Villa Falconieri 3

Quindi, nel settembre dell’82 cominciai a lavorare a Villa Falconieri nel CEDE. Un traguardo importante e prestigioso raggiunto a 34 anni.  Mio padre mi chiese:  ma guadagni di più? no, lo stipendio è lo stesso, dicevo io. E lui:  e ti fai tutti quei chilometri tutti i giorni? ma se va bene a te ….

I comandati

Tra i vincitori del concorso c’erano molti colleghi che conoscevo già nella militanza nell’associazionismo e nella sperimentazione, in particolare Renata ed Anna Maria venivano dalla stessa sperimentazione Ruiz in cui avevamo lavorato insieme per 10 anni, Roberto dal Fermi in cui all’epoca ero stato assegnato in ruolo. L’avvio del lavoro fu faticoso ed incerto: le nostre attese ambiziose furono ben presto deluse dall’immagine che alcuni membri  del consiglio direttivo si erano fatti del funzionamento dell’ente. Qualcuno immaginava che il gruppo di docenti comandati fosse una specie di segreteria tecnica, una forza lavoro esecutiva a disposizione dei membri del direttivo. Il primo incarico fu quello di correggere un certo numero di bozze di alcuni articoli per la rivista dell’ente. Piuttosto seccamente dissi al segretario generale che non ero abituato a correggere bozze e che non avevo fatto un concorso per fare l’impiegato. Anzi precisai che ero  abituato a  correggere  bozze ma solo delle cose che scrivevo io.

Nonostante queste prime schermaglie, Villa Falconieri fu subito un luogo accogliente e rassicurante. Gran parte del personale amministrativo ed ausiliario era lo stesso che operava ai tempi del CEE di Gozzer. Ad esempio, se non ricordo male, tre signore erano abituate a fare le cameriere rassettando le stanze, lavando le lenzuola, stirando la biancheria. I corsi residenziali negli anni si erano diradati ma la struttura, giardinieri, cuochi, cameriere, in parte era sopravvissuta. Il personale della villa, che nel tempo era stato confermato, ma molti erano andati in pensione, aveva  un attaccamento quasi morboso e geloso, una disponibilità senza limiti, una devozione a volte imbarazzante. La villa non solo era stata usata come una foresteria per i corsi di aggiornamento e per i seminari ma nel suo parco conteneva anche delle dependence  in cui varie famiglie di dipendenti avevano vissuto per decenni nel dopoguerra. Quindi la villa era abitata, era già popolata quando arrivammo noi, aveva un anima frascatana, perché tutti i vecchi dipendenti erano di Frascati o dintorni.

Ma la villa era popolata anche di fantasmi. La storia dei fantasmi circolava tra noi, a volte raccontata dai più vecchi e ripresa da qualche buontempone come Livio che si dilettava di fotografia e con qualche trucco sui negativi era riuscito a fotografarne alcuni in giro per le sale affrescate. Dopo qualche anno successe a me di assistere a questo episodio inquietante. Eravamo arrivati molto presto, io e Lucia viaggiavamo spesso insieme per risparmiare e arrivavamo prima delle 8 per evitare il traffico del raccordo anulare. Le donne delle pulizie ancora passavano lo straccio per i corridoi. Lucia va in bagno per sciacquarsi le mani e all’improvviso sente una musica provenire dal basso come di organo. Immediatamente pensa ad uno scherzo di Livio e vista la signora che sta passando lo straccio lì vicino le chiede se sentiva anche lei quella musica e se sapeva che cos’era. L a signora, piuttosto anziana dall’aspetto dolce e timido le risponde: no, no! non è uno scherzo sono quelle povere anime dei giovani tedeschi che sono morti qui.

Lucia era agghiacciata ma curiosa e chiese di raccontare meglio. Sa professoressa, qui durante la guerra c’era il comando tedesco e la villa fu bombardata dagli americani. Mio padre qui faceva il giardiniere ma dopo il bombardamento la villa  fu chiusa  e non si poteva entrare. Mio padre non dormiva più ed aveva gli incubi perché sapeva che su quel piazzale lì avanti alla villa dove c’è il boschetto dei lecci c’erano alcune tende che erano state colpite e che certamente ci dovevano essere dei cadaveri. Così scavalcò il recinto e trovate le salme fece in modo che avessero una sepoltura cristiana. Tornò allora a dormire tranquillamente.

Anche la storia dei fantasmi, mai smentita e mai provata ma rinforzata dagli scricchiolii notturni di un edificio antico fatto di parti aggiunte e modificate, di travi e di stucchi, paura rinforzata dal silenzio assoluto del parco così grande da separare il visitatore dal mondo luminoso di Roma distesa ai piedi delle colline, anche la storia dei fantasmi rendeva la vita nella villa più densa di significato e di emozioni.

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Grande nevicata dell’85

L’organizzazione  del lavoro

Ma torniamo agli attori di questa vicenda. Se non ricordo male fummo una ventina ad assumere servizio nell’82  suddivisi in ‘dipartimenti’ che riflettevano le aree in cui era strutturata la mission (si direbbe ora) del nuovo ente.

