L’incertezza della verità

Devo scrivere meno su questo blog, forse farei meno brutte figure. Dopo le due false attribuzioni di due brani, ora un mio lettore in un commento mi segnala che il post precedente sarebbe una nuova bufala.

Gli ho risposto:

Non so dire se questo testo sia una vera e propria bufala, il solito falso che ormai la gente si diverte a costruire per aumentare la confusione e diffondere paura e diffidenza. In realtà sul sito delle bufale, che citi, si denuncia genericamente il fatto che si stia ingigantendo una nuova psicosi circa la diffusione aerea del virus e che occorre qualche mese perché si disponga di studi scientifici affidabili che dimostrino la cosa. Ma nel frattempo muoiono migliaia di persone e non costa nulla fare ipotesi più stringenti sulle precauzioni più opportune da rispettare. Continuo a diffondere notizie e testi che mi sembrano costruttivi e positivi, che non diano false speranze né alimentino il panico. Favole? ben vengano se sono utili per sperare.

In realtà questa mattina mi ero svegliato con l’intenzione di scrivere qualcosa sulla questione della diffusione del virus.

Ci sono alcuni fatti certi che pongono dei problemi:

  1. come si spiega la concentrazione del virus in pianura padana?
  2. come si spiega un così alto numero di infettati tra il personale sanitario, anche tra coloro che lavorano nei reparti riservati al virus?
  3. perché non abbiamo visto subito, dopo una decina giorni dall’adozione delle misure di confinamento, un chiaro gradino della curva dei nuovi contagi?

Pensandoci su, mi sono detto che occorre ricordare sempre che abbiamo a che fare con un fenomeno che riguarda un sistema altamente complesso in cui le variabili interagenti sono tantissime, poche delle quali sono determinanti, ma ciò non ci esime dal ricercare nuove relazioni, testare nuove ipotesi e falsificare qualche certezza.

La tendenza è di dare la colpa alla indisciplina di noi italiani, io sono tra quelli che lo pensano, ma questo non basta. Ebbene nella mia riflessione mattutina ero arrivato alla conclusione che la trasmissione non avveniva solo nelle modalità sinora previste, il contatto prolungato con un infettato, la contaminazione delle mani e degli oggetti che tocchiamo ma doveva avvenire anche attraverso l’aria anche se siamo alla distanza di sicurezza prevista. Per questo il testo del post precedente mi è sembrato verosimile perché considerava anche il pericolo insito in un ambiente saturo di goccioline infettanti in aerosol per qualche ora dopo il passaggio dell’individuo contagiato. Questo mio sospetto confermerebbe il pericolo presente nei trasporti pubblici al chiuso (metro e treno con aria condizionata), negli ambienti affollati anche se i presenti sono distanziati. Proprio ieri sera vedevo un servizio sulle misure vigenti in Corea in cui sui mezzi pubblici possono salire solo coloro che sono senza febbre e che hanno un bollino verde esibito con una app sul telefonino.

Ovviamente se questo sospetto fosse provato, per entrare in ambiente chiusi con altre persone, pur distanziate, magari in presenza di un ricircolo d’aria con un condizionatore, occorrerebbe indossare una mascherina che sigilli bocca e naso e filtri l’aria.

Saremmo tutti più tranquilli se nuove norme e nuovi strumenti riuscissere o stoppare il contagio tra il personale e le forze dell’ordine. Ovviamente la casualità insita dell’individuo distratto o pasticcione è ineliminabile ma un effetto dovrebbe essere riscontrabile se la modalità di contagio fosse diversa da quella ipotizzata finora.

Leggo oggi su Post che questi miei sospetti non sono infondati e ci sono gruppi di ricerca che stanno studiando la cosa.

C’è una quarta cosa che non ha una chiara spiegazione: il caso degli infettati asintomatici che guariscono senza che se ne accorgano. Non è dato sapere quanti siano ma il caso dei donatori di sangue lombardi del tutto sani che in realtà avevano sviluppato anticorpi in una percentuale molto elevata fa pensare che possano essere moltissimi, almeno nella pianura padana. Questo sarebbe una buona notizia perché potremmo scoprire che la numerosità degli immunizzati potrebbe essere abbastanza alta da rallentare da sola la diffusione del virus e riporterebbe la letalità della malattia ai livelli paragonabile ad altri paesi. Cosa c’entra con l’aria?

Se l’effetto del contagio fosse proporzionale alla quantità di virus entrati nel nostro apparato respiratorio, un individuo che ne avesse respirato una concentrazione molto esigua nell’aria avrebbe più probabilità di far fuori i pochi virus entrati rispetto a colui che ha respirato profondamente per un’ora e mezzo le goccioline del compagno di partita vociante e urlante. Basti ricordare la storia del paziente 1 e 2 di Codogno.

Elucubrazioni di un anziano di prima mattina in epoca di confinamento.



Categorie:Coronavirus, Immuni

3 replies

  1. caro Raimondo,

    vedo che, a distanza, stiamo discutendo di problemi simili.

    purtroppo c’è una bruttissima notizia: secondo gli ultimi studi, sembra che gli anticorpi riescano a difendere soltanto per un mese o due da questo virus chi l’ha già incontrato…

    forse perché si trasforma molto velocemente,come quello del raffreddore? non lo so e mi auguro che la cosa non sia vera perché apre scenari terribili.

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