Quando era partito per gli Stati Uniti ci aveva lasciato mollando un po’ di ceffoni a destra e manca, i telegiornali lo hanno seguito come se il suo viaggio fosse l’evento principale della settimana, decisivo per il futuro del mondo. In realtà, con la malizia di opportuni montaggi, i commenti deferenti ed entusiasti sono stati illustrati da immagini di un giovanotto smargiasso spesso con le mani in tasca, con la pancetta incipiente, che si trastullava con gadget tecnologici o intratteneva in un improbabile inglese pubblici variamente interessati agli affari internazionali, che faceva lo spaccone con un pubblico femminile di super manager eleganti.
Ma contrariamente a quanto mi aspettavo, non ha accavallato le gambe nello studio di Obama, è stato accolto come le centinaia di capi di stato e di governo arrivati a New York in occasione della assemblea generale dell’ONU. Rapidi incontri ma nessuna formalità istituzionale che valesse un rapporto con l’amministrazione degli USA, viaggio declassato a visita privata di un premier e signora nei luoghi simbolo del capitalismo tecnologico in costante contatto con i fedelissimi che in patria vedevano il suo castello cedere lentamente ma inesorabilmente.
Così nel volo di ritorno, per non perdere tempo, registra un video messaggio per dire che se ne frega del dibattito nel suo partito, dei giornalisti pentiti, degli amici che hanno aperto gli occhi, lui andrà diritto perché ciò che conta è di creare anche un solo posto di lavoro. Io farò quel che si deve senza guardare in faccia a nessuno perché così vuole il popolo e perché il destino dell’Italia lo vuole, con me ce la può fare.
Si, ho pensato, l’Italia ce la potrebbe ancora fare ad evitare il disastro e il burrone se avesse il coraggio di liberarsi ora, e non tra anni, di un parolaio vuoto ed inesperto, ambizioso di potere, circondato da coetanei devoti e intruppati.
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