Oggi provo ad usare il convertitore FM. Ieri l’intervento di Letta alla direzione PD mi era sembrato interessante e positivo. Oggi leggendo le cronache e i commenti prevalgono gli accenti pessimistici e la preoccupazione. Perché il mio lettore lo sappia io parteggio per Henry, ma qualche mio amico mi disse che io parteggio sempre per i perdenti.
Che tra i due contendenti, Henry e Mattia in gradasso, sia in atto un duello all’ultimo sangue è probabile; per capire però come andrà nelle prossime settimane dobbiamo tornare indietro.
Torniamo alla scalata di Renzi alla segreteria del partito. Bersani che aveva scelto di non andare alle elezioni nell’autunno 2011 sotto lo sferzare della tempesta dello spread salito a quota 500, aveva accettato un governo tecnico lacrime e sangue presieduto da Monti. Il programma di quel governo era quello di scontentare simmetricamente le due fazioni in cui era diviso il paese. Cioè scontentò, come promesso, tutti ma assunse su di sé, dato che la memoria degli italiani è simile a quella di un pesciolino rosso, tutta le responsabilità della crisi che da finanziaria stava diventando sociale intaccando lo status anche della media borghesia ai cui figli era ormai tolta la speranza.
Berlusconi, i suoi alleati leghisti e fascisti riapparvero come formazioni nuove e rinnovate prive della responsabilità del fallimento economico e morale del loro ventennio di potere. Nella sinistra i sacrifici e le privazioni provocarono disaffezione, scontento, desiderio di efficacia, di risolutezza, di novità e gioventù.
Renzi impersonò queste spinte e tentò inutilmente di scalzare il vecchio e flemmatico zio Bersani attraverso le primarie. Bersani vinse le primarie, ma arrivò fiaccato alle elezioni lasciando scappare dalla sua area quegli elettori più inquieti ed esigenti che volevano mandare tutta la classe politica a casa. Monti cadde nella trappola della seduzione del potere entrando nella mischia disperdendo ulteriormente i voti e, complice una legge elettorale pensata per bloccare la sinistra, venne eletto un parlamento incapace di esprimere una maggioranza che desse un governo al paese.
Il M5S, vera novità di quelle elezioni, congelò i suoi voti, nel PD emerse una schiera di 100 felloni che nel segreto dell’urna fece saltare l’elezione del nuovo presidente della repubblica costringendo il povero Napolitano, che aveva già fatto le valige, a rimanere a servire la nazione dal Quirinale.
Letta, il vice di Bersani, fu chiamato a formare un governo del presidente che doveva consentire al parlamento di modificare la legge elettorale e ridurre i costi della politica eventualmente anche con riforme costituzionali. Vendola ruppe l’alleanza elettorale con il PD e si unì alle opposizioni del nuovo governo Letta ovvero a M5S, Leghisti e Fratelli d’Italia. Bersani pagò la sconfitta e venne celebrato il congresso del PD con un complesso e lungo cerimoniale mediatico che incoronò con percentuali bulgare Renzi segretario del partito. Letta si rivelò un fine politico vecchio stampo, prudente ed attendista, paziente e tenace, tenace quanto basta per determinare la deflagrazione del PDL e l’uscita dell’ingombrante pregiudicato dalla maggioranza di governo rendendo di fatto impossibile le riforme costituzionali per le quali è necessaria una maggioranza qualificata.
Renzi partì allora a passo svelto prevedendo una road map stringente fatta di scadenze precise e chiedendo a tutti, in particolare al governo, di mettersi allo stesso passo rompendo il passo cadenzato di Letta. Aggredisce il problema più ostico giocando da solo la partita con Berlusconi e di fatto risuscitandolo politicamente. Ma i cento felloni stanno zitti e si nascondono, nulla viene detto di loro, ma la loro forza aleggia su un parlamento sopraffatto dagli impegni che provengono da un governo che decreta in continuazione e da partiti che spingono per leggi fondamentali quasi da assemblea costituente.
Ieri il convertitore MF mi faceva pensare all’esistenza di un accordo tra i due che prevederebbe una staffetta concordata per elezioni nel ’15 dopo le quali Renzi va al governo. Oggi il convertitore FM mi porta a pensare che una guerra guerreggiata sia in corso, che Letta abbia assunto la posizione wellingtoniana, che Renzi ha rimandato l’attacco al 20 febbraio sperando in un logoramento ulteriore dei lettiani arroccati in difesa. Ma Renzi ha scoperto il fianco a cavalieri senza insegne che scorrazzano sul campo di battaglia e che con un bel voto segreto potrebbero infliggere dure perdite ad uno dei punti di forza dell’esercito renziano, la legge elettorale. Insomma i due giovani democratici stanno giocando una drammatica battaglia dagli esiti imprevedibili. Sono entrambi nelle mani di una piccola schiera di franchi tiratori incappucciati che potrebbero sparigliare tutti i giochi a favore del giullare casto e puro che si atteggia a difensore della coerenza costituzionale.
Purtroppo il cupio dissolvi è una sindrome ormai diffusissima, tanto peggio tanto meglio non lo dicono solo coloro che non hanno nulla da perdere ma anche coloro che pur di non perdere nulla accettano il rischio di perdere tutto. L’emozione sta prendendo il sopravvento.
Per continuare a ragionare senza paraocchi consiglio di leggere due post: il primo è una sintesi, simile a questa presentata nelle mie riflessioni, di Paolo Giunta La Spada che ha ripreso a scrivere nel suo blog, la seconda è una ricostruzione della staffetta tra Prodi e D’Alema di Fabrizio Rondolino.
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