Milano, 9 aprile 2013
Finita la tappa nella campagna lombarda, il pomeriggio sono libero di fare il turista e mi dirigo a Sant’Ambrogio, una chiesa che amo sin dal tempo del liceo quando in storia dell’arte se ne parlò in modo approfondito.
La chiesa è visitabile a partire dalle 14,30 ho quindi tutto il tempo di cercarmi un posto per mangiare. Ormai non si fa nulla senza il telefonino e in questi casi consulto una app molto utile City Guides di Tripadvisor, una applicazione che si basa sull’esperienza del social network, di coloro che condividono le recensioni dei pranzi consumati. La cosa più bella è che, una volta scelto il locale proposto, sul visore del telefonino appare una freccia, una specie di bussola che dà la direzione da seguire e la distanza. Si cammina per le strade come se si fosse un segugio che segue il proprio olfatto. Scelgo una trattoria economica piena di impiegati e di studenti. Mi sento proprio a Milano, la gente parla del lavoro, degli affari, del prossimo ponte, il servizio è molto veloce ed efficiente e le persone si trattengono lo stretto necessario. Tornato alla basilica la trovo, data l’ora, deserta di visitatori e di fedeli ma occupata da un bel gruppo di studenti di architettura che stanno esercitandosi a fare misure. Mi siedo a lungo ad osservare la bellezza della costruzione ma osservo anche il via vai di giovani che, dopo avere rilevato le misure, le annotano in registri che stanno vicini alla panca in cui sono seduto. Bisbigliano educatamente, si muovono a passo svelto, si correggono a vicenda, vengono corretti da alcuni che dovrebbero essere i professori. Essendo una sfaccendato perditempo mi godo questa scena ripensando alle maestranze che nel tempo, nei secoli hanno edificato, abbellito, manutenuto questa basilica in cui migliaia e migliaia di persona si sono incontrate per pregare o per festeggiare. Scendo nella cripta e osservo la teca in cui sono custoditi i resti del Santo e dei due martiri che in quel luogo erano stati sepolti. Non posso evitare di osservare bene i volti mummificati, non protetti come in genere accade da una maschera, circondati da paramenti ricchissimi e splendenti. Giro rapidamente lo sguardo e penso che siamo molto indifesi rispetto alla naturalezza e la ineluttabilità della morte.
All’uscita trovo colori autunnali, si annuncia quella pioggerella fina fina, impercettibile che ho sperimentato solo a Milano. Non si apre l’ombrello ma dopo un po’ ci si sente bagnati. Riprendo la metro e rapidamente sono a piazza del Duomo.
Entrato nel Duomo e superato il controllo di militari anti terrorismo con il metal detector, trovo la sgradita sorpresa di manifesti che vietano di scattare foto.
Leggo meglio e in realtà, pagando un biglietto di 2 euro per contribuire alle spese di manutenzione dell’opera, si può scattare foto liberamente. Ma, efficienza dei lombardi!, dopo aver pagato si ottiene un anello di carta giallo da attaccare alla macchina fotografica. Poiché io ho solo il mio fido smart phone, l’anello mi viene messo al polso come un braccialetto. Sin qui mi sembra tutto molto civile e incomincio il mio giro con il mio bravo braccialetto giallo. Il mio umore volge al brutto però quando scopro che un po’ ovunque vi sono numerosi energumeni in divisa che intercettano tutti quei visitatori che scattano foto senza il braccialetto giallo. Capisco chiedere un’offerta per il mantenimento di un bene che tanti vogliono vedere e fotografare, ma trovo disgustoso che diventi un biglietto, un balzello che penalizza anche chi ha solo il piacere di scattare una foto a un compagno di viaggio per ricordare che in quel posto così bello si era stati. Infatti assisto ad espressioni di disappunto da parte di numerosi ignari visitatori che pensavano di essere in un chiesa, in un luogo di preghiera, bene di tutti.
Tutto ciò mi ha messo di cattivo umore e la cattedrale mi è sembrata più scura, fredda e scostante di tante altre chiese gotiche che ispirano un’elevazione dell’anima. Vi ho percepito quel tanto di affarismo che mi ha fatto sentire in un museo, nemmeno tanto ben tenuto.
Nemmeno le vetrine scintillanti e i bar eleganti della Galleria e delle strade limitrofe riuscono a cambiare il mio umore, la pioggerellina diventa più intensa e la temperatura si abbassa, si scorge qualche leggero fiocco di neve. Sono le 5 e un bel tè è quello che ci vuole. Mi allontano dalla zona dei locali super e, trovatone uno accettabile, entro e mi siedo.
Sarà che ciascuno vede ciò che vuol vedere ma nella ventina di minuti in cui sono rimasto al mio tavolo a sorseggiare il mio tè mi è sembrato di avere una spaccato della nostra situazione sociale. Il padrone che stava alla cassa era un signore bianco milanese, tutti e tre i camerieri erano immigrati di colore, quello che serviva ai tavoli era probabilmente sudamericano ma parlava bene l’italiano, l’inglese e il francese. Dopo di me entra una giovane coppia di russi, raffinati ed eleganti che vogliono mangiare. E’ possibile e immediatamente portano il menu, la lista dei vini e offrono loro per cominciare alcuni snack già pronti per gli aperitivi.
Seduti ad altri due tavoli due coppie che parlano ad alta voce e non posso non sentire i loro terribili dialoghi. Al primo tavolo una madre anziana e una figlia anche lei con i capelli bianchi. E’ chiaramente un incontro periodico di due persone che non convivono perche si raccontano fatti minuti della vita corrente con un misto di noia e di odio reciproco. L’una dice una cosa, l’altra la contraddice, oppure la redarguisce, vedi te lo avevo detto, tu non mi dai mai ascolto. Ogni tanto lunghi silenzi. Alla fine come per dare una lieta notizia la figlia dice che da giugno andrà in pensione. Bene, sei contenta? sembrava che non fosse possibile, ma i soldi ve li danno? Sì sì tutto risolto, ma devo rifare la domanda. La madre chiede altri particolari ma la figlia è infastidita e chiude il discorso sull’argomento. Ho avuto la sensazione che fosse un’esodata.
Più in là una scena altrettanto triste. Una anziana discute con un signore, forse un giovane corpulento con una coloratissima giacca a vento. In realtà più che un dialogo sembra un monologo uno scambio in cui uno va all’attacco di un altro che risponde a monosillabi o annuendo, non si capisce se distratto o scocciato. Gran parte della conversazione ruota intorno al caffè che hanno bevuto che non è piaciuto alla signora. Tu pensi che io sia scema, dillo pensi che io non ci stia più di testa, invece no, io capisco benissimo in questo caffè c’era della polvere, sembra sabbia, non senti mi si è impastata la bocca. Su questa litania vanno avanti per una decina di minuti. Cerco di capire la situazione e penso che si tratti di un’anziana con la propria badante. L’interlocutore che vedo di spalle potrebbe effettivamente essere una donna. A un certo punto si alza e vedo che si tratta probabilmente di un figlio relativamente anziano con una espressione per nulla intelligente.
Pagato il conto, esco riscaldato e riposato ma profondamente intristito.
Categorie:Riflessioni personali, Scuole in Italia
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