L’anima di una scuola

Ieri ho fatto visita a Domenico Dante, docente del Gioberti che ora dirige l’Armellini. Con lui avevo avuto uno scambio di opinioni anche sulla rete sui problemi della valutazione. Incontrarlo a scuola, nel suo nuovo ufficio in un momento di lavoro, alle 11 di mattina è stata una scelta deliberata che nasceva sia dalla perfida curiosità di sapere come se la sta cavando sia dal ricordo di quanto aveva fatto piacere a me nei primi mesi di presidenza ricevere visite anche improvvise di vecchi amici che venivano a salutarmi o omaggiarmi o a prendermi in giro.

Siamo partiti dalla mia salute e dalle mie avventure estive passando per i suoi libri. E, come sempre con lui, siamo arrivati a parlare di anima delle cose, degli avvenimenti, delle storie. E con questa visione siamo arrivati a parlare della sua scuola. A proposito qui ci sono la tabelle di alma diploma che mi sono arrivate da qualche giorno. Le spiace, pardon, ti spiace dargli un’occhiata per vedere cosa ci capisci? La porta dell’ufficio è aperta e ogni tanto qualcuno fa capolino alle mie spalle e il preside prega di attendere. Arriva il vice preside e lo fa accomodare. Continuiamo la nostra chiacchiera sull’anima della scuola e il professore ci guarda un po’ sospettoso. Non si preoccupi, sembra, ma non siamo matti. Dico io. Parliamo allora del nostro Gioberti e della sua anima. Mi fa molto piacere sentire che il mio ex docente ricorda a me con forza il progetto che avevamo condiviso di un polo integrato professionale di servizi alla persona nel centro ‘spirituale’ di Roma in quella Trastevere i cui selciati sconnessi avevamo percorso tante volte parlottando dei casi della scuola. Ricorda un fatto che avevo dimenticato, un ragazzo diversamente abile al quale avevo chiesto il nome del docente a cui era più legato aveva fatto il suo nome e glielo avevo riferito come un complimento, una gratificazione.

Sì forse l’anima del Gioberti erano i 90 diversamente abili distribuiti uniformemente nelle due sedi. La loro presenza denotava il clima visibile della scuola, la rendeva umana e sensibile, arricchiva gli altri ragazzi, i quali venivano educati alla condivisione della propria debolezza con quella di coetanei meno fortunati.

Qui all’Armellini non ci sono e questo forse è una nostra debolezza, dovremo forse aprirci a questa realtà. Sì è vero, rispondo io, ieri sono stato invitato dalla Contessini al Campidoglio a chiusura di un progetto a cui aveva partecipato una sua classe che veniva premiata. Una grande emozione. C’erano ex studenti che si erano diplomati durante il mio primo anno di presidenza. Giovani con l’incipiente calvizie, ragazzi che stanno concludendo il ciclo universitario o che già sono inserito nel mondo del lavoro in modo più o meno precario. C’era la sua classe schierata e in divisa che non vedevo da più di un anno e che era cresciuta, tutti e tutte più alti e più belli. Ma l’emozione più grande è stata vedere schierati e partecipi anche i ragazzi diversamente abili i quali hanno ricevuto le stesse feste e le stesse gratificazioni dei loro compagni. Ricordavo di ciascuno i problemi e le fatiche dei docenti del sostegno ma vedevo negli occhi della Donatella Meo quella fierezza e quell’orgoglio di chi si è spesa con i suoi colleghi e ora vedeva una sottolineatura positiva di un percorso pluriennale di crescita.

Si è fatto mezzogiorno, la fila fuori l’ufficio si è allungata e rapidamente saluto. Varie persone attendevano fuori, forse docenti, famiglie, impiegati. Il prof. Dante è ormai parte dell’anima dell’Armellini.



Categorie:Cultura e scuola, Riflessioni personali

2 replies

  1. Leggere storie dei “vecchi” amici, come Mimmo Dante e Raimondo Bolletta, mi fa sempre piacere. Con ambedue ho spesso condiviso l’anima della scuola ed i problemi dell’anima. Infatti “la scuola” non esiste se non c’è un cuore pulsante, passionale, accalorato e partecipe. Insomma un’anima collettiva, formata dalle singole, tutte speciali ed uniche, che si ritrovano accomunate in uno dialogo arricchente e vicendevole.
    Forse è anche per questo che dopo svariati anni nei Licei di Parioli, Prati e Flaminio, ho voluto ritornare 11 anni fa, al “Giulio Romano”, pardon, al “Gioberti” di Via della Paglia.
    Se oggi ancora ci resto, e resisto, è perché gli studenti, i nostri studenti, sono vivi, vibranti, entusiasmanti ed entusiasti.
    “Tutto il resto è noia” (Califano docet, ma non mi piace). Vedendo poi cosa si dice di noi insegnanti e che fine faremo, mi deprimo ancora un po’….
    All’ex “Giulio Romano” si respirava sentimento, partecipazione, condivisione. Questa “nostra” scuola nel cuore di Trastevere, ricca di storia, di tradizione, di una sua personalità di cui ha sempre permeato il quartiere, così come i suoi abitanti, le sue stradine, i suoi negozi, gli stranieri, gli innumerevoli visitatori e passanti, hanno sempre dato un senso alla peculiarità di questo Istituto turistico professionale.
    La scuola era ei stessa cuore pulsante di una comunità integrata, vibrante, piena di sentimenti, di creatività, ma anche di studio, di assennatezza, di “cultura”. Una comunità basata sul rispetto e sul dovere, ma anche sul piacere, sul divertimento, sulla partecipazione attiva e fattiva, sull’apprendere ed insegnare cose utili, fondamentali, vive.
    Un luogo non triste né banale, non rigido né anonimo, bensì affettivamente e culturalmente appagante. Si viveva in una sintonia sotterranea, non espressa, tra tutte le componenti: docenti, bidelli, segretarie, e naturalmente studenti e famiglie.
    Non mi capita spesso di ripensare al passato, credo sia bene vivere il presente, senza troppi grugniti, amarezze e ricordi. Talvolta però, stando nello stesso ambiente della scuola da anni, mi trovo a confrontare situazioni, atteggiamenti, inesperienze e capacità. Difetti e virtù ovunque presenti, ma che nella scuola si ampliano sotto la lente d’ingrandimento dei ragazzi.
    Siamo pubblici, abbiamo una platea con tante orecchie, occhi e cervelli a cui dare un esempio; saranno loro tra alcuni anni al nostro posto e dovremmo fare il possibile per trasmettere sensibilità, cultura, energia, altruismo, solidarietà, passione per il proprio lavoro.
    Anche se frustrante e mal retribuito.
    Non si può fare l’insegnante, il bidello, il segretario o il preside, come se si facesse l’impiegato postale, il bancario, il fruttivendolo.
    Lì c’è merce, qui abbiamo persone.
    Il discorso vale per ogni componente che lavora nella scuola, perché se c’è collaborazione, incoraggiamento, senso di responsabilità, umiltà e voglia di fare, gli ingranaggi funzionano meglio. Purtroppo l’approssimazione incalza, la fretta distrugge, le improrogabile scadenze premono e una massa di divieti, norme, carte, circolari, permessi e moduli ci sta sotterrando.
    Usciamone per favore.
    Usiamo il buon senso e l’intelligenza.
    Anna C.

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  1. DSA | Raimondo Bolletta

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