Una radicata ed antica consuetudine è quella di indovinare, divinare il futuro, l’esito di una nuova impresa, la vittoria in una nuova battaglia sulla base di segni premonitori che diventano spesso oggetto di superstizione. Così durante il primo giorno dell’anno si mangiano lenticchie, ci si bacia sotto il vischio, si indossa un capo nuovo per auspicare un anno migliore, più ricco e più sereno. Una di questi presagi da interpretare è il primo incontro con uno sconosciuto che si fa nella giornata del primo dell’anno. Ebbene a me è andata splendidamente e sono ottimista per questo nuovo anno.
Siamo stati a pranzo da mia suocera. Mia cognata ha invitato una signora rumena che viene da qualche giorno ad assistere per qualche notte mia suocera, ormai molto anziana e piena di acciacchi. La signora era sola a Roma ed ha accettato l’invito volentieri preparando un dolce buonissimo, una rivisitazione rumena del nostro tiramisù.
Una persona dolcissima, una ostetrica portata fuori del suo paese fino in casa nostra dal vento della crisi economica internazionale che da decenni imperversa in giro per il mondo. Con signorilità e discrezione accenna alla sua storia personale certamente non facile, parla di ogni cosa con positività, si illumina quando accenna alla speranza di trovare lavoro qui in Italia come ostetrica. Sono subito colpito dalla padronanza della lingua italiana e chiedo da quanto tempo vive in Italia. Da Maggio, ma avevo cominciato a studiare l’italiano già in Romania. Correggo qualche accento e mi ringrazia e mi dice che quando viaggia in autobus origlia tutti i discorsi per carpire le nostre espressioni più frequenti e tipiche. Parlando dei Cachi acerbi che ‘allappano’, dico io, lei precisa ‘sono astringenti’.
Mentre parlavamo fino a pomeriggio inoltrato, almeno tre sono state le riflessioni che mi hanno attraversato la mente e che vorrei condividere in questo primo post del 2013.
Questa donna forte e piena di speranza mi ricorda il pomeriggio dell’ultimo dell’anno dedicato a Rita Levi Montalcini.
Noi italiani ci siamo abituati a non entrare in empatia con popolazioni di migranti che portano nel proprio fardello sofferenze, speranze, umiliazioni, successi e pensiamo che ciò che è successo ai loro sistemi politici ed economici non possa accadere a chiunque altro, anche a noi. Noi italiani diamo ancora ascolto ad imbonitori da strapazzo che si permettono di sostenere che la crisi di un anno fa fosse una macchinazione, una congiura che ci ha messo in scena una crisi inesistente perché in realtà noi siamo ricchi, buoni e bravi. I greci, i portoghesi, gli islandesi, gli spagnoli, gli stessi russi, gli argentini, tutte le popolazioni dell’est europeo sembrano non insegnarci nulla, noi con i nostri leader carismatici non temiamo nulla, possiamo continuare a sognare le ipotesi più ardite, come quella di ricominciare a stampare moneta!
Noi italiani abbiamo disprezzato il bisognoso, gelosi della nostra roba, delle nostre consuetudini, delle nostre comodità, abbiamo alzato le mura del leghismo, del razzismo, della paura e dell’invidia. Non ci siamo accorti delle ricchezze che queste persone portavano con sé, della vitalità della loro voglia di riscatto, delle culture che potevano integrarsi con la nostra.
Tra qualche settimana possiamo scegliere e non avremo più scuse: io non sapevo, io credevo, io non c’ero.
Suggerisco di leggere il bel commento a questo post di Giovanna, la quale mi ha inviato anche una sua intervista a Michael Apple ( Intervista a M. Apple) altrettanto bella ed interessante sulla scuola e la globalizzazione.
Categorie:Riflessioni personali
Impareremmo proprio di più per la nostra vita e per il nostro sviluppo personale se sapessimo inoltrarci con curiosità nei percorsi che offrono gli incontri interculturali, oggi così frequenti anche tra le pareti domestiche… Vedremmo da vicino come si costruiscono queste vite migranti al di là delle descrizioni socio-politiche accademiche, delle percentuali e dei grafici. Si può viaggiare molto anche in casa e non solo virtualmente, in effetti. Intorno a me, c’è l’Ecuador di Petita, la Bielorussia di Natalie, l’Eritrea di Abeba, ci sono le Filippine di Teresa. Persone che condividono oramai da tempo emozioni e avventure quotidiane con le persone che mi sono più care o con me. Le loro storie – e gli intrecci che ne scaturiscono ogni giorno, sono piene di un coraggio minuto e grandioso, di piccoli e grandi azzardi, di interrogativi paure e speranze. Con il tempo e il contatto ho capito che lo spazio d’azione di “noi autoctoni” nell’interazione è un’avventura piena di sfide e di significati, mi sento coinvolta nell’interpretarla, nel viverla e nell’osservare come la vivono gli altri. I miei amici sono stati così brillanti da saper accogliere la loro collaboratrice filippina Teresa con il suo piccolissimo Momi quando si sono presentati gravissimi problemi con il suo compagno di un’altra religione. La storia è ricca di dettagli e sfumature, raccontarla potrebbe persino sembrare di quella retorica pelosa che tutti vorremmo rifuggire. Ma quando suono alla porta e viene Teresa orgogliosa ad aprirmi con il suo piccolino accucciato tra le braccia (è nato prematuro, ora si sta riprendendo!), o quando lo vedo poco dopo palleggiato ridente fra le braccia degli “altri” bambini della casa, mi si allarga il cuore. Non solo perché tiro un sospiro di sollievo per Teresa e per la possibilità che ha avuto di affrontare le sue disavventure, ma soprattutto per la testimonianza luminosa che emerge da questa vicenda…per le molte persone che suoneranno il campanello (i miei amici sono molto socievoli, come si sarà capito!) e vedranno queste immagini e soprattutto la loro naturalezza li farà pensare…
Nel mio piccolo un giorno ho portato Abeba al Colosseo. Vive a Roma da sei anni. Una domenica ci stavo andando con un’amica australiana, lei era come ogni domenica a casa mia, le ho chiesto “have you ever visited the coliseum?”. “Oh yes” ha risposto lei “Metro B!”. Per lei il Colosseo era una fermata della metro. Una volta sulla scena abbiamo parlato a lungo della mancanza di porte del Colosseo, con Abeba e con la mia amica australiana, una nota professoressa di sociologia con trascorsi di docente di storia di liceo. Entrambe piene di una meraviglia per me inconcepibile, che mi ha rapito e riposizionato…
“noi” e gli “altri”… tempo fa ho fatto una bellissima intervista con un sociologo americano. Raimondo te l’avevo spedita credo, ma te la rimando…
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