Austerità

Riporto qui un contributo di Franco de Anna pubblicato su Facebook per non perderlo nel marasma dei social e perché sembra scritto apposta per un blog che vuole raccontare e riflettere.

Il pendolo della semantica

di Franco de Anna

Confesso che quando sento denunciare (oggi con frequenza costante e diffusa) i guai della “austerità” in economia, pur comprendendo e in parte condividendo l’impostazione neo-keynesiana di tanti denuncianti (mi chiedo dove fossero nella stagione “vincente” della scuola di Chicago..) ho un moto di reazione (in)condizionata di rigetto. Guai del “venir vecchi”.
Nei miei ricordi a parlare(ci) di austerità fu Enrico Berlinguer negli anni finali dei ’70 e in quelli che avanzarono fino alla sua scomparsa.
Confesso e senza pentimento le mie appartenenze. Allora Berlinguer ci parlava di austerità sulla base di due “ordini di discorso”. Il primo era politico-sociale-economico. Alla fine dei ’70 il Paese aveva concluso la stagione (miracolosa) del suo itinerario trentennale verso la costruzione di un Paese moderno. Lo sviluppo industriale ed economico, la faticosa e pur contraddittoria costituzione di un sistema sociale che potesse essere denominato welfare, almeno nei suoi aspetti essenziali (scuola di massa,. Pensioni, servizio sanitario nazionale..), erano compiuti o meglio erano stati “promossi”.Le contraddizioni che tale sviluppo aveva comunque sedimentato, sovrapposto, stratificato emergevano come sugheri dalla tempesta causata dalle prime crisi internazionali (da quelle petrolifere alla “crisi fiscale dello Stato” che assumeva contorni internazionali). Nel nostro Paese aggravate dal fatto che la spesa pubblica era stata la leva fondamentale per costruire “cittadinanza e consenso” e renderle compatibile con gli interessi del profitto e della rendita (il capolavoro storico politico della Democrazia Cristiana). E dunque la ridistribuzione della ricchezza (compito pubblico essenziale) seguiva un “operatore” che non era quello del “valore” prodotto, o dei “diritti” o dei “bisogni”, ma il “consenso stratificato” delle diverse e tante corporazioni: dagli interessi più consistenti di industriali e finanza, a quelli più minuti di tanti comparti di popolazione che dipendevano strutturalmente dalla Pubblica Amministrazione e dai piccoli (!?) vantaggi che erogava. E su quelle articolazioni fioriva la corruzione politico-amministrativa.
Berlinguer capì (non so se per consapevolezza scientifica, intuizione politica, sensibilità etica e francamente non importa..) che era necessario produrre una cesura, una “svolta”, un cambiamento radicale sia per mantenere, sviluppare e migliorare a regime, le conquiste fatte, sia per sanarne le intrinseche contraddizioni, le cesure e le faglie che accompagnavano quello sviluppo, e che si prospettavano non riproducibili a fronte della dimensione internazionale della crisi (la fine dei trent’anni dell’oro, per dirla con Hobsbaum).Ma soprattutto capì che non si trattava semplicemente di strategia politica: occorreva scrivere una diversa pagina culturale… ecco perché una parola così impolitica come “austerità” ed ecco perché un appello rivolto agli intellettuali (ricordate la conferenza all’Eliseo? 1977 per la precisione). La domanda era: come rielaborare un modello di vita, un modello di consumi e di valori, come renderlo nuovo “senso comune” capace di accompagnare le scelte politiche e le strategie economiche, che, da sole, non sono sufficienti (almeno in democrazia..). E, posso sbagliarmi, lo sfondo di tale istanza non era l’Europa (o non solo) ma era ciò che Berlinguer chiamava “un nuovo ordine mondiale”.
Come andò si sa: gli intellettuali cui si era rivolto per la costruzione di un nuovo “senso comune” (il loro compito, in stile gramsciano..) guardarono altrove, e qualcuno addirittura schernì (Enrico doveva sapere, via Gramsci, del tradizionale tradimento italiano dei “chierici”… ma volle scommettere.)
Il tradimento degli intellettuali… una costante…Guardate oggi quanti “si fan mantello” della vicenda greca (sempre “a seguire” naturalmente come “l’intendenza..”). Un “adornarsi” che “pende dalle spalle come un mantello di un gigante sulle spalle di un ladro nano” ( da Shakespeare ovviamente..).
Gli anni ’80 della “Milano da bere”, del craxismo disinvolto e spregiudicato, del lucrare sui differenziali e sulle svalutazioni della moneta, del dispensare a piene mani spesa pubblica, era alle porte, e una figura austera e anche un poco triste nelle sue rughe e pieghe amare del viso, nel suo dimesso apparire parlava di “austerità”… suvvia!…Avevan altro a cui pensare gli intellettuali nazionali… Come sempre.
