L’autonomia differenziante

Le implicazioni economiche e sociali dell’autonomia differenziata in Italia

Il governo procede come un rullo compressore a colpi di maggioranza su tre grandi riforme che ridisegnano la Repubblica secondo una fisionomia sempre meno coerente con quella antifascista dalla Costituzione vigente. Le tre riforme tengono in piedi una maggioranza politica eterogenea costituitasi solo per effetto di una sciagurata legge elettorale che consente la dittatura di una minoranza.

FdI sogna una democratura, un autoritarismo nazionale e centralistico legato a un leader eletto dal popolo e fa votare il premierato, i leghisti hanno promesso la liberazione delle loro regioni del nord per essere meno vincolati dal peso dei meridionali e quindi fanno approvare l’autonomia differenziata, gli eredi di Berlusconi credono in un liberismo spinto che premia l’individuo che intraprende senza troppi vincoli e troppe tasse e senza una magistratura troppo invadente e quindi chiedono la separazione delle carriere e il bavaglio alla magistratura inquirente.

A ben vedere si tratterebbe di esigenze contrapposte, tra loro incoerenti che però hanno trovato in passato il cemento delle reti televisive del barone di Arcore, l’enzima effervescente del tifo sportivo e sopratutto l’odio per il comunismo e i comunisti. Questa è la nostra destra di governo che ha tenuto anche nelle recenti elezioni con il proporzionale perché il cemento del berlusconismo regge bene ora che il santo fondatore la protegge dal cielo.

Ma veniamo all’autonomia. Si tratta di un passaggio molto complesso che avviene tramite una legge ordinaria del parlamento ma che mina o riconfigura la struttura della Repubblica. Il Titolo V della Costituzione, incautamente riformato dalla sinistra proprio per neutralizzare le spinte secessioniste della Lega, consente la devoluzione di competenze dello Stato centrale alle Regioni in forma esclusiva o in forma concorrente. Ad esempio la sanità è già in gran parte competenza esclusiva delle regioni ma alcuni aspetti sono di competenza statale, come ad esempio quelle necessarie per far fronte alle epidemie. Ma è lo Stato che assegna con il proprio bilancio le risorse a ciascuna regione con un criterio sostanzialmente egualitario o redistributivo che garantisce che le cure sul territorio siano comparabili e i diritti dei cittadini siano gli stessi.

Conosco meglio il campo dell’educazione e cerco di essere più preciso. Le scuole vengono dette statali ed in effetti la spesa e la gestione del personale è a carico dello Stato come anche tutta le gestione didattica è indirizzata dal ministero a Roma ma gli edifici e la loro manutenzione sono a carico dei Comuni o delle Province mentre la stessa dislocazione delle unità scolastiche è competenza esclusiva delle Regioni. La formazione professionale è competenze delle Regioni mentre l’istruzione professionale rimane competenza del MIM e quindi questa area, formazione e istruzione professionale, è gestita da un complicato sistema interistituzionale che coinvolge Stato e Regioni.

La nostra Repubblica si articola su vari piani, lo Stato, le Regioni che rispecchiano antichi regni e realtà economiche molto diverse, i Comuni e le città la cui storia è a volte millenaria. Nel tempo la legislazione, i regolamenti, le strutture giuridiche ed economiche si sono adattate a processi a volte dolorosi che hanno forgiato l’attuale nazione: quanti milioni di italiani sono morti per allargare i confini? Risorgimento, unità sotto la stessa monarchia, guerre contro il brigantaggio, prima guerra mondiale, guerre coloniali, Fascismo, seconda guerra mondiale, Resistenza, 68 e terrorismo, miracolo economico, migrazioni interne ed esterne … integrazione europea …. è ciò che mi viene in mente quando penso all’Italia, a quella che Meloni chiama Nazione.

