Di crisi in crisi le pensioni non cambiano

Ritrovo nel mio computer questo reperto di molti anni fa. Si tratta di una elucubrazione che avevo sviluppato durante un’altra crisi finanziaria simile a quella che stiamo vivendo  e che faceva carico al sistema pensionistico dei problemi più vasti di tutta l’economia nazionale. All’epoca i social network non esistevano nella forma attuale e quindi i cittadini che volevano far sapere la propria opinione scrivevano lettere. Ho inviato il mio pezzo al Corriere della Sera e prima ancora a Prodi. Ma non ricevetti risposte. Ripubblico il reperto sia per inserirlo in questo blog in modo ordinato ed accessibile sia per riproporre l’idea che alla luce dei fatti mostra tutta la sua attualità e validità.

Lettera al Corriere della Sera

Roma, febbraio 1997

Egr. dottore,

la seguo spesso sul Corriere ed approfitto di questa finestra Internet per cercare di contattarLa. Non sono fiducioso che in realtà questa lettera giunga fino a Lei e che Lei abbia il tempo di considerarla analiticamente. In realtà la spedii già, senza ottenere risposta, circa due anni fa a Prodi che aveva scritto un articolo sul Corriere sulla questione delle pensioni.

Ora il problema delle pensioni ritorna ad essere cruciale e mi preoccupa il fatto che un tema simile sia dibattuto a livello politico in modo così superficiale rimandando al chiuso delle commissioni di esperti la ricerca di soluzioni tecniche, contabili, che saranno adottate sull’onda di reazioni emotive a qualche altro scossone di borsa o valutario.

Lei mi sembra abbastanza illuminista da pensare che le soluzioni ragionevoli e coerenti di problemi complessi possano essere condivise da molti, dalla maggioranza dei cittadini a prescindere dal proprio schieramento politico e dalla corporazione di appartenenza.

Ho riletto in questi giorni la proposta che qui allego e mi sembra ancora attuale Alcune previsioni formulate allora si sono per fortuna avverate. Ovviamente sarebbero opportuni molti approfondimenti ma il discorso sarebbe troppo complesso. Il punto debole della proposta è forse la necessità di pensare  tutto il  sistema pensionistico in modo aggregato. Ciò contrasta con la tendenza fortemente corporativa di alcune categorie attualmente ben protette dal sistema.

E’ un’idea stravagante? Mi piacerebbe un Suo parere e soprattutto spero che il Suo giornale, che seguo da moltissimo tempo, avviasse un dibattito tecnico e politico che permetta di aggregare la gente su soluzioni che siano condivise, anche se spiacevoli.

Cordialmente

Raimondo Bolletta

Lettera a Prodi

Roma marzo 1995

Caro prof. Prodi,

seguo con grande speranza il Suo tentativo. L’impresa è ardua soprattutto perché dovrebbe riuscire a liberare il centrosinistra di quella aggressività giustizialista e moralistica ‘alla Orlando’ che ci impedisce di vincere. Ma l’articolo di oggi sul Corriere mi ha un po’ deluso: è proprio convinto che la strada da Lei delineata sia facilmente percorribile e che i passaggi che dovremo affrontare non saranno più stretti ed impervi?

Sono ad esempio convinto che l’attuale governo (DINI) non riuscirà a portare a soluzione definitiva il problema delle pensioni e che tale tema rimarrà al centro del dibattito politico della prossima legislatura. Per questo credo che gli schieramenti politici debbano proporne una soluzione, senza aspettare che le parti sociali in causa siano così brave da trovare la soluzione a un problema che esse stesse hanno contribuito a creare.

Senza essere un specialista dell’argomento, come cittadino e come futuro pensionato, ci rifletto da molto tempo e mi sono convinto di una ipotesi di soluzione che ho cercato di formulare e che spero possa giungere alla Sua attenzione o a quella dei suoi collaboratori.

La presento alla Sua attenzione con la presunzione che possa contribuire all’impresa che sta intraprendendo.

Grazie dell’attenzione,

RB

Ipotesi di riforma delle pensioni

Raimondo Bolletta

L’ipotesi di incentivare per i redditi medio alti il ricorso alle pensioni integrative facendo convivere i due sistemi previdenziali, quello ridistribuivo per fasce di reddito medio basse e quello a capitalizzazione per fasce alte presenta una fondamentale controindicazione: prima che il sistema ad accumulazione vada a regime, producendo i suoi  effetti positivi, si provoca un aggravamento veloce e traumatico dell’attuale squilibrio del sistema a ridistribuzione: le risorse necessarie per attivare il sistema a capitalizzazione si rendono immediatamente indisponibili per l’altro sistema determinandone probabilmente il definitivo affondamento. Impensabile, come proposto a suo tempo dal ministro Pagliarini, la soluzione cilena di finanziare con il debito pubblico tale squilibrio congiunturale, che si protrarrebbe forse per almeno 10 o 15 anni.

