Oggi inizia il confronto tra maggioranza e opposizione sulle riforme costituzionali che dovrebbero introdurre forme di presidenzialismo per dare più potere all’esecutivo. Parallelamente, la Lega di Calderoli prosegue il lavoro per rinforzare l’autonomia regionale già prevista dalla riforma dell’articolo V attraverso una differenziazione basata sulle entrate fiscali che ciascuna regione che richiede l’autonomia rinforzata è autorizzare a tenersi. Da un lato Fratelli d’Italia sogna un potere nazionale più forte sia rispetto all’Europa sia rispetto alle regioni e dall’altro la Lega che continua a sognare un nord ricco che si tiene le sue risorse senza condividerle troppo con chi non vuol lavorare. Una forza centripeta che convive con una forza centrifuga.

Chi da trent’anni ha reso possibile tale connubio tra centralismo e devoluzione, Forza Italia di Berlusconi, le sue reti televisive e i suoi giornali arranca dietro a chi ora è segnato da una fine annunciata ma che non vuol mollare designando dei successori. L’opposizione è cristallizzata in formazioni tra loro ostili governate da leader già noti e consumati che nella migliore delle ipotesi possono sperare di sfiorare o superare di poco il 20%.
Ad oggi non conosco bene la proposta del governo sul presidenzialismo, si oscilla tra ipotesi molto diverse: l’elezione diretta del capo dello stato (modello francese) che richiederebbe una riscrittura piuttosto radicale dell’impianto costituzionale dei poteri dello Stato oppure un potenziamento dei poteri del capo del governo che, come per i sindaci, sarebbe eletto a suffragio universale e potrebbe sciogliere le camere se queste non obbedissero.
Il modello francese in questi mesi mostra i suoi grossi limiti in quanto non riesce a comporre efficacemente i problemi di fondo che la società francese esprime. Il sindaco d’Italia, sognato forse anche da Renzi e Calenda, in realtà forse è adatto ad amministrare una città di medio livello ma è inadatto a governare delle città grandi e complesse; a maggior ragione non è in grado di governare uno stato grande e complesso come l’Italia.
Nessuno dice però che se il problema è la stabilità e la rappresentanza la soluzione del problema sta nel cambiamento della legge elettorale che non ha rilevanza costituzionale e che il parlamento potrebbe approvare rapidamente. Peraltro l’attuale legge elettorale si presta a creare maggioranze sufficienti a esprimere un governo per l’intera legislatura come potrebbe accadere a questo governo della presidente Meloni. Ovviamente se gli accordi di maggioranza per vincere nascondono delle contraddizioni troppo forti, queste potrebbero esplodere nell’arco dei cinque anni di vita della legislatura.
Se per nascondere le contraddizioni ci si allinea dietro a personalità trainanti, più o meno telegeniche, la disgregazione e le contraddizioni riaffiorerebbero successivamente generando quell’instabilità che l’elezione diretta del premier vorrebbe evitare.
La legge elettorale attuale può assicurare maggioranze parlamentari stabili ma è molto debole dal punto di vista della rappresentanza. Basterebbe reintrodurre il voto disgiunto tra il maggioritario e il proporzionale e quello di preferenza per il proporzionale per ridurre il potere delle segreterie dei partiti e migliorare la qualità della selezione del personale politico.
Perché la leader di una forza politica che ben che vada attualmente rappresenta il 15% dell’elettorato attivo (30% dei votanti che sono circa il 50%) si espone al rischio di questa scommessa allo scoperto lasciando campo libero ad altre leadership che in un sistema mediatico quale quello attuale può essere costruita nell’arco di pochi mesi? Temo che la Meloni sia nel pieno del delirio di onnipotenza in cui altri prima di lei sono caduti, ad esempio Renzi. Immagino che questi mesi frenetici siano stati per lei un vortice che l’ha innalzata sopra le nuvole e ciò che ha sognato e desiderato per anni sembra alla portata di mano. Pensa di poter cambiare il paese, di cambiarne la cultura diffusa, di rieducare un popolo stanco e rinunciatario, di rimotivare giovani che non fanno figli, di ridare slancio e smalto alle schiere che vogliono resistere al turbine della modernità e alle paure del cambiamento climatico. Forse sa che per cambiare la testa e la pancia di un popolo 5 anni sono pochi, che serve un ventennio almeno … ma non ha la potenza di fuoco dei media berlusconiani né l’orgoglio guerresco dei fasci littori al seguito di Mussolini.
Perché ha aperto questo tavolo da gioco? Sa bene che la sua maggioranza ancorché sufficiente a governare efficacemente non può da sola approvare una legge costituzionale che non passi al vaglio del referendum popolare e lei sa benissimo che difficilmente un accentramento autoritario di potere passerebbe nelle urne. Deve racimolare un consenso che vada oltre i due terzi del Parlamento per non fare il referendum popolare.
Si apre un confronto logorante per tutti ma soprattutto per chi, nel pieno di un delirio di onnipotenza, crede di poter governare, gestire un partito, gestire i conservatori europei in vista delle prossime elezioni, far fronte ai prossimi terremoti finanziari, fronteggiare l’invasione dei poveracci, immaginare l’Italia del futuro.
Forse si capisce perché ha così fretta di occupare integralmente la RAI … ha bisogno di un novello MinCulPop.
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