A volte temo di perdere tempo e di isolarmi eccessivamente dalla realtà stando dietro al mio blog e ai social network. Ma questa mattina in questa piazza virtuale ho fatto degli splendidi incontri.
Ho letto un post di un docente della mia ex scuola che consiglio di leggere per intero.
(…) Se si vuole salvaguardare la democrazia in Italia si deve creare una forza liberale, democratica, antifascista, capace di lottare per i diritti democratici, per la partecipazione politica alle scelte del Paese, per la ricostruzione di un Paese che ritrovi motivi fondanti, programmi, futuro.
Se si vuole un Paese di cui essere orgogliosi è necessario fare i conti con la storia e con il passato:
non solo il passato di un fascismo che si tenta vergognosamente e scandalosamente di riabilitare, ma tutti i “passati”: quelli del riciclo post seconda guerra mondiale dei fascisti nel PCI, quelli dei finanziamenti URSS al PCI da Stalin al 1989, quello delle connivenze del PCI e suoi derivati più recenti con le tangentopoli dei tempi moderni.
Non si tratta quindi nè di superare i concetti di Destra e Sinistra, nè di rilanciare una Sinistra con tutto il suo vecchio apparato di slogan vecchi un secolo, ma di ripartire dal percorso ideale della nostra Repubblica nata dall’esperienza e dalla cultura della Resistenza e della libertà.
Non credo in un nuovo partitino che, con fondamenti ideologici assai incerti e discutibili, e pieno zeppo di ex del mondo vetero-comunista, possa nascere alla sinistra di Renzi.L’alternativa al liberismo selvaggio, alla legislazione di emergenza, all’attacco costante ai diritti dei lavoratori, non passa per un ritorno a ideologie superate dalla storia e a vecchi modi di fare politica. ….
Caro Paolo, grazie per questa bella analisi della nostra situazione politica, quasi un manifesto programmatico di chi pensa alle nostre difficoltà e sogna una soluzione duratura e positiva. Condivido tutto ma temo che ci siano alcuni fatti che rimangono in ombra nella tua analisi.
Le matrici ideologiche esistono in ciascuno di noi e nei grandi aggregati umani, la nostra educazione, le abitudini, i legami familiari, i simboli, la cultura, le credenze religiose sono un substrato forte e stabile che attraversa i decenni e le crisi e riaffiora con una forza razionalmente inspiegabile. Lo vediamo in questi giorni nei giovani europei e non che vanno in guerra a fianco dell’ISIS. Berlusconismo, renzismo sono sovrastrutture passeggere mentre la dissoluzione della famiglia tradizionale è un processo lungo che avrà effetti radicali per molto tempo, ma questo è solo un esempio.
L’Italia non è più e non potrà essere un sistema isolato, i confini non esistono più né per i poveracci disperati, né per i qualificati, né per i ricchi, né per le idee, né per i beni, né per i capitali. Questo vuol dire che qualsiasi soluzione istituzionale e politica, ad esempio la democrazia liberale che tu sogni, deve considerare questa prospettiva nuova e cioè che i nostri confini sono il mondo.
Ciò comporta che l’Italia condivide in quanto nazione ricca l’urto della storia che presenta il conto salato e amaro dell’esaurimento delle risorse del pianeta, dei limiti dello sviluppo demografico ed economico. La crisi attuale non è passeggera è sistemica, è quella crisi che negli anni 70 del secolo scorso il club di Roma aveva previsto con estrema precisione e che con grandi sforzi e sacrifici il pianeta è riuscito sin qui a ritardare e a ridurre. La gente anche se non ha letto i rapporti dell’ONU e del club di Roma sente il disagio di questa prospettiva e va dietro a nuovi condottieri che danno sicurezza e speranza. Così tutti dietro a Grillo, poi dietro a Renzi, poi dietro a Landini … ma la tua visione liberale di storico colto e prudente non convince la pancia della gente impaurita e delusa.