Sono convinto che la soluzione, se esiste, debba essere adottata in modo rapido, una volta per tutte, con un cambiamento radicale che costituisca una soluzione affidabile per un lungo periodo.

Per illustrare la mia ipotesi debbo però fare una premessa: tra le cause dello squilibrio strutturale, oltre all’invecchiamento della popolazione, vi è anche la ristrutturazione dell’economia nazionale attualmente in atto: molte attività manifatturiere stanno trasferendosi in paesi in via di sviluppo, molte prestazioni vengono svolte con rapporti di lavoro autonomo, le professionalità più avanzate e redditizie tendono a costituire forme autonome di previdenza sociale. Di fatto diminuisce la base su cui viene operato il prelievo contributivo anche perché la struttura della popolazione attiva cambia e la tendenza prevalente è quella di non lasciarsi inglobare entro il sistema previdenziale del lavoro dipendente tradizionale. Ma gli anziani attuali sono quelli che hanno costruito l’attuale livello di benessere e hanno il diritto di essere garantiti.

Si tratterebbe di studiare la fattibilità pratica della seguente ipotesi con opportune simulazioni.

I due sistemi, quello a capitalizzazione e quello ridistributivo, in realtà si somigliano molto quando sono a regime: anche quello a capitalizzazione, superato il periodo dell’accumulo iniziale, si comporta come un sistema ridistribuivo in quanto i contributi versati da chi sta accumulando possono servire a pagare le prestazioni di chi è in pensione senza dover intaccare il capitale accumulato, il quale semplicemente cambia proprietari pian piano. La sicurezza, (non assoluta) delle prestazioni è garantita dal capitale che fornisce anche un piccolo surplus di prestazione attraverso il suo rendimento (2 o 3 per cento in termini reali). Se trascuriamo il rendimento, comunque esiguo rispetto all’ammontare delle prestazioni (legate piuttosto a quanto si è effettivamente accantonato in passato), potremmo al limite dire che, a regime, il capitale potrebbe non esistere se ci fosse la certezza che altri continueranno a versare i loro risparmi. In questo senso un sistema a capitalizzazione si comporterebbe come un sistema ridistributivo in cui la sicurezza della prestazione è garantita dal Sistema (leggi, regolamenti, contratti, Stato) che rende obbligatoria la contribuzione di altri soggetti.

Qui troviamo il secondo fattore di squilibrio del sistema attuale: se si dubita che lo Stato possa sopravvivere, ad esempio che ci possa essere una secessione, che i criteri di calcolo possono essere rapidamente e radicalmente mutati, tutti tenderanno a evadere gli obblighi contributivi, accelerando gli squilibri del sistema vigente.

E vengo finalmente alla mia proposta.

Applicare al sistema ridistribuivo attualmente vigente i criteri di calcolo di quello a capitalizzazione. Allo stato attuale, l’INPS  conosce l’ammontare dei contributi di ogni assicurato e saprebbe calcolare al centesimo il montante del complesso delle contribuzioni per ciascun assicurato. In funzione dell’età, del sesso e dello stato civile (reversibilità o meno) potrebbe calcolare l’ammontare teorico della rendita vitalizia spettante ad ogni singolo in ogni istante. Il tasso annuale applicato per il calcolo del montante potrebbe variare di anno in anno ed essere di poco superiore al tasso di inflazione riscontrato in ciascun anno. La curva della prestazioni pensionistiche potrebbe dipendere dalla scelta del singolo come avviene attualmente per le assicurazioni private.

Ogni reddito che non sia di capitale o di impresa (lavoro dipendente o autonomo, collaborazioni, prestazioni occasionali etc) sarebbe soggetto a contribuzioni obbligatorie secondo una aliquota minima uguale per tutti corrispondente a un gettito complessivo prossimo a quello attuale. L’ammontare del prelievo su un singolo non dovrebbe superare una soglia prestabilita per incentivare anche le assicurazioni private che potrebbero occuparsi delle prestazioni integrative di redditi medio alti.

Imporre l’equilibrio finanziario annuale. I criteri di calcolo puramente teorici del prelievo e delle prestazioni erogate, qui proposti, non garantiscono l’equilibrio finanziario del sistema per le medesime ragioni che provocano l’attuale dissesto, ma prefigurano la possibilità di realizzare un sistema equo che ridà a ciascuno quello che ha in passato pagato senza favoritismi e privilegi come accade ora. Come realizzare l’equilibrio? Grazie all’informatica è possibile conoscere in tempo reale l’ammontare delle contribuzioni, variabili in relazione alla congiuntura economica, e l’ammontare delle prestazioni che si devono erogare annualmente. Se il primo ammontare supera il secondo non ci sono problemi e si possono fare investimenti o rivalutare le prestazioni pensionistiche, mentre se il primo è inferiore al secondo le prestazioni erogate verranno per quell’anno ridotte in proporzione a tutti i pensionati per ottenere l’equilibrio tra entrate ed uscite. Ciascuno quindi avrebbe una pensione teorica che negli anni di crisi potrebbe essere ridotta in relazione al tasso di copertura delle contribuzioni raccolte.

