Riprendo il racconto del mio giro per l’Italia delle scuole.
A Milano devo visitare 6 scuole e quindi sono previsti 3 giorni di permanenza. Le scuole sono statte scelte casualmente e e sono sparpagliate su tutto il territorio, anche nell’interland. Il primo giorno devo visitarne solo una perché la seconda ha chiesto uno spostamento, la prof che dovevo intervistare è ad un corso antincendi quindi la vedrò alle 16 del giorno successivo. Mio cognato mi ha fatto trovare una dettagliata analisi degli spostamenti possibili con i mezzi pubblici ma ciò che è famigliare ed ovvio per coloro che abitano in una città è complicato ed ansiogeno per coloro che la visitano per la prima volta. A Milano sono stato mille volte anche da giovane ma sempre visitando un punto specifico, magari spostandomi in taxi dall’aeroporto al punto in cui fare la conferenza o avere la riunione, spostarsi da un punto all’altro con i mezzi pubblici in modo efficiente e veloce è altra cosa e chiede molta capacità di adattamento e una mente sveglia. Così la sera dell’8 studio approfonditamente le varie soluzioni, trovo su internet l’immagine della rete delle metropolitane e la scarico sul mio telefonino e finalmente mi sento sicuro, ora Milano mi sembra come Parigi o Londra. Se riesco a capire come e dove si può comprare un biglietto di libera circolazione sono a cavallo!
Girare con i mezzi pubblici
L’appuntamento è nella tarda mattinata ma parto ugualmente presto per avere margine di tempo per orientarmi e rimediare se dovessi sbagliare qualche coincidenza. Prima sorpresa: i biglietti che avevo comprato a Milano non funzionano sugli autobus di Colorno, pernotto infatti in un altro comune anche se l’azienda tranviaria è la stessa e lì il biglietto costerebbe meno. Con il biglietto non validato in mano, con la paura di un controllo arrivo sano e salvo alla stazione della metropolitana verde. Devo andare fino a Lambrate e lì prendere un treno alla volta del paesetto che devo raggiungere. Conoscevo la stazione di Lambrate ma dall’ultima volta che ci sono stato sono stati eseguiti molti lavori di connessioni della rete della metro con quella ferroviaria. Trovo in un chiosco che vende tra l’altro anche biglietti una coppia gentile ed efficiente che mi aiuta ad individuare la direzione del treno da prendere. Vende anche il biglietto di libera circolazione sui mezzi pubblici del comune di Milano per 48 ore. Lo acquisto velocemente e ora mi sento padrone della situazione, quasi euforico.
Il treno è quasi vuoto, e, senza la ressa dei pendolari che c’è nelle ore di punta, è un mezzo gradevole, quasi distensivo. Nella mezz’oretta di viaggio da Lambrate il paesaggio gradualmente cambia, i capannoni diventano sempre più rari e appaiono le cascine, i campi e il verde dell’erba primaverile.
Incontri in un posto isolato
Arrivato a destinazione sono il solo a scendere, di taxi nemmeno a parlarne, accanto alla piccola stazione, recentemente ripulita e riverniciata ma chiusa, il vecchio consorzio agrario, abbandonato da tempo e fatiscente. Più in là, il cantiere di un complesso condominiale quasi pretenzioso dai coli pastello, stile Dallas per capirci. Nessuno in giro tranne una giovane ragazza che consulta gli orari appesi ad una bacheca sul muro esterno della stazione. Avevo visto sul mio telefonino che la scuola non era lontana ma, per essere più sicuro, chiedo alla ragazza la strada. Mi dice che non è lontana e mi indica la direzione. Ringrazio e mi incammino con passo svelto. Dopo poco mi sento seguito da una macchina che si accosta come se dovesse chiedermi qualcosa. Ero pronto a dire che non ero del posto. In realtà era la ragazza che mi offre un passaggio per andare alla scuola.
Se fossi tuo padre ti direi di non dare passaggi in macchina ad estranei, potrebbero essere dei serial killer ma volentieri accetto il passaggio. Mi risponde. Una persona che deve andare nella mia scuola non può essere pericolosa. Le chiedo cosa fa. Nulla, sto cercando. Non ti sei iscritta all’università? No, non penso di farlo, vorrei lavorare. Ho fatto il Liceo a Milano ma è un posto in cui non vivrei assolutamente, preferisco qui in campagna. L’unica città in cui mi piacerebbe vivere è Roma. Hai ragione, pensa, è la mia città. Questa in cui sta andando è la mia scuola, vedrà è molto bella.
La scuola
La scuola si trova su una piccola collinetta artificiale dentro un bel giardino fiorito, recintato, ma con i cancelli aperti. C’è il parcheggio per i prof e un campetto esterno per la pallacanestro. All’interno, l’ingresso è così grande e luminoso da essere usato anche come teatro per eventi comuni. Su un lato fa bella mostra di sè un palcoscenico i cui fondali sono stati disegnati dai ragazzi. La professoressa che devo intervistare è la vicepreside, rapidamente organizza la sua sostituzione in classe risolve alcuni problemi e mi riceve in un laboratorio di informatica. Nel frattempo alcune classi si spostano lungo il vano d’ingresso, liberamente, in ordine sparso, allegramente ma educatamente, forse erano stati avvertiti che c’era in giro un signore che veniva da Roma. Noto che tra i ragazzi non sembrano esserci immigrati.
Finita l’intervista, nella conversazione informale chiedo notizie sul bacino di utenza delle famiglie e sulla presenza di immigrati. In tutto ci sono solo 3 o 4 non italiani, per il resto questa è una zona agricola e gli immigrati sono rari. Obietto che in altre comuni gli immigrati sono impiegati anche in agricoltura, e la prof mi risponde che in questa zona non ci sono molte stalle in cui normalmente viene impiegata manodopera soprattutto indiana.
La professoressa dimostra di conoscere molto bene il territorio di riferimento della scuola e chiedo quindi da quanti anni lavorava in quella scuola. Da 25, e da una decina d’anni, fa la vicepreside. Chiedo allora se i dirigenti rimangono a lungo e mi conferma il mio sospetto, che cioè il tempo medio di permanenza di un preside sia di due o tre anni. Una piccola scuola in un centro di campagna isolato dalla metropoli è una specie di confino da cui appena si può si cerca di evadere. Vengo accompagnato a salutare la Preside che ci riceve in un studio piuttosto piccolo con una scrivania piena di carte e di pratiche. E’ molto cortese, mi complimento per la scuola ma la conversazione si esaurisce nei convenevoli formali.
Torno dalla vicepreside che mi presenta il prof che si occupa con l’aiuto di un volontario di un orto didattico entro il recinto del cortile e mi accenna alle attività per i diversamente abili. Salutando sbircio la sala professori, ampia e luminosa anche questa, piena di cose, carte, disegni, manifesti, dall’aria un po’ caotica ma colorata con in bella evidenza un bel cesto di frutta fresca. I docenti presenti sono giovani.
Riprendo il mio cammino verso la stazione. Attraverso il paese, scatto un po’ di foto del naviglio ma non incontro nessuno, proprio nessuno, neppure vedo persone dietro le finestre, potrebbe essere un luogo disabitato. Qualche rara automobile di passaggio, poi il silenzio della campagna e in lontananza il treno che per una manciata di minuti avevo perso. Nonostante ciò, alle 1,30 sono arrivato a Sant’Ambrogio, pronto a fare il turista.
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