Nel giro di un decennio il debito pubblico italiano passò dal 70% al 130%…i tassi di interesse superarono le due cifre, come il rendimento dei BOT… Ricchezza privata (l’Italia con il primato europeo del risparmio e della ricchezza delle famiglie. I piccoli e men piccoli risparmiatori, che possedevano titoli di Stato guadagnavano sul debito pubblico..(congiura della finanza internazionale??!) e debito pubblico strinsero una insana alleanza. La svalutazione della moneta provvedeva “a breve” a ricostruire le convenienze. La “moneta unica” era ancora lontana prospettiva per fortuna (loro..). Ma quanto poteva durare? La risposta è simile alla attuale…Che gli alti tassi di interesse dei titoli di Stato fossero indicatori di un rischio elevato e che dunque selezionassero gli investitori non proprio premiando i “migliori” ma quelli orientati al beneficio immediato, poco importa… almeno fino a quando i possessori dei titoli sono “italiani”…(guardare sempre “chi” possiede il debito pubblico…e non solo i tassi di interesse…) Ma non importa qui il dato contabile, quanto il connesso “strutturarsi” delle convenienze e dello stratificarsi del consenso sociale.
Non dimentichiamo che si dovette arrivare al “prelievo forzoso” (Amato).
Ma nel frattempo la stratificazione di significati ed interessi si era via via consolidata. Enrico non era solo stato sconfitto, ma non c’era più. E quel che venne dopo sappiamo (ma ricordiamo?)…Io non ricordo carri armati per le strade…ma elezioni e consenso. E orge televisive “IMU abolita”, e “meno tasse per tutti” e “con la cultura non si mangia” …Evidentemente “l’artiglio dell’opposizione” pensava ad altro……E non vale nulla il richiamo ai nulla-pensanti televisivi… I pensanti Face book son meglio?Nel 1992 avevamo firmato il trattato di Mastricht. Altrove (vedi un post precedente) richiamavo la riflessione su chi firmò (Andreotti), sulla stagione politica che si apriva in quegli anni che avrebbero dovuto essere dedicati all’impegno europeista per creare le moneta unica senza speculazioni e squilibri… e che invece fu, per il nostro paese, la storia delle stragi, di mafia e di altro, di Tangentopoli, della fine della prima repubblica, ecc…Tutto abbiamo fatto e subìto, tranne “costruire l’Europa” come l’avevan pensata i nostri padri (qualche antipatico Ministro tedesco ha, tra gli altri, anche il torto di avere buona memoria..), e a cui oggi, innalzando la bandiera greca (ma non della nostra.sinistra ..?!.) facciamo pensosi e invocanti richiami (mi basterebbe un cenno autocritico, solo un cenno…). Spinelli, se fosse vivo, ci avrebbe già mandato a quel paese…
Il trattato di Mastricht viene ricordato perchè fissa dei parametri macroeconomici a loro dire vincolanti. Il 60% del rapporto debito/PIL ed il 3% del rapporto deficit/PIL. Parametri “stupidi” (parole di Prodi), per almeno due ragioni: la prima è la loro arbitrarietà “contabile”… Il denominatore del rapporto (il PIL) è ovviamente soggetto alle variazioni relative al ciclo economico ed alla incapacità della scienza economica di prevederne lo sviluppo (l’economia sembra sempre essere “scientifica” a posteriori..). Il numeratore, invece, collegato in particolare alla spesa pubblica e sociale, si misura con il welfare, con i bisogni delle popolazioni, con il modello dei consumi pubblici e dei diritti… Tutte cose che, al contrario del PIL, hanno poca sensibilità alle variazioni del ciclo economico…. Si rappresentano, a breve, come “costi fissi” di natura politica e sociale. Flessibilizzarli è davvero una impresa politica, non economica… Richiede “altre ragioni” e soprattutto altri tempi, non “a breve” prospettiva.Cambiate pure i parametri quantitativi, ma il problema sottostante rimane, ed è: “come far convergere le strutture dei diversi bilanci pubblici nazionali… i modelli di welfare, di spesa sociale.” Al di là dei parametri quantitativi. Questo è il problema di un sistema economico comune che abiliti e sostenga una moneta comune. Sempre che i richiami alla necessità “politica” di una “europa federeale” non siano scongiuri invece che speranze, e che, al dunque, non si invochi la “dignità nazionale” contro le “prepotenze tedesche” in nome di “basta austerità”… Già sentito, grazie, basta cambiare i qualificativi…



Categorie:Economia e finanza, Politica

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