Riprendo lo schema del precedente post integrandolo con alcune semplici considerazioni su ciò che a mio parere si è già fatto in questa legislatura e che probabilmente rimane ancora da fare nella prossima.
Cultura La nostra grande ricchezza, il nostro pozzo petrolifero inesplorato sono i beni culturali, un campo in cui pubblico e privato possono operare in modo sinergico. Ossia l’ambito su cui investire maggiormente le risorse economiche in vista di un promettente ritorno.
Ho la sensazione che qualcosa si sia fatto ma è qualcosa di molto limitato rispetto al potenziale. Quello dei beni culturali è un mondo molto sconnesso con tante competenze spesso in conflitto tra loro con norme e regolamenti che congelano le iniziative e le rallentano anche laddove esistono risorse economiche dei privati. Costerebbe nulla semplificare, finalizzare meglio, avere criteri condivisi per le scelte di tanti attori che agiscono in autonomia.
L’obiettivo rimane centrale per lo sviluppo economico del paese anche nella prossima legislatura.
Patrimonio Cito da quel post: Svendere è controproducente. Se io sapessi che un mio debitore sta vendendo o svendendo le sue proprietà mi preoccuperei e andrei subito a iscrivermi tra i creditori che desiderano essere risarciti magari in anticipo. Questo è ciò che questa destra cialtrona e incapace sta proponendo dopo averci messo in queste difficili condizioni. La proposta è cialtrona sia perché la quantità di patrimonio vendibile, che cioè ha un mercato potenziale, è molto limitata rispetto allo stock complessivo del debito sia perché in questa situazione internazionale il ricavo possibile sarebbe molto basso rispetto al valore intrinseco. A meno che non si voglia vendere i boschi demaniali, le caserme attive, gli ospedali, le strade provinciali statali e comunali, le ferrovie le stazioni, i tram, gli autobus, le scuole, i tribunali, i ministeri, il monumento ai caduti … e chi più ne ha più ne metta! Insomma l’operazione non solo non attiverebbe il meccanismo virtuoso promesso ma innescherebbe quella sfiducia che farebbe di nuovo schizzare lo spread verso l’alto.
La questione della privatizzazione di parte del patrimonio statale per ridurre il debito pubblico, è stata spesso discussa, evocata e promessa. Credo che non si sia fatto quasi niente se non un passaggio di competenze sul demanio dallo Stato centrale alle Regioni e ai Comuni. L’intervento sistematico della BCE sul mercato dei titoli di debito pubblico degli Stati della zona euro ha reso meno impellente il problema dello spread e del pagamento degli interessi per cui tutti, governo, opposizione, cittadini hanno esorcizzato la questione del debito convincendosi che lo spread fosse una invenzione della speculazione dei poteri forti internazionali e che si poteva continuare a spendere senza preoccuparsi troppo se il debito aumentava.
La questione prima o poi tornerà di attualità non appena la BCE smetterà di comprare BTP anzi dovrà gradualmente riintrodurli nel mercato facendo lievitare i tassi di interesse. Come in tutte le famiglie se si tratta di restituire un debito o lo si fa aumentando il reddito e risparmiando (lavorando di più) o si vende l’argenteria. Nei programmi elettorali si parla di questo?
Continuo a ritenere che, come scrivevo 5 anni fa nel post, nella misura in cui il patrimonio pubblico costituisce una garanzia reale per i crediti che ci sono stati concessi, la strada migliore sia quella di valorizzarlo per incrementarne il valore o comunque per ridurre le perdite dell’obsolescenza. Attento Bolletta, stai dicendo che la difesa patriottarda dell’Alitalia che ha ingoiato una montagna di miliardi sia stata una buona scelta? continueremo a foraggiare strutture produttive inefficienti e costose che ci mettono fuori mercato?
No, sto dicendo che una cosa è fare una lunga lista di beni da dismettere per far cassa in un momento congiunturale difficile sotto la pressione dei creditori ed altra è gestire il patrimonio secondo le regole dell’economia di mercato per cui se una azienda pubblica produce perdite ed inefficienza esiste l’istituto del fallimento. L’azienda si chiude, tutti a casa e se qualcuno vuole occupare quella fetta di mercato ci mette del suo e usando eventualmente le spoglie dell’azienda fallita riparte per crearne un’altra adeguata alle nuove condizioni di mercato.
In questi cinque anni temo che la situazione da questo punto di vista sia peggiorata: ha prevalso il sindacalismo corporativo di piccoli gruppi più o meno garantiti, il capitalismo si è adattato alla rassicurante certezza di lavorare in appalti dello Stato, unico vero grande imprenditore sul mercato, la gente ha perso la percezione concreta di cosa voglia dire debito e credito ed ha consolidato una avversione incattivita verso l’economia e il capitale, da destra, da sinistra e dal centro.
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