Se ci fosse un governo autorevole e duraturo, che potesse avere il tempo per mostrare che un simile sistema è in grado di rivitalizzare l’economia in modo significativo, potrebbe essere adottato da un giorno all’altro garantendo una fase transitoria di 4 o 5 anni in cui lo squilibrio attualmente esistente tra contribuzioni e prestazioni verrebbe compensato da un contributo statale, come ora avviene, via via decrescente.

I vantaggi di questo sistema sono molteplici, provo ad elencarne alcuni:

non si penalizza la popolazione attiva, ora dipendente, che deve far fronte ad un forte impegno di spesa per i prossimi anni in presenza di pensioni attuali relativamente più elevate di quelle previste per il futuro;

si distribuiscono equamente su tutta la popolazione i sacrifici che derivano da cicli economici sfavorevoli evitando la paradossale situazione attuale per cui la popolazione attiva è sottoposta a sacrifici notevoli e alla precarietà del rapporto di lavoro mentre vi sono pensionati che percepiscono redditi ben superiori ai redditi da lavoro ora corrisposti per il lavoro che questi hanno svolto ed che hanno una capacità di spesa che è fonte addirittura di tensioni inflazionistiche;

ai pensionati, a compenso di questa incertezza, viene assicurata l’integrale copertura rispetto all’inflazione poiché in presenza di una forte inflazione le contribuzioni agganciate alle retribuzioni aumenterebbero così da garantire gli stessi aumenti figurativi della popolazione attiva alla popolazione pensionata;

si ridurrebbe l’evasione contributiva e fiscale poiché le prestazioni saranno proporzionate a quanto effettivamente pagato e non, come accade attualmente, a quanto guadagnato negli ultimi anni di lavoro;

se anche un singolo contributo farà maturare in futuro un prestazione seppur minima tutti avranno interesse ad entrare nel sistema, anche da molto giovani;

verrà stimolata al massimo la flessibilità del lavoro, con passaggi più fluidi dal lavoro dipendente a quello autonomo e viceversa, dal pubblico al privato e viceversa, dall’attività alla pensione, possibile a qualsiasi età, e dalla pensione alla vita attiva entro una certa età convenzionalmente definita;

il Parlamento non dovrebbe più occuparsi della questione poiché non saranno possibili contributi figurativi o quant’altro dovesse creare differenze tra le categorie.

Un equo sistema di calcolo così concepito potrebbe ridurre rapidamente lo squilibrio congiunturale ora esistente aumentando i soggetti disposti, o obbligati, a contribuire, per cui almeno a breve, i pensionati attuali potrebbero non risentire di vistose riduzione delle loro pensioni. D’altra parte un ciclo virtuoso potrebbe innescarsi rapidamente anche a livello di debito pubblico in quanto verrebbe eliminata la penalizzazione sui tassi passivi derivante dalle catastrofiche previsioni del deficit previdenziale.

La difficoltà per avviare un tale sistema riguarda il modo in cui vi entrano gli attuali pensionati e quelli che sono prossimi alla pensione. I pensionati anziani potrebbero entrarvi con la pensione teorica pari a quella attualmente percepita ed essere certi che questa non subirà decurtazioni congiunturali per 4 o 5 anni. Ai baby pensionati, in grado di produrre ancora reddito, si dovrebbe ricalcolare la pensione con gli stessi criteri adottati per la popolazione attiva facendo convergere la pensione attualmente pagata (se più alta) verso quella teorica nell’arco degli stessi 4 o 5 anni.

Per rendere il passaggio più rapido ed indolore, si potrebbero abolire subito i prelievi per le liquidazioni e liquidare in un arco di cinque o sei anni agli aventi diritto le liquidazioni già maturate con il vincolo che queste siano riimpiegate per costituire pensioni integrative di tipo privato.

Tutto ciò è plausibile? La verifica potrebbe essere effettuata operando sui dati in possesso dell’INPS ed effettuando simulazioni su periodi medio lunghi per verificarne la stabilità. Se funzionasse e se fosse adeguatamente spiegata, penso che sarebbe accettata dalla maggioranza dei cittadini, sempre più consapevoli dei rischi finanziari che costantemente tutti corriamo con un sistema previdenziale in cui la spesa cresce esponenzialmente.

Raimondo Bolletta

Queste cose erano scritte nel 1995!!! sono ancora attualissime. Ma perché Monti non ha chiamato me invece della Fornero?



Categorie:Economia e finanza

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  1. 60 o 85? | Raimondo Bolletta

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