Elezioni europee 2024 e premierato

Sarei curioso di sapere se la Meloni abbia dedicato qualche ora ad analizzare i risultati delle elezioni europee non solo per vedere se e quanto poteva contare nel nuovo parlamento europeo ma soprattutto per vedere se l’elettorato italiano mandava segni leggibili in vista della politica italiana dei prossimi anni.

Se l’avesse fatto accuratamente non avrebbe forzato i tempi per l’approvazione dell’iter del premierato senza avere fatto almeno un tentativo per allargare il consenso nell’attuale parlamento. Due sono i dati che avrebbe dovuto considerare: il tasso di assenteismo e la tenuta complessiva della sua maggioranza. L’astensionismo sta diventando cronico e penalizza tutti i partiti specialmente il suo che perde in assoluto più di mezzo milione di voti rispetto alle recenti politiche: se passasse effettivamente la riforma del premierato e se lo scontro elettorale avvenisse tra singoli leader come accade ora per l’elezione dei sindaci e per le regioni la Meloni potrebbe contare su un proprio partito che viaggia sul 25% dei votanti (13% effettivo) e una coalizione che raccoglie un magro 40% (20% reale) naturalmente se la sua coalizione rimarrà unita e coesa. Insomma la vittoria per lei non è affatto certa qualora l’opposizione si coagulasse intorno ad un leader convincente e l’astensionismo diminuisse.

Mi direte allora che la Meloni non sta facendo tutto ciò per prolungare il suo potere nella prossima legislatura, lo fa solo per nobili ideali politici. Ci credo molto poco, tutto fa pensare che questa fretta sia motivata dall’ansia di consolidare nel tempo l’attuale congiuntura favorevole per la destra e demolire un sistema democratico che non ha mai digerito. Ma la gatta frettolosa fa i gattini ciechi.

L’obiettivo dichiarato di questa riforma costituzionale è di assicurare la stabilità dei governi e restituire il potere di decisione al popolo che sceglie il suo capo. La fretta di questi giorni evita di affrontare la questione della legge elettorale, tutto dipende da come il popolo sceglie il capo. Se bastasse un voto in più, come accade per la scelta del sindaco nei piccoli comuni, l’attuale situazione rilevata dalle elezioni europee fotografa una disgregazione dell’elettorato in piccole formazioni per cui potrebbe vincere un personaggio che raccolga un 15% reale (l’attuale 30% di votanti effettivi). Un outsider come Vannacci ben appoggiato da media e social potrebbe scalzare una leader politica come la Meloni che pure ha dietro di sé un partito ma che attualmente riesce a convincere solo il 13% effettivo. Ma così non sarà perché dovranno prevedere una legge maggioritaria cioè una legge che consenta di creare una maggioranza parlamentare anche se il candidato premier e la coalizione che lo appoggia non raggiunge il 50% (come accade ora con l’attuale legge elettorale). Potrebbero riproporre una specie di legge Acerbo che consentì il trionfo di Mussolini, legge che regalava seggi sufficienti a raggiungere i 2/3 del parlamento alla lista che superava la soglia del 25% dei votanti. Mussolini fece un listone che raggiunse di suo il 60% e quindi non lucrò il vantaggio della legge Acerbo ma successivamente pensò bene di cambiare le regole elettorali prevedendo un plebiscito a favore solo del partito fascista.

Non riapro qui le discussione che facemmo anche su questo blog sulle leggi elettorali in occasione di analoga riforma costituzionale tentata da Renzi. In ogni caso sia con il modello inglese dei collegi uninominali o con il doppio turno alla francese o con il proporzionale con lo sbarramento alla tedesca in presenza di queste percentuali ripartite tra numerose forze politiche presenti nello scenario politico occorrerà prevedere alleanze e coalizioni preventive che non potranno far altro che indebolire qualsiasi leadership anche la più prestigiosa e la più carismatica. Se il capo che dovrà comandare per cinque anni in modo incontrastato parte zoppo perché è il frutto di una mediazione nelle segrete stanze (ciò che vorrebbe eliminare la Meloni con la sua riforma) il suo percorso di governo sarà accidentato con un parlamento non necessariamente obbediente ( come è successo in Israele nell’unico esperimento di Premierato, capo del governo eletto direttamente dal popolo). La Meloni si illude che per un parlamento riottoso lo spauracchio dello scioglimento anticipato riservato al capo, potrà ottenerne l’obbedienza ma … ancora una volta ciò dipende dalla legge elettorale perché se il capo non può designare i candidati lo scioglimento è un rischio soprattutto per il capo … e quindi si otterrebbe una stabilità inefficiente e inadatta a gestire i veri problemi del paese.

Quindi l’elezione diretta del capo del governo non assicura stabilità e tantomeno consente al popolo di scegliere e controllare il governo ma solo di firmare una cambiale in bianco senza alcuna forma di controllo in itinere da parte delle istituzioni che tradizionalmente esercitano i poteri tipici di una Repubblica parlamentare.



Categorie:Legge elettorale, Politica, Referendum costituzionale

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