Bruno de Finetti

Il 30 aprile scorso  l’Accademia dei Lincei ha dedicato un seminario in onore di Bruno de Finetti.

I lettori di questo blog forse si lamenteranno che ci sono troppe commemorazioni  ma non posso raccontare solo le cose spiacevoli della quotidianità. Voglio anche raccontare le cose belle della mia vita, quelle la cui condivisione è quasi doverosa in un mondo che si sta incupendo dietro a degli stupidi che spaccano tutto senza sapere perché.

In effetti nella vita sono stato molto fortunato, per tante cose, anche per i maestri che ho incontrato lungo la mia strada. Uno di questi è stato Bruno de Finetti, forse uno dei più grandi matematici italiani del secolo scorso, del quale ho seguito il corso di calcolo delle probabilità e che firmò la mia tesi di laurea.

Dico che ‘firmò’ perché la lesse solo alla fine  in modo trasversale, in realtà fui seguito in modo approfondito da Emma Castelnuovo, che era però una semplice professoressa di scuola media e non poteva far da relatore.  Serviva  una copertura accademica. All’epoca, era il 1972, chi presentava una tesi in didattica della matematica non poteva ambire ad un voto alto, anzi non poteva presentarla se non la infarciva di qualche considerazione propriamente e formalmente matematica. De Finetti, che godeva di grande autorevolezza accademica, accettava di far da relatore ad un certo numero di giovani che comunque nel suo corso avevano avuto un buon voto. Così, dopo averla sfogliata, mi chiese a bruciapelo, ma a lei piace questa tesi? Risposi un po’ imbarazzato che forse avevo lavorato in fretta nella fase finale e si poteva far meglio. Vede, questo succede sempre quando uno scrive una cosa, subito non piace, la rilegga fra dieci anni, vedrà che le piacerà. Questo episodio mi torna alla mente spessissimo ed ha ispirato il mio rapporto con i miei ‘prodotti’. Nessun perfezionismo ma semplice ed umile impegno per far quel che si può, il tempo e il distacco dalla passione momentanea, dall’ambizione di strafare ci consente di scoprire poi che abbiamo fatto una cosa dignitosa.

Torno a parlare di lui. Nel seminario dei Lincei,  le associazioni accademiche rappresentate, i matematici, gli statistici, i matematici applicati e gli esperti di amministrazione pubblica hanno tratteggiato la varietà dei suoi contributi e dei suoi interessi. Un personaggio poliedrico che ovunque mettesse mano riusciva a lasciare un segno originale e profondo. Arrivò all’insegnamento universitario dopo un periodo di lavoro presso le Assicurazioni Generali di Trieste come attuario, statistico e capo del servizio meccanografico. Il suo corso di Calcolo della Probabilità era una groviglio di questioni e problemi completamente diverso dagli altri corsi, ben ordinati e strutturati. Le sue lezioni erano imprevedibili e a volte si aveva difficoltà a capire dove realmente volesse andare a parare. Solo molto più tardi, insegnando io stesso calcolo delle probabilità a ragazzi dell’istituto tecnico, gradualmente mi resi conto della ricchezza delle questioni che lui aveva affrontato.

L’impostazione soggettivistica delle probabilità sembrava contraddire la necessità di disporre di quantità ‘esatte’ da trattare matematicamente per assumere  decisioni economiche ad alto rischio. La sua definizione di probabilità come grado di fiducia o timore che un certo evento possa accadere, definizione resa operativa come entità della posta certa da scambiare con una vincita aleatoria di una unità di conto da parte di un soggetto coerente, era ed è una sfida per chi pretende che la matematica sia chiara e distinta come Cartesio prometteva. Capire a fondo cosa fosse un gioco equo, come funzionassero le strategie decisionali in contesti competitivi era una sfida per noi giovani addestrati ed educati al rigore matematico. Dovevamo trattare gli oggetti a prescindere dalla loro natura o dal loro significato ma avendo soprattutto riguardo alla grammatica, al sistema di regole logiche e alle proprietà che dovevano rispettare in una teoria ipotetico deduttiva.

Per Bruno de Finetti la semantica era più importante della forma elegante, le sue lezioni era ‘sporche’ di problemi, di questioni irrisolte, di curiosità stimolanti. Il suo sguardo penetrante e innocente era l’emblema di quanto fosse per lui importante l’intuizione, il saper vedere in matematica. La rappresentazione geometrica, il movimento, l’approccio da molti punti di vista allo stesso problema, agli stessi concetti era una scelta didattica che lo opponeva alla moda di allora di riscrivere tutta la matematica secondo le formulazioni algebriche astratte del bourbakismo. Era per questo che la sua protezione accademica per le tesi in didattica corrispondeva anche ad un impegno diretto nella scuola secondaria sia attraverso la collaborazione con il gruppo di docenti che facevano capo a Emma Castelnuovo sia attraverso la presidenza della Mathesis, associazione nazionale di docenti di matematica.

Durante il seminario multidisciplinare, ascoltando le varie relazioni, mi sono reso conto di quante risonanze ci fossero  tra il suo insegnamento e mio modo di pensare e di agire, mi sono confermato nell’idea che anche un fugace incontro con un grande uomo può arricchirci e ho sentito il bisogno di scrivere questo breve omaggio per ringraziarlo.

 



Categorie:Cultura e scuola, Riflessioni personali

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