Tu giustamente ci richiami alla Costituzione e alla Resistenza: dal profondo dell’abisso di un paese devastato da una guerra persa, il popolo prese le armi, difese la patria a prezzo della vita e scelse per sempre la democrazia rappresentativa in cui tutti dovevano avere pari dignità. Quella scelta fruttò a noi e ai nostri figli un lungo periodo di pace e prosperità ma ora stiamo dimenticando quel lascito, pensiamo che ci sia tutto dovuto senza ricordare che tutto ha avuto un prezzo.
Scusa queste considerazioni forse disordinate ma sono emerse più dall’emozione per quanto scrivi che dal ragionamento documentato.
(…) C’è ancora un tema che desidero esaminare brevemente e che è diventato di attualità tra le persone riunite per tre giorni alla Leopolda. Una riunione di fatto di molti politici renziani, di data antica o recente. Ad un certo punto di quella riunione Renzi ha detto una battuta piuttosto feroce nei confronti dei cosiddetti intellettuali che vengono spesso applauditi. Ed è giusto farlo, ha aggiunto il leader leopoldiano, ed ha battuto tre o quattro volte le mani. Era evidentemente un motto di spirito e come tale è stato interpretato dai presenti i quali hanno anche essi tributato agli intellettuali un ampio applauso-sberleffo e subito dopo l’hanno trasformato in una lunga orchestra di fischi e lazzi di vario genere. Che avessero ragione? Che gli intellettuali siano dei vecchi o dei giovani bacucchi, delle impettite e spesso inutili presenze e supponenze? Che non siano mai stati loro a fare la storia, a prevedere un imprevedibile futuro e a sostenere a proprio vantaggio un passato che meriterebbe di essere collocato in soffitta o in cantina? Questo, per quel che vale, hanno detto Renzi e i suoi accoliti e su questo sono stato indotto a riflettere.In effetti, tra le due guerre del secolo scorso e poi con sempre più opere e approfondimento conoscitivi, nacque a Parigi L’École des Annales, di cui maggiori ispiratori furono Bloch e Febvre e alla quale collaborarono Levi-Strauss e Foucault. Questa scuola – ovviamente fatta di intellettuali – sosteneva la tesi che comunque non fossero i singoli, le persone con un nome illustre, gli eroi, i poeti, gli scrittori di tragedie o commedie, i letterati a fare la storia, ma piuttosto i ceti sociali, le numerose etnie, i ricchi, i poveri. Bisognava aver letto Ricardo e Malthus e magari Marx ed Engels per capire chi e come fa la storia. Fossero anche i renziani, che considerano il presente come la sola vera realtà. Attenzione: non Renzi (che è il nome di un singolo) ma i renziani che rappresentano la cornice di un quadro dentro al quale ciascuno può fare un segno, disegnare un paesaggio, ravvivare un colore. È questa la realtà? E coloro che si pretendono e sono intellettuali non si amareggiano d’esser fischiati o tutt’al più ignorati? Ci ho pensato a lungo e poi mi sono chiesto: chi sono gli intellettuali? Quelli che intelligono, cioè capiscono. Capiscono se stessi e gli altri, tengono abbassato il ponte levatoio tra il dentro e il fuori. Fanno la storia. Sì, la storia la fanno loro e sono di parola. Vogliamo dirne i primi nomi? Vogliamo cominciare da Omero? Da Esiodo? Da Solone? E poi avanti, fino a Dante, Petrarca, Boccaccio, Marlowe, Shakespeare, Rabelais, Cervantes, Montaigne; e finendo il nostro elenco che potrebbe durare chissà quanto, con Einstein, Freud, Nietzsche? Ce ne sarebbero pareti e pareti della Leopolda dove stampare alcuni di questi nomi. Forse perfino quello di Renzi. Lui è convinto di essere l’uomo della storia di oggi. Attento però: la storia si può far bene oppure male. Da soli si fa male. Ci vuole una squadra. Una squadra senza un nome non ha senso. Un nome senza squadra meno ancora.
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