Ho provato ora a consultare la rete per ritrovare la dicitura esatta di quei dipartimenti e ovviamente ho trovato che il vecchio sito http://www.cede.it non esiste più e che nel nuovo sito dell’Invalsi l’enorme mole di materiale prodotta in più di un ventennio a Villa Falconieri è probabilmente evaporata con un semplice click. Ma forse non ho consultato bene.

Io  avevo vinto nel dipartimento Nuove Tecnologie, innovazione didattica e valutazione ed ero risultato secondo dopo Fierli il quale aveva nel frattempo vinto anche il concorso ad ispettore tecnico periferico,  doveva prestare servizio di prova nell’anno di straordinariato e quindi sarebbe arrivato l’anno dopo. In attesa del suo arrivo, fui così nominato responsabile del dipartimento, funzione che conservai anche l’anno dopo quando a Fierli fu conferito l’incarico di coordinamento generale delle ricerche.

Il primo banale problema organizzativo fu legato all’orario di lavoro e al suo controllo (lo cito perché questo è il problema fondamentale in cui sembra in questo momento dibattersi la nostra Repubblica). Fu ovvio per tutti che un docente comandato in un ufficio dovesse assicurare una presenza di 36 ore settimanali accertate con il foglio firma ma uno comandato tra noi che era docente universitario, per giunta ordinario, si rifiutò di firmare la presenza poiché non era previsto dal suo stato giuridico. Una questione apparentemente secondaria risoltasi con qualche trucco burocratico ma che portò quel docente ad abbandonare l’incarico dopo un anno, anche questo  rese la posizione di comandato CEDE non appetibile a docenti universitari.

In realtà l’ambizione di Visalberghi era quella di realizzare un centro di ricerca accademicamente riconosciuto e prestigioso per cui aveva fatto pressioni sui suoi colleghi universitari perché venissero a lavorare a tempo pieno a Villa Falconieri: il gota dei docenti universitari di scienze dell’educazione era rappresentato nei tanti progetti che si stavano avviando ma nessuno rinunciava a presidiare la sua cattedra e il suo ambito di ricerca per avviare un nuovo centro di ricerca sulla scuola di livello internazionale.

La questione del foglio firma e dell’orario d’obbligo rimase come un piccolo tarlo nella gestione degli anni successivi: era difficile una gestione omogenea ed efficiente di un gruppo di persone che avevano interessi culturali e competenze differenziate, stati giuridici tra loro incoerenti (itp, docenti elementari, docenti secondari, presidi, ispettori), età e mentalità diverse.

Tutti ci rendemmo subito conto che il costo da pagare per partecipare all’impresa era grande: la lontananza da Roma e i chilometri da percorrere giornalmente, la riconversione professionale necessaria per fare un lavoro di ricerca non esattamente coincidente con quello di un docente, le rigidità di una gestione impiegatizia delle prestazioni. Ma la nostra ambizione era grande: alcuni colleghi comandati erano alla fine della carriera, di una carriera a volte di successo, e volevano veder riconosciuto nel CEDE quel ruolo che all’esterno potevano esibire, noi più giovani  eravamo convinti  che i maggiori sacrifici dovevano essere compensati in futuro con riconoscimenti tangibili. Insomma oltre ai fantasmi dei tenentini tedeschi aleggiava anche il fantasma più dannoso della competizione.

Inconsapevolmente il prestigio quasi nobiliare di Visalberghi alimentava una rincorsa di ciascuno di noi quasi fossimo un gruppo di giovani universitari che si preparavano al successivo concorso.

Ho ancora ricordi da condividere. Alla prossima.

 



Categorie:Cultura e scuola, Riflessioni personali

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5 replies

  1. Il tuo racconto pone un tema storico interessantela: la storia della villa prima e durante la seconda guerra mondiale.Se è non stata bombardata per caso, come è possibile, doveva essere sede di qualcosa di più importante di un comando tedesco.
    Adalberto

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    • Nulla avviene per caso. Sembra che in quei giorni fosse segnalato Kesserling presente nella villa. Comunque un comando è sempre un buon obiettivo militare soprattutto se è isolato rispetto al centro abitato.

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  2. Io ho cominciato ad andare a Villa Falconieri negli anni ’69-’70-’71, per i corsi che allora si facevano nell’Aula Skinner, in fondo all’ala ricostruita della Villa (successivamente, negli anni ’80 trasformata, in un secondo tempo, in uffici per il tuo Dipartimento). C’era un’ampia e alta gradinata per gli uditori, di fronte la porta d’ingresso. Si facevano corsi sulle ‘Macchine per insegnare’ e l’Istruzione Programmata, insomma applicazioni del metodo skinneriano (anche qui ci sarebbe un lungo capitolo di storia della villa). Allora il tutto faceva capo a Mauro Laeng. Ma se ne occupava Paolo Pani, divenuto poi relatore della mia tesi di di laurea (e di almeno un’altra futura ‘cedina’).
    Me ne sono ricordata solo ora.
    MI VERRANNO ALTRI RICORDI probabilmente
    Grazie, Raimondo, di ricostruire tutto

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