Tra i regali di questo Natale un libro che ho molto gradito e che ho letto subito quasi con avidità ritrovando una persona che negli anni mi ha arricchito con le sue analisi e con la sua profonda cultura. L’amore, la sfida, il destino di Eugenio Scalfari è il quinto volume di una serie di racconti e riflessioni in cui cultura, psicologia, filosofia, arte, poesia sentimenti si intrecciano in una autobiografia così aperta e profonda da coinvolgere il lettore, certamente il lettore anziano, in un percorso di ricerca con mille risonanze e coinvolgimenti.
Il libro andrebbe letto dai docenti perché è un panegirico del valore della scuola nella crescita dei giovani. Certo, lui parla del suo liceo, di un liceo che non esiste più, di un approccio alla cultura che è stato unico e forse irripetibile né per un giovane né per un buon docente attuale ma ci sono nel racconto tante piccole cose che secondo me potrebbero toccare le corde di un docente impegnato anche con ragazzi di un corso professionale.
Poi ho trovato alcune pagine che voglio qui citare perché consacrano e definiscono con limpidezza quello che nelle mie riflessioni in questo blog ho cercato di illustrare variamente: la questione del ruolo della figura paterna nella crisi attuale.
Scalfari scrive:
(…) Eppure, da tempo, la figura paterna ha registrato un processo di deperimento. Non parlo soltanto del nostro paese, dove anzi sopravvive ancora largamente, sia pure come residuo d’una civiltà contadina e meridionale la cui decadenza è di troppo fresca data perché non se ne senta la presenza nel costume; ma parlo dell’Occidente contemporaneo.
La figura paterna in quanto ruolo attribuito a chi fornisce sicurezza, conferme, protezione, trasmissione di valori e memoria, è praticamente scomparsa. Non che quel ruolo fosse sempre e interamente adempiuto dall’uomo, molto spesso era la donna ad esercitarlo e sempre era comunque da lei condiviso. Non toglie che nella simbologia del lessico familiare esso fosse attribuito al padre il quale, da questa attribuzione simbologica, traeva ragione e forza per farvi corrispondere la sostanza.Le cause dell’affievolimento dell’immagine paterna e della sostanza che la riempie sono numerose e fin troppo note, ma un aspetto ne va segnalato: l’affievolirsi di quell’immagine non è stato accompagnato dall’accrescimento di alcuna altra immagine alternativa: non l’immagine materna, che si è affievolita anch’essa con un processo quasi parallelo; non i nonni, non gli zìi che un tempo avevano una funzione importante nella struttura familiare; non gli insegnanti. Le figure dispensatrici di certezze, protezione, trasmissione di memoria storica sono impallidite tutte insieme. La conseguenza non poteva che essere lo sradicamento del costume e il diffondersi della nevrosi di massa. La stessa tossicodipendenza non è che l’effetto di straniamento derivante dall’assenza della figura paternale.
Un altro effetto è la caduta della fertilità e la fuga dei giovani dalla responsabilità di crescere: chi non ha il padre rifiuta di diventarlo. Questo è quanto sta avvenendo sotto i nostri occhi distratti. Le eccezioni certamente ci sono, anche numerose, ma non costituiscono la regola, non determinano la tendenza. La dominante resta ormai la fuga dei giovani dai vecchi e dalla loro stessa crescita che sarebbe testimonianza del loro invecchiamento e come tale viene quindi rifiutata ed esorcizzata.
Ma perché stupirsene? Viviamo un passaggio d’epoca e la scomparsa del padre ne è uno dei segnali, forse il più significante.
Categorie:Cultura e scuola, Libri letti
Rispondi