Quando in un minestrone mettete troppi ingredienti non sempre il risultato è appetibile.
E’ ciò che è accaduto a Renzi, nel suo entusiasmo bulimico ha voluto strafare, una riforma al mese, rapidità, velocità, su tutto e su tutti, palingenesi per i tempi nuovi. Se qualcuno mettesse in fila stampando tutte le parole che nei più vari contesti ha pronunciato avremmo tonnellate dei carta … straccia. La bulimia del potere gioca brutti scherzi a volte ti può far smarrire il senso di quello che fai e la direzione da mantenere verso l’obiettivo.
Se ci pensate bene è il lato debole di questa riforma costituzionale, troppe cose e troppi obiettivi in un testo raffazzonato con colpi di mano in Parlamento, passato di stretta misura con la spinta decisiva del governo e del suo premier e che ora il popolo dovrebbe ratificare. E’ un testo senz’anima, o meglio con un’anima rinsecchita dell’inseguimento della contingenza politica ed economica. Un referendum su una riforma contingente.
In fondo Renzi ha voluto strafare e non ce n’era bisogno. Ma perché da tempo si cerca di cambiare la Costituzione nata nel dopoguerra? (come al solito io non sono un tecnico e non mi piace studiare cose nuove, preferisco scavare nella mia memoria e nelle mie esperienze).
Il primo che, a memoria mia, propose apertamente una riforma della costituzione fu Craxi, all’epoca apparve come un modo per sbloccare un sistema ingessato che riservava alla DC un potere incontrastato e capillare e al PCI una rendita di posizione dell’opposizione democratica che garantiva il consenso sociale. Le piccole forze intermedie erano condannate a portare legna al forno del potere centrista. Il terrorismo interno, la crisi economica, mani pulite, il muro di Berlino, la delocalizzazione delle industrie, la stagnazione, le crisi dei subprime, le guerre balcaniche e medioorientali hanno segnato continui e profondi sconvolgimenti rispetto ai quali la politica ha fatto da ammortizzatore, da cura omeopatica, da lenitivo o da anestetico. Sempre, man a mano che le crepe del consenso e della concordia si andavano allargando, l’idea di riformare la Costituzione rimaneva una risorsa di ultima istanza alla quale il leader di turno ricorreva promettendo un futuro migliore e una politica più efficiente.
Lo sgretolamento dello Stato nazionale a favore di realtà autonome locali e simmetricamente a favore di realtà sovrannazionali, ha toccato anche la Costituzione la cui sacralità si è appannata proprio nel momento in cui si è visto che poteva essere modificata alla bisogna per risolvere problemi contingenti. La grave crisi finanziaria internazionale del 2008 a cui è seguita la questione del debito pubblico di alcuni stati europei ha reso evidente la richiesta da parte dei creditori internazionali di riforme istituzionali in grado di assicurare la restituzione del debito sui tempi medio – lunghi.
Nel 2011 arrivò a Berlusconi una lista di riforme da fare celermente ma la sua maggioranza si sgretolò per l’indisponibilità dei leghisti. Sotto la pressione del rating sfavorevole e dell’aumento dello spread fu varato il governo Monti che operò con il bisturi. Tra le altre cose si dovette intervenire anche sulla Costituzione attraverso il recipimento del vincolo di bilancio alla parità in base al Fiscal Compact
Superata l’emergenza finanziaria, i governi successivi hanno affrontato gli effetti della cura ma dovevano propinare altre medicine previste nella lista consegnata a Berlusconi. Quelle richieste sono riemerse in documenti e prese di posizione internazionali a favore del SI alla riforma renziana. Stabilità dei governi, velocità e certezze delle scelte, riduzione delle garanzie sindacali previste in costituzione, efficienza dei sistemi produttivi, riduzione della spesa pubblica, queste le richieste fondamentali che i governi dovevano assicurare a coloro che continuavano a sottoscrivere i titoli di debito pubblico.
Renzi poteva ritenere di aver fatto i compiti già solo con il jobsact e l’Italicum e, perché no, con ‘la buona scuola’. Poteva limitarsi ad abolire il Senato veramente, e il CNEL o prevedere la fiducia solo della camera dei deputati lasciando un Senato elettivo come l’attuale. Per i risparmi si poteva operare con leggi ordinarie o con disposizioni regolamentari. Festa finita. No, visto che c’era, ha voluto delineare una forma di Stato centrato sul premierato assoluto, su Palazzo Chigi che controlla il partito vincente e il parlamento fatto di designati in larga parte. E questo disegno presente in filigrana nel nuovo testo in approvazione del referendum è apparso un autentico azzardo nel momento in cui l’Italicum prevede di concedere la maggioranza in parlamento ad una delle tre minoranze in cui si è diviso il paese.
Troppe cose pericolose insieme. Fermi tutti! meglio votare NO. Soprattutto mettiamo a dieta Renzi.
Ma il referendum è senza quorum.
Categorie:Politica, Referendum costituzionale
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