Festeggiare il 25 aprile

Sembra che i nuovi governanti debbano superare un nuovo esame il prossimo 25 aprile; da loro si pretende che festeggino una ricorrenza che loro intimamente e manifestamente hanno sempre detestato. Appartengo alla generazione dei baby boomer, nato nel 1948 alla fine di una guerra tragica. Noi boomer siamo nati da genitori educati dal fascismo a difendere i sacri confini, a civilizzare le colonie, a spezzare le reni alla Grecia e dare lezioni alla Russia. I nostri padri erano giovani soldati che alla fine capirono che non si doveva accettare la coscrizione della repubblica di Salò, che la patria doveva essere riscattata dalla vergogna della cieca violenza del nazismo e dei collaborazionisti italiani. Il 25 aprile si ricorda la liberazione di Milano e il prevalere di una parte di italiani su quella che era stata responsabile del disastro, i fascisti. Una parte degli sconfitti rimase fedele ai propri ideali ma, in virtù delle disposizioni provvisorie della nuova Costituzione repubblicana, non poté ricostituire un partito fascista e per questo si riunì nel Movimento Sociale che aveva nel suo simbolo non il fascio littorio ma una fiamma tricolore che forse era lo stemma del corpo degli Arditi o più probabilmente la fiamma che arde sulla tomba di Mussolini. Insomma una parte di italiani rimase fedele al ventennio e in tutti questi anni militò in formazioni politiche minoritarie rimaste al margine dell’arco costituzionale.

Da bambino, alle elementari, nulla sapevo del fascismo ma qualcosa conoscevo della guerra sia tramite  i racconti del nonno circa la prima guerra mondiale sia attraverso i manifesti appesi alle pareti delle aule che illustravano i rischi per i bambini nel ritrovamento di ordigni bellici. Frequentavo la scuola media quando conobbi una anziana signora vicina di casa, per la quale andavo giornalmente a comprare il latte,  che era vedova di un antifascista picchiato abbastanza da rimanere invalido e morire prematuramente. Di lui raccontava che era coetaneo e amico di De Gasperi e che avrebbe potuto essere un gran personaggio della DC. Al liceo cominciammo a classificare i nostri docenti in base alle loro idee politiche, il prof di filosofia era stato fascista ma ora era un sincero democratico, la giovane prof di italiano era militante missina, ma, soprattutto, mi resi conto dell’esistenza di un gran numero di miei coetanei militanti in gruppi neofascisti, gruppi che incutevano un certo timore in giovani come me che erano poco inclini a scontrarsi con qualche scazzottata. Nella biblioteca del circolo studentesco di cui vi ho raccontato scoprii alcuni libri legati alla Resistenza la cui lettura [1]la resero ai miei occhi una epopea quasi romantica in cui giovani generosi si erano sacrificati per ridare dignità all’Italia. I movimenti studenteschi del ‘68, il terrorismo, l’eversione di istituzioni infedeli fecero riemergere quel conflitto mai superato tra i nostalgici del fascismo e il resto delle forze politiche dell’arco costituzionale. Il fallimento del comunismo nell’est europeo e in Russia, la fine della crescita economica legata alla ricostruzione post bellica portarono ad una grave crisi delle forze democratiche italiane a cui Berlusconi diede una soluzione con una alleanza politica anticomunista che sdoganò la fiamma tricolore inserita a pieno titolo nei governi di centro destra. Il berlusconismo non amava la festa del 25 aprile, solo dopo molte insistenze Berlusconi indossò il fazzoletto del colore delle brigate liberali e celebrò ad Onna il 25 aprile in coincidenza con il terribile terremoto dell’Aquila.

Nel ‘95, con la svolta di Fiuggi, Fini cercò di costruire una forza conservatrice di destra di tipo europeo, sostenendo che il fascismo era ormai superato, una nuova forza che fosse coerente con una maggioranza di centro destra legata a Berlusconi. Fini fu però espulso dalla maggioranza berlusconiana e successivamente Crosetto, La Russa e Meloni diedero vita ad una formazione in cui il carattere conservatore di destra era accentuato. E’ storia recente la forte leadership della Meloni nella alleanza di centro destra a spese delle forze più liberali e centriste fedeli a Berlusconi. Ora i Fratelli d’Italia sono saldamente al potere, devono rimanere fedeli al nucleo più antico che non può dimenticare la sconfitta del 25 Aprile.

Molti di noi sentono la voglia di festeggiare una ricorrenza importante per la nostra vita ma altri coltivano idealità che li legano ad un passato familiare e personale diverso. Inutile continuare a sostenere  che il 25 aprile è la festa di tutti gli italiani.

Questa riflessione è basata su un racconto autobiografico di alcuni momenti che hanno segnato le mie posizioni sul fascismo, essa nasce dal rispecchiamento con quanto va sostenendo La Russa, mio coetaneo, che, diversamente da me, aveva un padre che lo educò al mito e agli emblemi del fascismo. Capisco che non abbia nessuna voglia di sfilare con i partigiani e con coloro che ne celebrano le gesta con una festa nazionale.


[1] Quel poco o tanto di cultura di sinistra, antifascista e laica che mi appartiene l’ho respirata in parrocchia, i miei professori di liceo erano tutti entrati in ruolo sotto il fascismo o giovani aderenti al movimento sociale. Solo per un anno avemmo un supplente di filosofia di chiara formazione laica. Tutti centravano la strutturazione della nostra cultura sui classici latini e greci con un approccio alla contemporaneità che però arrivava pudicamente e con qualche reticenza al fascismo e alla seconda guerra mondiale. È stato nel circolo studentesco parrocchiale che avemmo accesso ad autori contemporanei come Calvino, Alvaro, Bernanos, Steinbeck, Cronin, Bedeschi, Buzzati, Levi, Ginzburg, Silone, Mounier e tanti altri intellettuali i cui volumi erano ben custoditi in un armadio chiuso fuori dalla vista del parroco che avrebbe forse preferito una biblioteca più ricca di letteratura edificante sulle vite dei santi. (don Pirovano era un giovane vice parroco)



Categorie:Politica

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