Sulle note disciplinari

Carlo Tatarelli  su  facebook ha pubblicato la foto di una nota disciplinare il cui testo è il seguente: l’alunno pinco pallo interpellato durante l’appello non risponde; l’alunno dichiara di soffrire di temporanee crisi di identità.

Dopo alcuni commenti in parte scandalizzati e in parte divertiti sono intervenuto nella discussione anch’io con il seguente intervento:

Questa foto si presta a una pluralità di commenti e di significati. Prima reazione: è facile violare la riservatezza dei documenti scolastici e diffonderli scatenando reazioni fuori contesto che possono recare danno all’istituzione. E se si tratta di ridicolizzare la scuola il gioco è facile, basterebbe rileggere un gustoso libretto del secolo scorso, ‘La fiera delle castronerie’. Ho insegnato dal ’72 al ’94 e, se non ricordo male, non ho mai messo una nota disciplinare, quindi qualsiasi nota mi fa venire l’orticaria. Ora lo posso dire sono in pensione. Dal 2007 ho fatto il preside e la prima cosa strana che ho fatto è stata quella di rifiutare di andare in una classe in cui un insegnante aveva problemi di disciplina. Dissi al bidello che richiedeva il mio intervento a caldo di riferire alla docente che non ero uno sceriffo e che alla fine delle sue lezioni venisse a raccontare l’accaduto e avremmo visto cosa fare. Questa nota documenta il fatto che il docente ha una difficoltà ma non si capisce se ciò costituisca una violazione sanzionabile o se chiede un intervento medico psicologico per un ragazzo con difficoltà. Cosa fa un preside quando legge una nota del genere? Spesso ha problemi più gravi e passa oltre ma in molti casi deve intervenire perché uno degli attori delle vicenda solleva il problema. E allora una nota del genere crea delle difficoltà proprio al preside poiché invece di dire al docente ‘è sicuro di non avere problemi nel suo mestiere?’ deve formalizzare una procedura a carico di un ragazzo potenzialmente delinquente ma probabilmente spiritoso e creativo. Quindi sembra una nota stilata in un contesto di sotterraneo conflitto con la presidenza di cui i ragazzi fanno le spese. Ma questo è un punto di vista di un ex preside. Ultima domanda: quale ritorno ha una nota del genere sul resto della classe? Del tutto negativo, la classe si diverte, prende poco sul serio il tutto perché sa che non succederà nulla e un nuovo potenziale eroe è stato creato.

Carlo Tatarelli in un successivo intervento scrive: Il sistema scolastico italiano ha bisogno di imporre A TUTTI chiare norme di comportamento che abituino alla disciplina ed alla concentrazione

Raimondo:  Un sistema educativo, una scuola ha bisogno di un chiaro sistema di regole. Ma ci sono due modi di concepire ciò: regole imposte che si basano su un sistema di potere e su sanzioni oppure regole condivise che si rispettano perché così si vive meglio insieme. Nel primo sistema a volte ci sono regole insensate che vengono imposte a una parte della comunità solo per affermare che qualcuno è al di sopra delle regole. Il prof che usa il telefonino mentre non lo tollera tra gli studenti afferma di essere superiore alle regole … In un sistema di regole condivise ed identitarie gli educatori, gli adulti sono i primi a rispettare le regole dando l’esempio. Allora si tollera che i giovani imparino gradualmente a rispettare le regole. Non sono d’accordo con Carlo quando chiede l’imposizione di una regolamentazione per tutta la Scuola. Oltre alle leggi dello Stato, al cui rispetto i giovani vanno educati, ogni scuola dovrebbe sviluppare un suo sistema di regole, una sua disciplina condivisa che serva a dare identità ed efficacia educativa ad una comunità di giovani. Questa apparentemente ovvia considerazione trova la resistenza di docenti che pensano di spadroneggiare durante le loro lezioni imponendo le loro regole ‘ con me questo non si fa’ Così i ragazzi imparano a modificare il comportamento in modo opportunistico al cambio dell’ora di lezione. Le note sul registro di classe sono spesso il frutto di queste tensioni di una rapporto che si esaspera in cui l’adulto cerca di riaffermare il proprio ruolo di potere. Si genera un conflitto esasperante percepito da molti giovani come un rifiuto e una negazione. A qualche docente che mi chiedeva maggiore severitá e automatiche sanzioni citavo San Paolo ‘Voi, padri, non esasperate i vostri figli, perché non si scoraggino’.