Ma ora sta prevalendo un nuovo principio non più solidaristico e unitario: quel che è mio è mio e nessuno me lo può togliere, alziamo i muri contro la sostituzione etnica, contro l’invadenza della burocrazia di Bruxelles, contro il fisco rapace di Roma. Le nostre tasse devono rimanere nella nostra regione, sul territorio, perché così diventeremo più ricchi ed efficienti. Questo era lo slogan elettorale già della lega di Maroni qualche anno fa. Ora ci sono arrivati: la nuova legge consente che ciascuna Regione possa allargare il perimetro delle proprie competenze ricevendo dallo Stato centrale quel che attualmente lo Stato spende per quella Regione e per quella competenza tenendo conto del gettito fiscale di quella Regione. Un po’ grossolanamente si può dire che se lo Stato spende per la scuola il 10% del budget totale se la regione X si fa carico della gestione delle proprie scuole in toto avrà diritto al 10% del proprio gettito fiscale regionale. In pratica una regione ricca potrà gestire la propria scuola con risorse maggiori rispetto a una regione più povera che ha un gettito fiscale più basso. I prof potranno essere pagati meglio e ci saranno migrazioni di prof da regioni povere a regioni ricche …. Intendiamoci ciò accade in parte già ora ma con la nuova legge la differenza delle risorse a disposizione sarà ancora più vistosa e amplificherà le differenze esistenti.

Già in queste ore i commenti di Salvini anticipano il clima che in futuro si consoliderà a livello di opinione pubblica: la legge dà a ciascuna regione la stessa opportunità di richiedere l’autonomia differenziata, se una regione non la richiede o se perde posizioni nei ranking, che da questo momento saranno il pane quotidiano delle comparazioni tra le diverse aree del paese, è la dimostrazione che chi rimane indietro non è capace o non ha voglia o non sa lavorare, cioè è colpa sua, le regioni del nord sono più brave e meritano la loro ricchezza. insomma una legge che inserisce un significato meritocratico che aumenterà odio, invidia, incomprensione … tranquillo Bolletta! c’è il premierato a Roma che assicura che la nazione rimanga unita.

Aggiungo solo tre altre considerazioni contro questa pessima legge.

La legge prevede la possibilità di devolvere alle Regioni che lo chiederanno anche competenze come le infrastrutture, le politiche energetiche, ambientali e altro ancora che attualmente sono di competenza delle Stato centrale in cui sarebbe fondamentale una programmazione centralizzata con criteri unitari. Basta pensare alla realizzazione di strade o ferrovie, acquedotti, elettrodotti che attraversano o servono più regioni in cui ogni regioni potrebbe avere una competenza esclusiva non necessariamente convergente rispetto al progetto sovraregionale o nazionale. Procedure burocratiche diverse, contenziosi su regolamenti diversi, interessi contrapposti, tempi di realizzazione delle infrastrutture più lunghi … un bel progresso.

Va poi considerata la realtà delle imprese private che operano sul territorio con un’ottica addirittura sovranazionale, internazionale o globale: se una competenza che le riguarda non è più gestita dallo Stato centrale ma separatamente dalle Regioni che ne hanno l’esclusività dovranno potenziare gli uffici amministrativi e legali perché i loro referenti per decidere ed operare ( o corrompere), sono di più. Se si tratta di una multinazionale che deve decidere dove investire in Europa potrebbe preferire un paese con una sola amministrazione statale efficiente rispetto a 20 staterelli governati da piccoli boss locali. Se, come chiedeva Maroni, il criterio per ripartire i finanziamenti è il gettito fiscale come verranno conteggiati i proventi di aziende che hanno la sede amministrativa a Milano ma che producono in altre regioni?

La legge segue un criterio egoistico piuttosto miope: isolare una regione ricca rispetto alle altre immaginando di poter preservare meglio il suo livello di benessere significa abbandonare regole economiche fondamentali che hanno consentito in questo dopoguerra il progresso in occidente: il libero scambio, la concorrenza, la redistribuzione della ricchezza e non la sua concentrazione, la coesione sociale, la varietà delle risorse umane per una società dinamica e ricca di opportunità.

Insomma una legge che rischia di riportarci indietro all’Italia degli staterelli o dei comuni o dei podestà.



Categorie:Politica

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