Le mie riflessioni sulla politica e sull’economia scritte da pensionato sono diventate troppo aggrovigliate e incoerenti da meritare la stesura di un post pubblicabile: non voglio ammorbare nessuno se il mio umore si tinge di nero. I protagonisti della cittadella assediata non meritano troppi commenti, lo spettacolo è semplicemente desolante. Tranne per Henry conte di Read il quale continua a suscitare la mia simpatia per la tenacia con cui resiste e per l’arguzia di alcune battute quali ad esempio che non è Joe Condor.
Ma questo blog contiene anche fantasie, proposte, vagheggiamenti, progetti che uno sfaccendato ancora in buon essere sviluppa osservando la propria e l’altrui realtà.
Il 21 settembre scorso si celebrava la giornata mondiale dell’Alzheimer e mettevo su FB un link http://www.vita.it/welfare/anziani/la-sfida-del-prendersi-cura.html che parlava del problema. Veniva lanciato un autentico allarme a livello globale con previsioni che dovrebbero essere prese in seria considerazione dalla politica. Ma ormai la politica, anche quella più innovativa, non va oltre considerazioni che riguardano i prossimi mesi o il prossimo quinquennio, tutto il resto sarà problema di altri come se i giovani attuali non dovessero vivere tra trent’anni. Noi vecchi potremmo far spallucce, proprio i giovani maturi dovrebbero considerare seriamente questi problemi.
Chi ha letto il mio pezzo sulle case di riposo sa come la penso: questo ambito non solo è un grave problema imminente e tale da mettere in pericolo la qualità della coesione sociale ma piuttosto potrebbe diventare una leva economica che, creando lavoro, migliora anche la condizione dei giovani, che saranno tra non molti anni anziani.
Come capite, rifletto su queste cose sia perché mi spiace vedere il mio paese in decadenza sia perché non vedo in giro idee e proposte convincenti per affrontare questi problemi. Allora incomincio a fantasticare e fare mentalmente calcoli e simulazioni alla ricerca di soluzioni.
Oggi voglio esporre due idee, elaborate secondo il metodo del conto della serva e che spero sia smontata o migliorata da qualche lettore.
Quanto mi potrebbe costare assicurarmi contro l’eventualità di un ricovero ospedaliero presso una clinica specializzata se diventassi del tutto non autosufficiente?
Conti della serva: ho 65 anni, sopravvivenza media di 16 anni, probabilità di malattia gravemente invalidante 50%, permanenza media in clinica di 12 mesi, costo medio mensile in clinica 5000 euro. Ebbene per assicurarsi questa prestazione in queste condizioni mi costerebbe circa 147 euro al mese da questo momento vita natural durante. Sono conti imprecisi ma questo è l’ordine di grandezza e se in giro ci fosse una società assicuratrice che mi proponesse una cosa del genere non avrei alcun dubbio, pagherei volentieri perché liberei i miei cari dalla preoccupazione di eventi di cui non si parla ma che alimentano le nostre paure e qualche tristezza. L’effetto economico banale è che sarei meno vincolato a conservare un gruzzolo liquido per le incertezze di una vecchiaia prolungata e questi soldi congelati dai vecchi impauriti si renderebbero disponibili per investimenti e traffici in cui i giovani potrebbero ritrovare lavoro e voglia di scommettere.
Qualcuno dirà che così rinuncio alla assistenza sanitaria pubblica per tutti, egualitaria ed efficiente. Vorrei tanto crederci ma se tutti, dicasi tutti, reclamano l’abbassamento delle tasse, il non pagamento dei contributi, la riduzione del cuneo fiscale forse l’approccio assicurativo è l’unico che potrebbe salvarci dalla rovina.
In effetti questa idea e la successiva sono figlie non dell’approccio assicurativo visto come finanziarizzazione di una scommessa, ma di una idea mutualistica della società per cui da soli non ci si salva, condividendo i rischi si riesce ad attutire il colpo.
La seconda idea si applica ad un problema molto simile al precedente e che riguarda l’utilizzazione del denaro liquido che un anziano ha messo da parte per la vecchiaia e che deve essere oculatamente amministrato per vivere meglio, avanzando il giusto per gli eredi senza sacrificarsi troppo o senza sperperare facendo una fine da indigenti.
Su un sito http://www.morningstar.it, che seguo da tempo e che analizza gli andamenti dei fondi di investimento, la settimana scorso è stato affrontato in alcuni post la questione delle strategie di investimento necessarie per finanziare il periodo di inattività della vecchiaia, prima, quando si accumula, e dopo, quando si spende.
