I pasticci del Rosatellum

Ho riproposto la lettura di ciò che scrivevo 5 anni fa sia per risparmiare energie sia per mostrare come la situazione attuale sia terribilmente identica, basta cambiare qualche nome dei protagonisti per capire che ciò che accadrà il prossimo 25 settembre è già scritto nei meccanismi perversi previsti dalla legge lasciataci del renzismo. Ad esempio 5 anni fa, per il PD di allora, la rinuncia a candidare deputati e senatori di grande valore ed esperienza determinò una perdita di consenso, così come ora per il M5S, la non candidabilità dopo il secondo mandato è una scelta autolesionista irrispettosa degli elettori che dovrebbero essere i giudici ultimi di chi merita di essere confermato.

La legge elettorale rosatellum consente di decidere a priori chi sarà eletto, nomi e cognomi, e, se le scelte dei candidati nei singoli collegi uninominali saranno abbastanza furbe, l’esito finale della competizione sarà deciso in queste ore, prima del deposito delle liste dei candidati.

Se analizziamo i risultati dei sondaggi ci rendiamo conto che destra e sinistra sono in equilibrio sostanzialmente stabile negli anni. Ovviamente il confine tra le due aree è incerto ed è occupato da varie forze che sono concupite dai due poli opposti per arrivare al fatidico 50%. La Meloni da sola non va da nessuna parte, ma nemmeno con Salvini e Berlusconi potrebbe arrivare a superare il 40% del consenso, ha disperato bisogno di Lupi e dell’UDC ed è per questo che, pur con un esiguo numero di seguaci, questi possono dettare le condizioni di un accordo. Analogamente vale per la sinistra.

Il territorio nazionale è suddiviso in collegi elettorali definiti sulla base delle strutture amministrative (regioni, comuni, città) che eleggono propri rappresentanti in base al numero degli abitanti aventi diritto al voto. La vera novità di queste elezioni è la riduzione degli eleggibili e quindi del numero dei collegi elettorali che sono perciò più estesi del passato con nuove aggregazioni di realtà locali che sinora erano separate. In ogni collegio saranno assegnati seggi in un numero dipendente dagli aventi diritto al voto, uno di questi, detto uninominale, è assegnato con il criterio maggioritario e mentre i rimanenti seggi sono assegnati con il criterio proporzionale.

Il numero dei collegi previsto è tale per cui circa un terzo dei seggi per ogni camera è assegnato con il criterio maggioritario: basta un voto in più degli avversari per aver assegnato il seggio uninominale. Gli altri 2/3 dei seggi sono assegnati con il calcolo proporzionale sulla base di tutti i voti raccolti da ciascun a lista a livello nazionale. Nella scheda l’elettore deve scegliere un candidato uninominale e solo una delle liste a lui associate senza poter esprimere delle preferenze sui singoli candidati delle liste. Non è possibile il voto disgiunto cioè non è possibile scegliere un candidato uninominale di una coalizione e la lista associata ad un’altra coalizione. Da qui nasce la necessità per tutti i partiti di presentarsi coalizzati con altri, anche abbastanza differenti, per poter sperare di vincere qualche seggio uninominale.

Se una forza politica X vale ora nei sondaggi il 10% dei voti, senza un accordo di coalizione prenderebbe il 10% del 70% dei seggi proporzionali quindi varrebbe in parlamento il circa 7% mentre se si accorda con altri in una coalizione abbastanza grande, la cui somma delle percentuali delle singole liste ottenute nei sondaggi supera la soglia raggiunta da una coalizione avversaria, potrebbe sperare di condividere il bottino di una coalizione che potrebbe arrivare a vincere anche il 100% dei seggi uninominali; la forza X potrebbe chiedere per i propri candidati almeno il 10% dei seggi uninominali che sono il 30% del totale. In pratica potrebbe avere almeno quel 3% dei seggi che gli consente di entrare in parlamento almeno con il suo 10%. In queste ore è aperta la trattativa nelle coalizioni per decidere come ripartire i collegi tra le singole forze coalizzate. Inutile considerare ora i programmi, non servono per vincere, conta soprattutto distribuire bene i seggi uninominali che consentiranno di fare la differenza e di avere la maggioranza in parlamento, o meglio, che consentiranno alle singole forze di massimizzare le proprie posizioni perché dopo le elezioni, amici come prima, ciascuno andrà per la sua strada.

