Continuo a raccogliere appunti ed impressioni su giornate convulse nelle quali attraverso l’immediatezza del mezzo televisivo, di internet, del telefono sembra di vivere in prima persona vicende che hanno il sapore della storia. Mille fantasmi affollano la nostra memoria, accendono la fantasia e corrodono il nostro fegato.
E’ fatta. Impietosamente sono riusciti ad imporre ad una persona per bene, che pensava di aver assolto fino in fondo ai suoi doveri, di restare al pezzo fino alla fine, di morire sulla scena. Esattamente un mese fa avevo dedicato un post sugli effetti perversi di un eccesso di senso di responsabilità. Napolitano ha fatto malissimo a cedere sacrificandosi, non lo meritavamo, non lo meritavano quei guitti e quegli incapaci che erano lì a pietire. Perché i figli diventino adulti occorre che i padri sappiano dire dei no e sappiano tirarsi indietro o sparire dalla scena della vita. Detto ciò, sono immensamente grato a questo uomo eccezionale che spero possa vivere a lungo in salute.
L’altro personaggio che pecca in eccesso di senso di responsabilità e voglia di espiazione è PierLuigi Bersani. Come ho scritto su questo blog io avrei seguito altre strategie valutando meglio la pericolosità degli avversari interni ed esterni al mio partito. Anche se fossi stato nei panni del presidente avrei agito in modo diverso. Ma tutti siamo bravi con il senno del poi.
Nel caso di Bersani il senso di responsabilità gli ha tarpato le ali del coraggio. Avrebbe dovuto osare di più. Perché solo tre nomi nella rosa? Doveva mettere subito anche Rodotà, Zagrebelski, Prodi, Mattarella, Cassese e altri lasciando alla destra di scegliere e se i suoi non avessero votato compattamente doveva arrivare con quello schema di gioco, le larghe intese, fino alla votazione con il quorum ridotto al 50%. Avrebbe verificato la reale tenuta dei suoi alleati, avrebbe trovato forse un presidente. Poteva passare allo scontro solo dopo aver verificato che gli alleati, grillini o pidiellini è la stessa cosa, non erano in grado di garantire un nome con lo schema allargato. Solo allora doveva verificare il nome che univa il partito e andare allo scontro dopo aver contrattato con Monti. Così, dopo l’esaurimento della fase delle larghe intese, poteva passare Prodi. Se in questa procedura avesse verificato che il partito era spaccato e indisciplinato avrebbe dovuto proclamare il ‘tana libera tutti’ attenendosi alla lettera della Costituzione: ciascuno è libero e non ha vincolo di mandato. Smessa la casacca del segretario di un partito inesistente andava a prendere un caffè alla buvette e sarebbe tornato a votare quando arrivava il suo turno lasciando che nella cavea del parlamento i parlamentari parlamentassero liberamente come fanno i cardinali nel conclave e che lo spirito potesse aleggiare sui mille. Unica regola: il partito puntava su un nome alla volta per una sola volta seguendo l’ordine di preferenza. Quale preferenza? E’ ovvio che Bersani avrebbe dovuto formalizzare all’inizio di tutta questa storia una consultazione formale e segreta in cui ciascun grande elettore poteva scrivere tre nomi. I primi dieci erano oggetto di contrattazione con gli altri partiti e se necessario oggetto di votazioni con maggioranza semplice. Questa procedura avrebbe quanto meno evitato la sceneggiata grillina del Rodotà assurto a gran liberatore della plebe oppressa da quel despota di Napolitano.
Anche Vendola si è bruciato: prima ha rinunciato al ruolo di partner non rivendicando la possibilità di fare un proprio nome da aggiungere nella lista quando si andava a parlare con Berlusconi, poi ha urlato e pestato i piedi in modo isterico per far votare Rodotà. A quel punto era ovvio, semplicemente facendo qualche semplice calcolo aritmetico, che la candidatura Rodotà non poteva passare dopo che il PD si era spaccato su Prodi e che quindi non poteva passare nessuno senza il voto determinante di Berlusconi.
Anche Barca ha perso l’occasione di starsene zippo facendo quella inutile comparsata telematica a favore di Rodotà: tattiche in vista di nuovi schieramenti e nuove alleanze? Che pena!
Una parola sui mass media. Ho passato ore a seguire Mentana e gli innumerevoli altri salotti in cui questa tragica farsa si rappresentava. Come in tutte le tragedie che si rispettano c’era un coro, anzi un duplice coro: quello dei giornalisti che facevano a gara a dare le spiegazioni più brillanti, più ciniche, più malevole, più ansiogene che era possibile immaginare e fuori dal palazzo un coro dolente di beoti (tutti provenienti dalla lontana provincia della Beozia) che ritmavano un nome senza avere la più pallida idea di chi fosse e senza sapere bene quale fosse la reale posta in gioco. Un pretone, un certo don Crimi esibiva un cartello sopra un ipad alla folla come un novello mosè o come il diacono che va all’ambone con il Vangelo esposto alla venerazione dei fedeli, incitava la folla osannante incoraggiandola a restare lì a lungo in attesa che le telecamere facessero compiutamente il loro mestiere. Un corto circuito mediatico nevrotizzante che faceva apparire come una catastrofe irreparabile una procedura che nella storia della Repubblica si era già realizzata senza che succedesse nulla di irreparabile. Questo non ha facilitato il compito dei grandi elettori, gente stressata di suo, gente insicura, gente che non ha idee chiare sulla direzione di marcia.
Alla fine dello psicodramma, dopo aver osservato sullo schermo in primo piano un padre anziano, emozionato, invecchiato di tre anni in pochi giorni, nella sua fragilità che commuove anche un politico di lungo corso come Casini, si torna all’epilogo, che ha lo stesso sapore della chiusura del Don Giovanni di Mozart.
Don Ottavio dice:
Or che tutti, o mio tesoro,
vendicati siam dal cielo,
porgi, porgi a me un ristoro:
non mi far languire ancor.
Finita la tragedia, finiti i toni gravi, la musica riprende lieve e giocosa.
Riprendono le interviste dei protagonisti della giornata in cui tutti sono felici e contenti perché si è trovata la soluzione migliore possibile. Ora tutti a cena.
Tra il successo travolgente di Francesco e l’elezione del capo dello Stato l’economia di Roma può avere un po’ di ossigeno e forse ripartire senza bisogno di un governo o di un nuovo sindaco?
Categorie:Politica, Social e massmedia
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