http://www.morningstar.it/it/news/111896/tutti-i-passi-da-fare-prima-e-dopo-la-pensione.aspx
Durante l’altra grande crisi finanziaria degli inizi anni novanta, avevo 45 anni, si disse con chiarezza che il sistema pubblico non avrebbe potuto garantire il mantenimento del tenore di vita del periodo di attività lavorativa e che quindi era necessaria una previdenza complementare da costruirsi con risparmi aggiuntivi per i quali la fiscalità consentiva degli sgravi allettanti. Nella crisi attuale, vent’anni dopo, questo aspetto, la necessità di accantonare risorse per la vecchiaia poiché nulla si crea per magia stampando moneta o siglando accordi sindacali o approvando leggi, non compare affatto nel dibattito politico, anzi prevale o un atteggiamento rinunciatario e neopauperista di chi dice di poter sopravvivere con poco senza TAV, senza carne … senza gli eccessi del consumismo capitalista, oppure esplode un risentimento violento, una invidia aggressiva, una irrazionalità ottusa che porta a scegliere il rovesciamento del tavolo, la catastrofe, il default come prospettiva preferibile. Parlo evidentemente dei grullini. Meritoriamente, ma facendo evidentemente il suo mestiere, Morningstar.it richiama questa dimensione economico finanziaria del problema cercando di parlare sia agli anziani che ora devono mangiarsi oculatamente la torta, sia ai giovani che la torta se la devono preparare.
Ma veniamo alla mia idea. Se ora dispongo di 100.000 euro quanto potrei spendere al mese se voglio pensare al futuro? quanto potrò ancora vivere? potrei assumere la previsione statistica, supponiamo 17 anni e dividere la torta in 17×12 parti, circa 500 euro al mese, (conti della serva senza calcolare gli interessi che potranno nel frattempo maturare) ma a 82 anni rimarrei a secco … Ovviamente il problema si potrebbe risolvere se una società assicuratrice accettasse di trasformare la mia somma in una rendita vitalizia caricandosi i rischi dell’incertezza. Ma questo, a quel che mi risulta non è possibile a meno che i 100.000 euro, il capitale da convertire in rendita, non sia stato accumulato nel tempo con un contratto pluriennale presso la stessa assicurazione. Ciò che succede allora è che le liquidazioni o i risparmi sul conto corrente all’inizio del pensionamento danno un po’ di ebrezza, ci si sente ricchi ma gradualmente e rapidamente la prospettiva del fine vita raggela la voglia di spendere e si diventa spilorci e si finisce con il vivere male lasciando troppi beni agli eredi.
Che succederebbe se un centinaio di anziani pensionati facessero cassa comune mettendo insieme i loro 100.000 euro o anche delle cifre inferiori? ciascuno potrebbe incassare in ragione dell’età e del sesso, cioè in relazione all’aspettativa di vita; nel mio caso potrei incassare circa 500 euro al mese mangiandomi progressivamente non solo gli interessi ma anche il capitale (sarebbero solo 250 se mi basassi sugli interessi) senza paura di restare a zero alla scadenza degli 82 anni: in caso di premorienza ciò che rimane resta ai più fortunati e chi supera la soglia statistica vive con quello che lasciano i premorienti.
Ovviamente la lista dei partecipanti dovrebbe rimanere assolutamente riservata.
Temo che le due idee siano ovvie banalità ma perché non affrontare queste questioni uscendo dall’isolamento familista e dall’egoismo competitivo per cui quello che è mio è della mia famiglia e non può servire a cerchie più estese che possono condividere problemi simili in modo mutualistico?
Categorie:Economia e finanza, Riflessioni personali
Probabilmente uno stato con la S maiuscola che ci tartassa d’imposte fin dalla nascita non dovrebbe nemmeno spingere persone come lei a tali riflessioni.
La questione non è nel merito ma nel metodo.E purtroppo al di là delle questioni accademiche e delle buone intenzioni quello che và riformato è l’intero sistema statale…deficitario di tutto fin dalla sua nascita di stato nel 1945…e trascinandosi nei decenni dopo in quello cheè oggi…uno pseudo-stato che scarica sulle famiglie gli oneri a lui propri…
“lo stato DEVE pensare ai propri cittadini dalla culla alla crescita fino alla bara….
Utopiax utopia = utopia al quadrato…
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Grazie del commento. Ma nulla si crea e nulla di distrugge. Se da alcuni decenni la parola d’ordine è di pagar meno tasse e di alleggerire il peso dello stato è inevitabile che si riducano i servizi. E’ quanto è già accaduto dagli anni novanta e quanto ora sta bruscamente accadendo per effetto della crisi produttiva. Possiamo urlare al vento i nostri diritti, possiamo ‘mandare tutti a casa’ ma nessuno può creare dal nulla le risorse, a meno che non si creda ancora alla favola che stampando moneta si mangia pane. Ha ragione, la mia forse è un’utopia ma più realistica e fattibile di quanto non si creda. Siamo al passaggio di una fase storica in cui abbiamo toccato i limiti dello sviluppo e molte cose della nostra vita corrente dovranno essere riviste perché siano compatibili con la sopravvivenza della specie. Una strada possibile, se non vogliamo uno stato forte e totalitario che provvede a tutti i nostri bisogni dalla culla alla bara è una visione più comunitaria e condivisa che consenta di utilizzare collettivamente le risorse di troppo che abbiamo accumulato e che ci impicciano senza darci sicurezza e serenità. Solo così potremo vivere bene con stati più smilzi ed economici.
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