche perché i consiglieri cinque stelle non mossero un dito per difendere e valorizzare le scelte positive e grilline che Marino aveva fatto. Raggi, De Vito, Frongia e Stefano persero una occasione storica, quella di fare vera politica interrompendo la macchinazione di Renzi per defenestrare Marino. Avrebbero dovuto offrire voti su un programma ben definito di tipo grillino lasciando Marino a gestire una rivoluzione quasi grillina. Ma la sete di potere era troppa e caddero nella trappola, come giustamente aveva intuito la Lombardi.
Marino volle essere coerente con il suo programma e la sua immagine, divenne scomodo e fu rimosso in modo violento. La coerenza si paga non consente ambiguità di sorta. In fondo gli è andata bene perché altri politici che hanno voluto moralizzare scardinando interessi costituiti sono stati travolti dal punto di vista giudiziario con accuse infamanti di ladrocinio che hanno potuto chiarire dopo molti anni.
Ora la Raggi. Ieri dicevo che le belle idee, i bei programmi si corrompono nel momento in cui si devono tradurre in realtà, in decisioni pratiche, in politica. Già in campagna elettorale la Raggi era scivolata sulla coerenza delle promesse che andava facendo: la più grave che ora paga amaramente è l’aver assicurato che la squadra di assessori era pronta e che sarebbe stata resa pubblica prima del ballottaggio. Non c’è riuscita ma non ha chiesto scusa, ha continuato a proclamare la diversità da tutti e l’assoluta autosufficienza, non ha ringraziato quando Salvini ha portato qualche voto, ha sbandierato il suo 67% ben sapendo che i suoi fedeli del movimento sono in realtà solo il 20% degli aventi diritto al voto. Una mistificazione reiterata in tutte le dichiarazioni pubbliche in cui lei e suoi supporter continuano a imbonire la gente dicendo che il suo è stato un plebiscito di popolo e che ora può fare quel che vuole, anche far passare settimane prima di formare la giunta. Ora il suo problema è la coerenza. La coerenza con chi? con il movimento che è un coacervo di interessi, risentimenti, speranze, delusioni, paure senza un criterio unificatore se non la rete gestita da Casaleggio che tiene unita la plebe che esulta. Coerenza con la sua matrice ideologica più profonda, ragazza di buona famiglia laureata in legge cresciuta professionalmente in un milieu ben connotato dal punto di vista ideologico, una ragazza tosta di destra che non indietreggia, è tenace, lavoratrice, ambiziosa. Coerente con le amicizie potenti che può vantare con i tanti dipendenti comunali che hanno retto in questi anni la macchina. Per essere più esplicito: a chi deve essere fedele ai compagni di partito rappresentati dai vari direttori e da Grillo, a Muraro e assessori vari che offrono competenza ma anche vincoli e proposte, a Marra e Romeo che hanno esperienze amministrative legare alla fase Alemanno? Certe ambiguità derivano da questa vana esigenza di coerenza con contesti incoerenti.
A quale modello si ispirerà la Raggi? rigore e coerenza contro tutto e tutti alla faccia dei poteri forti, degli articoli ostili, delle parolacce su internet oppure coerenza e continuità con alcune forze presenti nel corpaccione del comune di Roma per cercare di portare a casa qualche risultato senza rimanerne vittima? Sarà attanagliata dalla paura o uscirà dagli uffici del Campidoglio per confrontarsi nelle caserme dei vigili, nei garage dei tranvieri e dei tassisti, nei mercati rionali, nei parchi comunali, nelle feste del popolo? Lo potrà fare se supera l’idea settaria che gli altri sono tutti disonesti, ladri e mafiosi, se fosse in grado di immaginare una città più bella e luminosa di cui andare fieri. Temo che ora la vede solo come una cloaca puzzolente con troppi comunisti infidi in giro.
Categorie:Politica
Rispondi