Carlo Tatarelli:  Cari Serafina e Raimondo, indubbiamente non ho avuto il pregio della chiarezza nelle mie considerazioni. Ribadisco comunque che assolutamente non credo che nella scuola vi debbano essere “dittatori” (insegnanti o dirigenti che siano) e concordo che vi debbano essere regole cum-divise. Sarò più chiaro riportando in proposito il pensiero di John Dewey il quale aveva timore che qualcuno ipotizzasse la scomparsa dell’idea stessa di autorità, considerando che ove la stessa scomparisse priveremmo gli studenti “dell’orientamento e del sostegno sempre indispensabili sia alla libertà organica degli individui sia alla stabilità sociale…occorre un tipo di libertà individuale generale e condiviso, con il sostegno e la guida di un controllo autorevole socialmente organizzato”. Ecco allora il punto fondamentale: adulti ed educatori a volte sembrano aver rinunciato all’autorevolezza, da non confondere con l’autoritarismo che a volte viene esercitato. Consideriamo che Dewey vive in periodo in cui si diffidava di qualsiasi tipo di autorità e l’istruzione era indubbiamente dispotica. Il ruolo degli insegnanti dovrebbe essere quello di facilitatori autorevoli. Non credo al genitore-amico o al professore-amico. Eppoi ci vuole la passione nel proprio lavoro per esercitarlo bene e la “motivazione intrinseca” , come ho avuto di scrivere nel giornale con cui collaboro come giornalista pubblicista e che ho messo anche in rete. Ho ricevuto anche i complimenti espliciti dei lettori, che non ho pubblicato per non sembrare megalomane…ma visto che la tematica del mio articolo riguarda proprio quello su cui stiamo discettando…lo farò…grazie per i vostri preziosi contributi..



Categorie:Cultura e scuola, vecchi articoli attuali

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1 replies

  1. In fondo si era già capito oltre 2400 anni fa come sarebbe finita. C’erano regole già stantie. C’era lui che insegnava perché cambiarle e come cambiarle. C’erano i giovani che lo seguivano entusiasti. Lui era Socrate e sapete tutti com’è finita. E’ finita con un epilogo diventato proverbiale, trasformato in roba masticabile da tutti. E invece è stato, per quanto concerne il dibattito sull’educazione dei giovani, il punto più alto della civiltà occidentale. Di fatto è come se la storia del nostro pensiero in merito, fosse partita da una vetta Insuperabile. E da lì in poi è stata effettivamente tutta una discesa, spesso precipitosa.
    Suggeriva ai giovani di preferire domande e risposte brevi, proprio per dare la possibilità di obiettare all’interlocutore che va rispettato per le sue opinioni, perchè questa è l’unica garanzia di verità e democrazia che nasce dalla ragione e porta alla reciproca persuasione, alla condivisione delle regole, al loro rispetto, alla loro condivisibile modificabilità.

    I politici dell’epoca lo accusarono di suscitare la contestazione giovanile. Lo portarono in tribunale e lui non si sottrasse al processo, niente strane manovre di avvocati né cambi delle leggi. Lo condannarono a morte e lui non si sottrasse alla condanna. Gli offrirono di scappare dalla prigione e lui non accettò. Il rispetto delle leggi prima di ogni cosa. E dette l’esempio più alto di etica e di rispetto delle regole.
    La conoscenza è come l’acqua: liquida ed impalpabile. Bisogna quindi nelle giovani menti costruire prima il contenitore e poi riempirlo, mettere una nota per il fatto sopra riportato, è stato perdere un’occasione in questo senso.
    Insegnare è un mestiere difficile ed impegnativo, che stride non poco con un pensiero occidentale “chi non sa fare insegna” che porta nei confronti degli educatori a scarsa riconoscenza, mezzi inadeguati e stipendi da fame. Ciò non toglie che se nonostante tutto si decide di fare l’insegnante, bisogna essere all’altezza del compito perchè si scherza con il fuoco, perchè si tratta di mettere il sale ed il pepe nelle future generazioni.

    E’ fin troppo facile sparare sulla scuola e altresì stupido. La scuola resta l’ultimo baluardo di un minimo di sistema del merito, il nastro di partenza uguale per tutti, l’ultima occasione per ripristinare un minimo di scale sociale che ormai nel nostro paese è praticamente sparita.

    Come Socrate ha insegnato, è l’esempio che fa la differenza, i giovani imparano a rispettare le regole se vedono gli adulti che per primi le rispettano. L’insegnate che ha in pugno la propria classe non ha bisogno di mettere note, non entra in competizione con i propri allievi sul terreno della stupidità, ma invoglia lo studente ad entrare in competizione con lui sul terreno della conoscenza.

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