Ci siete ancora? mi rendo conto che questo mercato deluda chi vive di sani principi ma questo è il potere. Oggi in TV Bersani ha dovuto essere più esplicito sulla posizione assunta dal suo gruppo nell’aderire alla lista ‘democratici e progressisti’. Una cosa è una lista, in cui sono confluite forze relativamente affini intorno al PD ed altra invece è una coalizione in cui la differenziazione tra i contraenti può essere più grande. Ogni lista può partecipare a una coalizione senza perdere troppo la faccia cioè senza compromettere troppo la propria identità. L’eventuale incoerenza interna alla coalizione è giustificata dall’obiettivo di battere la coalizione avversaria nei seggi uninominali. Quindi nessuno scrupolo per Bersani a stare con Calenda se serve a battere la Meloni, anzi, visto che potrebbe essere vitale anche il contributo di altre forze piccole non vedeva perché non fosse possibile accettare nella coalizione anche i 5 stelle; dopo le elezioni ciascuno avrà mani libere per formare il nuovo governo. Bersani non ha detto le cose in modo così netto ma la sostanza era questa: queste elezioni non sono delle Olimpiadi in cui è solo importante partecipare ma una guerra all’ultimo uomo in cui potrebbe essere in pericolo la democrazia e la Costituzione.

Non invidio Letta che deve giocare una partita molto complicata: accogliere alcuni transfughi dalla destra, altri dai 5 stelle, allearsi con leader con cui aveva litigato aspramente, infiammare i cuori di una armata Brancaleone abituata a combattere battaglie politiche locali poco impegnative. Avevo sostenuto che la vittoria della Meloni è tutt’altro che sicura ma questa situazione del centrosinistra vista più da vicino con questi protagonismi insanabili mi preoccupa un po’.

Al momento, se Renzi e Conte gareggiassero da soli, nessuna delle due coalizioni potrebbe raggiungere la maggioranza assoluta poiché Renzi e Conte potrebbero prendere voti a sinistra e a destra, ma la lista democratici e progressisti potrebbe essere addirittura la prima rispetto alla Meloni che in questo momento deve polemizzare con gli alleati per ottenere più spazio. La lista costruita da Letta in queste ore potrebbe essere investita del compito di costituire il governo (come era accaduto a Bersani) senza che la coalizione abbia vinto di suo e quindi Letta potrebbe di nuovo dipendere dai voti di Renzi e dei 5S. A meno che La Meloni non riesca a ottenere nell’accordo di queste ore nel centro destra propri candidati nella gran parte dei seggi uninominali e quindi risultare la prima lista a cui viene affidato il compito di formare il governo.

Questi pasticci della legge elettorale che valorizzano il cinismo della gestione del potere per il potere sono all’origine della disaffezione degli elettori. Perché votare se questi giochi complicati possono configurare il nuovo parlamento sulla base di accordi preventivi tra le segreterie dei partiti?

PS mattina del 28 luglio. Letta apre a Renzi dicendo che la coalizione di sinistra è preclusa solo a chi ha votato contro il governo Draghi, Meloni ha ottenuto che i suoi candidati siano presentati nel 50% dei seggi uninominali, a questo punto il valore dei singoli candidati presentati dalla Meloni in questi seggi farà la differenza e renderà possibile il successo di FdI anche se la coalizione di destra non ottenesse la maggioranza assoluta.



Categorie:Politica

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